Si scrive per se stessi, si pubblica per i lettori

Foto di Anna Grace (Unsplash)

Ieri ho finito il nuovo romanzo! Alla gioia di essere arrivata fino in fondo (una cosa niente affatto scontata, soprattutto negli ultimi capitoli che sono i più impegnativi), si accompagna come al solito un senso di vuoto e di ansia. Ho realizzato proprio in questi giorni che questa fase della scrittura non mi piace. Ovvero il distacco. Immagino che sia così per tutti. Perché di fatto questo è un passaggio non indolore: il momento in cui smetti di dedicarti alla storia come se fosse una cosa solo tua e cominci a pensare ai lettori.

L'intima sfera della scrittura di una storia

A questo proposito, leggevo una citazione di Umberto Eco qualche giorno fa (riportata da qualcuno su Facebook) che affermava che nessuno scrive mai per se stessi, perché per se stessi si scrive solo la lista della spesa. Ebbene, non sono d'accordo. Secondo me, quando si è immersi nella scrittura di un romanzo (e in misura minore di un racconto), non si considerano gli altri. Né gli altri dovrebbero entrare in questo delicato processo. Se siamo davvero assorbiti dalla storia e dai personaggi, i lettori non hanno alcuna importanza. C'è un flusso intimo a guidarci, una sfera privata, dove trova posto solo l'attività creativa.

Penso che sia così per molti, ma forse non per tutti. C'è anche chi chiede spesso suggerimenti, che ha dei lettori che gli danno indicazioni man mano che forma la trama. C'è anche chi scrive addirittura per accontentare i suoi lettori abituali, magari dando vita a sequel e prequel. E chi invece ha come obiettivo quello di accondiscendere alle esigenze del suo editore. 

Lungi da me dire che questo sia sbagliato, solo che non lo sento mio.

Mentre scrivevo quest'ultimo romanzo, mi è capitato di pormi alcune domande. Per esempio, ho notato che i miei lettori sono per la grande maggioranza donne. Mi sono chiesta se questo doveva in qualche modo dare una certa direzione alla mia scrittura. Forse è normale a un certo punto chiedersi: cosa piace ai lettori, anzi alle lettrici? Cosa apprezzerebbero che io scrivessi? Quella svolta nella trama sarebbe benvista o detestata? Ma questa è stata in verità una fase molto passeggera. Alla fine, la storia e i personaggi hanno preso la loro direzione, senza interferenze.

Cosa significa quindi scrivere per se stessi? Per me significa che una storia deve piacere prima di tutto a te autore. La devi sentire giusta in un certo modo, a prescindere da cosa potrebbero pensarne gli eventuali lettori. 

Quando una storia diventa pubblica

Scrivere per se stessi non significa che una volta finito il romanzo lo chiudi in un cassetto e lì resta, lontano da occhi indiscreti. Condividerlo è non solo lecito, ma anche auspicabile. Tutti noi nutriamo il bisogno interiore di far leggere ciò che scriviamo a più persone possibile (a parte i diari, ovviamente!).

Per questo, la pubblicazione è una fase completamente diversa, perché se diamo un testo in pasto al pubblico, è necessario renderlo leggibile, accattivante e apprezzabile, e quindi fare un editing che tenga conto dei lettori.

Qui entra in gioco anche l'importanza della promozione. Che senso ha infatti pubblicare un romanzo senza poi dargli un minimo di visibilità? So che questo è un argomento delicato per molti. Nessun autore (o forse solo qualcuno) smania dalla voglia di fare promozione o mettersi a studiare marketing. Eppure, se ci riflettiamo un attimo, è abbastanza assurdo pretendere di trovare lettori senza un po' di sforzo. Assurdo pensare che siano loro a scovarci.

Pubblicare per i lettori significa anche individuare il pubblico giusto per ciò che abbiamo scritto. Individuare la tipologia di lettori appropriati può essere una svolta, perché smettiamo di rivolgerci a una platea indeterminata e puntiamo su chi davvero può apprezzarci. Là fuori c'è qualcuno a cui il nostro romanzo potrebbe piacere, ma forse ancora non lo sappiamo. Vale la pena di impegnarsi a trovarli, questi lettori, non credete?

Personalmente, ho cominciato a pormi il problema solo con l'ultimo romanzo e devo ammettere che è stato illuminante.

Ora, finito il nuovo romanzo ho la tentazione di iniziarne subito un altro, rituffarmi in una storia nuova. Ma so che la mia creatura appena nata avrà bisogno di molte cure, prima di essere resa pubblica e anche successivamente.

E voi di che idea siete, ovvero per chi scrivete? E per chi pubblicate?

