Camuffare il proprio vissuto nelle storie
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La fantasia è senz'altro la qualità più importante per chi scrive. Creare storie e personaggi richiede un'immaginazione fervida, anche per non cadere nel già visto. Eppure, bisogna ammettere che in ciò che si scrive c'è sempre una parte più o meno nascosta di quanto conosciamo e abbiamo vissuto, mescolata alla fantasia. Anzi, a volte raccontare qualcosa che ci appartiene è un modo per elaborarlo, come ha sottolineato Giulia Mancini nel suo recente post Scrivere vuol dire approfondire. Proprio a questo suo articolo sono ispirate le riflessioni di oggi.
La scrittura come sogno
Nel tempo, mi sono convinta che scrivere narrativa è un po' come sognare. Ovvero, una rielaborazione inconscia di ciò che si è vissuto, ma anche di ciò che sentiamo in un determinato momento. Paure, speranze, emozioni, desideri. In un testo, come in un sogno, possono essere racchiusi aspetti di noi che non conosciamo, che normalmente restano sepolti. In pratica, a volte, ciò che è autobiografico affiora nella scrittura in modo simbolico, come un lavoro dell'inconscio.
Lo stesso vale per situazioni e personaggi. A volte, nella loro creazione si utilizzano fatti sperimentati (o ascoltati) e persone incontrate, senza che si manifestino del tutto. Credo che tutto questo avvenga in modo più o meno inconsapevole.
Perché camuffare coscientemente il vissuto
Mescolare elementi di fantasia a elementi reali può essere anche un lavoro cosciente. Perché farlo? Ovvero perché usare nelle storie qualcosa di autobiografico? I motivi possono essere tanti, ma il principale è che sono cose che conosciamo a fondo e quindi agli occhi del lettore appariranno realistici, autentici, non artificiosi. Ciò vale anche per i personaggi: se sono ispirati a qualcuno che conosciamo, sembreranno più veri di un personaggio di carta creato a tavolino.
Però è doveroso che gli aspetti autobiografici non siano riconoscibili. Sia perché può essere antipatico che qualcuno si riconosca quando legge un nostro romanzo, sia perché riprodurre sempre e solo il proprio vissuto è limitante e può risultare noioso. Dunque, mascherare non solo è lecito ma soprattutto necessario.
Molti autori importanti hanno i loro temi ricorrenti. Non li conosciamo di persona, quindi non sappiamo se hanno attinto alla loro vita, ma il fatto stesso che esistano aspetti che ritornano, ci può far pensare che l'attrazione per certi argomenti abbia un'origine personale. Voi cosa ne dite?
Usare il brainstorming per elaborare gli elementi
A me capita spesso, quando scrivo, di partire da una situazione personale. Questo elemento iniziale però non finisce subito su carta ma subisce un lungo processo di elaborazione attraverso il metodo di brainstorming. Ovvero ci rimugino per molto tempo (senza scrivere) e lascio la mente libera di sparare a casaccio idee intorno a quell'aspetto iniziale.
Il brainstorming è un'arma molto potente per chi scrive. E il bello che si può usare in qualsiasi momento, anche mentre siamo occupati a fare altro. Anzi, funziona al meglio quando fisicamente stiamo facendo qualcosa e la mente si può avventurare alla ricerca di idee anche molto strampalate. Fino a trovare quella giusta.
Lasciare liberi i personaggi
Una persona con certe caratteristiche può essere un punto di partenza per creare un personaggio, ma poi deve essere lasciata libera di svilupparsi. Ritengo che sia davvero importante non irrigidire i nostri personaggi in schemi predefiniti, ma osservarli mentre agiscono e adottano specifici modi di fare. Anche l'aspetto fisico o la personalità possono modificarsi in corso d'opera. A me è capitato spesso.
Immedesimarsi in altre vite è stimolante, soprattutto quando si tratta di personaggi lontani da noi. Per questo, è importante non fossilizzarsi troppo su persone reali, ma saper sempre spaziare e lasciare che i nostri personaggi si esprimano come vogliono.