Commenti

  1. Scrivo per me stessa.
    Quando sono assorbita dalla storia, non vedo nessun altro all'infuori dei miei personaggi e delle vicende narrate che, ovviamente, sono proprio ciò che vorrei leggere.
    Quando arriva l'editing, invece, divento il peggior giudice di me stessa, perché so che, a editing ultimato, la mia storia non sarà più "mia", ma sarà di tante altre persone.
    Quindi, anch'io scrivo per me stessa e pubblico per gli altri.
    Ho scritto tantissime cose che non sono pubblicabili, cioè non sono pronte né idonee a essere lette da altre persone, sia per questioni di coerenza interna, sia per interesse dell'argomento.
    Immagino che nessuno scriva un diario personale per pubblicarlo, ma che sia piuttosto un modo per sfogarsi e liberarsi dai pensieri negativi.

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    1. La pensiamo uguale, allora ^_^
      Non avevo pensato al fatto che a volte si scrivono testi non pubblicabili per varie ragioni. In effetti è successo anche a me. Uno in particolare era una sorta di "memoir" che mi avevano proposto di pubblicare, ma mi sono sempre rifiutata. Magari alcuni scritti si possono far leggere a una ristretta cerchia, non oltre.

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  2. Condivido la tesi al 100%. Prima di sostituirle con le "due sintassi" di Castaneda, avevo una serie di citazioni sulla colonna di sinistra del blog tra cui questa di Hopper, che esprimeva esattamente il mio modo di intendere la scrittura: "Dipingo solo per me stesso. Mi piacerebbe che i miei quadri comunicassero, ma se non lo fanno va bene lo stesso. Non penso mai alla gente quando dipingo, mai”.

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    1. Una bella citazione, non me la ricordavo. Esprime bene anche il mio pensiero, immagino sia valida per tanti in ambiti diversi.

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  3. Le stesse identiche cose che hai scritto valgono anche per il blogging.
    Spesso ci si dimentica di essere personaggi pubblici, di scrivere per il web, trovo giusto invece dare attenzione alla forma (impaginazione, leggibilità...) proprio perché scriviamo sì per noi stessi, ma ci leggono i lettori (di cui bisogna avere il massimo rispetto)^^

    Moz-

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    1. Condivido, anche nel blogging deve esserci massima attenzione a ciò che si pubblica. Tanto più che in questo caso il feedback è molto più immediato rispetto a un libro.

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  4. Concordo in pieno.
    Si scrive innanzitutto perchè la storia è dentro di noi e vuole uscire.
    Sai che non sono scrittrice. Al limite un racconto breve o poesie. Però anche per loro è valido lo stesso discorso.
    Prima di tutto è una nostra necessità dare vita a quella particolare storia che ci coninvolge emotivamente.
    Poi, dopo, quando la scrittura è terminata si pensa anche ai lettori eventuali. Ci si stacca (magari a fatica) e si rilegge, riscrive, ritocca.
    Ciao bella

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    1. Senza dubbio! Tutto parte da un'esigenza interiore, che si tratti di racconti, poesie o romanzi. E come hai giustamente sottolineato, a un certo punto serve un adeguato distacco per dare al testo una forma leggibile da tutti. E a fatica, a volte, sì!

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  5. Prima di tutto complimenti per aver finito la scrittura del tuo romanzo!
    Riguardo alle sensazioni di cui parli anch'io quando inizio a scrivere una storia non penso mai ai lettori, mi focalizzo su quello che ho dentro e che voglio esprimere. Poi però, non mano che la storia cresce e si avvicina alla fine comincio a pensare anche a un ipotetico lettore, provo a mettermi dall'altra parte anche solo per capire se sto operando bene. Non ho difficoltà ad ammetterlo, io desidero che la storia venga letta e, possibilmente, apprezzata. È corretto quindi cercare i propri lettori e promuovere il romanzo, è importante anche se non è semplice, ma è una nostra creatura non possiamo abbandonarla mentre muove i primi passi nel mondo...

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    1. Grazie, Giulia! Devo dire che mi manca già molto la fase di immersione nella storia, ora tutto è meno emotivo e razionale.
      Sono pienamente d'accordo con quanto dici a proposito di non abbandonare la nostra creatura, per quanto a volte sia impegnativo. Ma fa parte della scrittura anche questa fase, bene o male.

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  6. Tema molto interessante, che apre senza dubbio un bel dibattito. Da una parte sono convinta anch'io che la scrittura sia una attività molto intima, che spesso iniziamo a fare proprio per noi stessi e per esprimere ciò che sentiamo. È però anche vero che, a meno di lasciare i nostri scritti nel cassetto come una specie di diario segreto, la scrittura è una forma di comunicazione nella quale non possiamo non pensare anche al nostro interlocutore. Ciò non significa che dobbiamo stravolgere i nostri scritti plasmandoli sul lettore, ma non possiamo nemmeno non tenere conto delle persone a cui sono rivolti. Se poi vengono pubblicati, c'è anche l'aspetto marketing, nel quale avere chiaro il target di riferimento è uno dei primi passi della strategia.
    Io penso che la necessità di chi scrive di esprimere sé stesso e quella del lettore di trovare ciò che cerca in un romanzo siano strettamente connesse e, alla fine, ci si ritrovi a metà strada. Così come il lettore sceglie un autore, anche l'autore sceglie di posizionarsi in un determinato segmento di pubblico.
    Questo per dire che proseguire seguendo le proprie inclinazioni, tenendo però a mente anche a chi si sta parlando, potrebbe essere una via di mezzo funzionale ad entrambi, in modo di far decollare il dialogo tra scrittore e lettore.