Usare emozioni e sensazioni in altri contesti
Attualmente scrivo romanzi thriller psicologici. Nelle mie storie ci sono (ovviamente) situazioni che non ho mai vissuto, quindi la maggior parte del testo è frutto di fantasia. Ma ciò non significa che non ci siano pezzi di me sparsi qua e là, così come frammenti di persone conosciute o fatti sperimentati. Tutto si può usare e sfruttare quando si scrive un libro, ma il più delle volte è necessario decontestualizzarlo. Il che è valido in modo particolare per la sfera psichica: le emozioni vissute in un certo ambito, si possono usare in ambiti simili ma non identici.
Giocare con gli elementi
La fantasia è fondamentale là dove vogliamo usare qualcosa che sappiamo senza renderlo riconoscibile. Per esempio, di recente mi hanno raccontato una storia davvero particolare e ho pensato seriamente di usarla per un futuro romanzo. Ma per rispetto delle persone coinvolte, sarebbe meglio non farlo. Dunque, se mai decidessi di prendere spunto da questa vicenda, dovrò mascherarla al massimo grado. Un uomo può diventare donna nella storia, i luoghi e i tempi dovranno cambiare, le circostanze essere del tutto diverse. Solo il cuore della storia resterà lo stesso.
Usate il vissuto nelle vostre storie? Riuscite a camuffarlo in modo da renderlo irriconoscibile?
In questo momento mi occupo di narrativa, ma soltanto di storie vere. Quindi devo attendermi a quello che mi raccontano, cercando di strappare al protagonista più dettagli possibili.
RispondiEliminaIn passato, però, ho scritto diversi racconti di fantasia e confermo il fatto che, a parte quelli dichiaratamente autobiografici, molti fossero ispirati a fatti realmente accaduti a me o a miei stretti conoscenti, ma romanzati a dovere per far sì che nessuno potesse riconoscerne i protagonisti.
Perché lo facevo?
Proprio perché, come tu dici, mi sentivo più sicura nella scrittura e, va detto, non dovevo neppure investire troppo tempo nella ricerca di luoghi o eventi che fossero precisi e, dunque, credibili.
Una scelta di comodo, quindi?
Per me sì. Lo confesso.
*devo attenermi
EliminaIn effetti può essere una scelta di comodo, ma d'altra parte non si dice che si dovrebbe scrivere di ciò che si conosce? La capacità di romanzare è comunque sempre necessaria.
EliminaScrivere storie vere deve essere una sfida interessante.
Per quanto mi riguarda la vena autobiografica o che si nutre di storie vere da raccontare è stata molto importante all'inizio della mia esperienza di scrittura. Ora viaggio di più nella fantasia e le mie vicende personali quasi mi annoiano. Altro è sentire emozioni e rappresentarle. Questo è indispensabile, perché non si può raccontare di qualcosa che non si è vissuto. Non so sono riuscita a rendere bene la differenza...
RispondiEliminaHo provato anche io la noia di cui parli per le vicende personali, credo che sia una fase necessaria. Però è come dici tu (e hai reso bene la differenza): le emozioni devono essere autentiche o almeno avvicinarsi il più possibile a qualcosa di sperimentato, altrimenti si sente una nota artificiosa.
EliminaCara Maria Teresa grazie di avermi citato, sono contenta di averti ispirata per questo post. La realtà è per me una grande fonte di ispirazione, per entrambi i generi che scrivo, tuttavia camuffo molto personaggi e situazioni, perché è importante che la realtà sia solo uno spunto iniziale narrativo e poi perché è molto più bello sentirsi liberi con la propria creatività. Una volta in un racconto ho raccontato una storia vera che riguardava una mia compagna di università ma avevo camuffato tutto molto bene e, comunque, erano passati molti anni. A volte nelle storie mischio presente e passato, anche questo è un modo di camuffare.
RispondiEliminaCiò che è importante è farsi ispirare dalla realtà per poi volare con la fantasia, magari facendo brainstorming...
Il tuo post mi è risuonato dentro, quindi è venuto spontaneo riprenderlo. Poi in questi giorni sto pensando a una possibile nuova storia e mi è affiorato qualcosa di vissuto che potrebbe prestarsi a un nuovo romanzo, ma ci sarà molto lavoro di camuffamento da fare.
EliminaInteressante quello che dici sul mescolare presente e passato, in effetti può essere un buon modo per confondere le acque ^_^
Secondo me, se camuffare o meno il proprio vissuto, è una scelta personale. Io camuffo.
RispondiEliminaMa comunque in ogni opera c'è sempre parte dell'autore.
Senza dubbio è una scelta personale, c'è anche chi si sente a proprio agio con il proprio vissuto e non si fa problemi. Per me è un'esigenza importante, anche se in passato ho scritto racconti personali, che però non pubblicherei mai e poi mai.
EliminaSi, No, No, No, No, Si, No, Si, No, No, Si, Si, No, Si, Si, No, No, Si, No, No (eh, magari!!), No, Si, No, Si, No, No, No, No, No, No, No, Si, No, No, Si, No, Si, Si, No, No, No, No, No, Si, No, No, No, No.
RispondiEliminaNon sono impazzita, non più del solito, ma ho approfittato del tuo post per un esercizio: ho scorso la cartella dei miei racconti terminati per vedere con che incidenza dentro ci fosse un elemento "vero", un personaggio riconducibile a una persona esistente, anche solo per qualche caratteristica, o un fatto realmente accaduto, riciclato in qualche maniera. I "Si" sono riconducibili più alle persone, diciamo ai caratteri, che ai fatti, ma possono essere pure sconosciuti che ho incrociato per strada e di cui non so altro se non una conversazione origliata. Il resto è tutto parto della mia fantasia. Parlo ovviamente dei racconti, le storie vere raccolte per la rivista sono in altra cartella e richiedono tutt'altra lavorazione.
Come già scrissi da Giulia, non ci sono fatti personali che posso usare a cuor leggero. Ci sono argomenti su cui vorrei scrivere, argomenti importanti, severi, che in realtà mi sono proibiti, perché anche camuffandoli (non è che ci riesci più di tanto poi, il "fatto" è quello, non c'è inversione di genere possibile) ferirebbero persone a me vicine, anche se magari vorrei scriverne per ribaltare il punto di vista, la prospettiva a cui generalmente si guarda. Non si può, e come dice Elena è meglio spaziare oltre la propria vita, usare la fantasia.
Poi mentre leggevo questo post mi è tornato alla mente il brainstorming improvviso dell'altro giorno, un'idea assurda del tipo "Come sarebbe se un giorno....?" E siccome nel frattempo il brain ci ha lavorato da solo, ho iniziato a scriverla giù, potrebbe essere la storia a puntate di quest'estate, vedremo. ;)
Capisco cosa vuoi dire, Barbara. Non tutto può essere materiale per le nostre storie e neanche è necessario che lo sia. Del resto il lavoro di creazione di personaggi e situazioni ha una forte componente inconscia, quindi certi fatti possono affiorare senza che neppure ce ne accorgiamo, quando li abbiamo ben metabolizzati. Per il resto la fantasia ha un ruolo preponderante, come dimostra il tuo brainstorming :)
EliminaMi capita a volte di prendere spunto da persone reali per i personaggi delle mie storie, ma in modo molto libero, e sempre con persone che conosco appena oppure ho soltanto visto per strada. E' come se il fatto di conoscere davvero la persona mi impedisse di "usarla". Pezzi di me sono sparsi ovunque, sotto forma di timori, gusti, reazioni. Anch'io lavoro molto di brainstorming. Hai ragione a dire che funziona alla grande soprattutto quando si sta facendo qualcos'altro (la passeggiata con il cane è ottima, per esempio). Quando ragioniamo in modo focalizzato, esercitiamo involontariamente una forma di controllo restrittivo che ci rende inaccessibili molte intuizioni. Per questo il caffè e l'alcol permettono di scrivere di getto molto più facilmente... e anche di rovinarsi la salute, se si esagera! ;)
RispondiEliminaVero, la mente deve essere lasciata libera realmente di spaziare. A volte infatti mi accorgo di esercitare troppo controllo quando mi ripropongo di riflettere su una storia e così sono costretta a lasciar perdere per un po', fino a quando non ci ripenso in modo spontaneo.
EliminaCapisco le remore sull'usare persone che si conoscono bene, ce l'ho anche io. Di solito mi ispiro a persone conosciute molto tempo fa con cui non ho più nulla a che fare e alle quali non mi sento più legata.