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    1. Hai ragione e mi piace molto il tuo pensiero. Serve un equilibrio tra lo scrivere ciò che sentiamo e la responsabilità di pubblicarlo, ovvero comunicare all'esterno. E' una bella sfida che ognuno dovrebbe affrontare, prendendo consapevolezza sia delle proprie esigenze di scrittura, sia di ciò che desiderano i lettori.

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  7. Penso che il tuo entusiasmo per una nuova storia appena terminata sia encomiabile. Tienila cara con te, scappa in fretta. Chi scrive per gli altri rinnega se stessa

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    1. Grazie Elena! L'entusiasmo è già terminato e ora sento un gran vuoto. Dovrò trovare presto un'altra storia... o diventerò moooolto nervosa ^_^

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  8. Per me c'è una fase iniziale, di preparazione della storia, in cui sento anche i lettori con me; poi loro spariscono, e io scrivo per conto mio, senza pensare a loro, che poi riemergono a stesura finita per aiutarmi nella revisione. E' un tipico caso di lettori-fantasma. ;)

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    1. E' bello che ci sia un momento iniziare in cui senti i lettori con te! Chissà se c'è qualcuno che li sente sempre accanto, questi lettori-fantasma... :)

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  9. Uhm, io non scrivo più la lista della spesa, c'è un'app! XD
    Installata e sincronizzata su tutti i cellulari di famiglia, dove chi vede qualcosa da acquistare clicca sull'icona apposita (tutto pronto e ordinato per categoria) e questa si inserisce nella lista. Quando si va al supermercato, man mano che i prodotti vanno nel carrello, si cliccano le icone e queste si tolgono dalla lista. Prima c'era troppa gente che si perdeva il foglietto e andava a memoria... troppi sacchetti di patatine e le uova dimenticate! :D

    Umberto Eco non ha del tutto torto (sennò non era Umberto Eco...).
    L'idea della storia deve piacere innanzittutto a me, e come si svolge la trama è un misto tra divertimento (anche quando diventa difficile, dev'essere un'attività che piace) e seguire per la verità (quando si mente al lettore questo se ne accorge, lo dice sempre Stephen King, un altro che non sbaglia). La considerazione per il lettore interviene nell'editing, quando si sistemano le parti per renderle leggibili, appetibili, commerciabili.
    Infine c'è tutto il corollario attorno alla storia: la comunicazione diretta con il lettore, dal blog ai social network. Lì si scrive per il lettore senza dubbio. Purtroppo c'è chi scrive nei blog in formato monologo a sé stesso, salvo poi lamentarsi che non lo commenta nessuno, che non ci sono lettori o non si palesano in alcun modo. Se il testo contiene solo asserzioni senza ombra di discussione, difficile che si inneschi un dialogo. Peggio ancora quando non si risponde alle domande dei lettori, magari in un vecchio post (per loro però è nuovo, l'hanno appena trovato e letto, magari hanno appena scoperto il blog o il romanzo pubblicato tre anni addietro). Se il romanzo è una comunicazione unidirezionale dove solo dopo speriamo di incontrare un certo pubblico, tutto il resto non lo è. Gli altri testi sono scritti per qualcuno (o dovrebbero esserlo).

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    1. Sai che ho provato a usare lo smartphone per la spesa, ma non mi piaceva per nulla girare per il supermercato con il telefono in mano, lo trovavo scomodo! Quindi preferisco un piccolo foglio meno ingombrante.
      A parte questo, condivido l'idea del divertimento che deve esserci nello scrivere una storia, se non intriga noi, figuriamoci se può interessare un eventuale lettore.
      Sui blog, è vero che siamo in un ambito in cui la comunicazione con un pubblico ben preciso è ancora più importante, qui non si può parlare di scrivere per se stessi, sarebbe una gran contraddizione. Eppure, magari per qualcuno è così, come negli esempi che hai fatto.

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  10. Ciao Maria,
    mi fa piacere sapere che hai finito il nuovo romanzo.
    Riguardo lo scrivere per sé stessi o per gli altri, sono d'accordo con te in parte. Mi spiego meglio.
    Io ho sempre scritto e continuerò a scrivere le storie per me stesso, nel senso che la storia deve essere giusta per me, secondo le mie corde, senza influenze esterne. Durante la revisione, scrivo per la storia, nel senso di darle la migliore forma, stabilità e coerenza possibile. Pensavo ai lettori dopo la pubblicazione per il marketing, e qui sta il mio errore.
    Mi sono reso conto che, forse per mia incapacità, non puoi cercare o trovare un target di lettori. Fare l'editing di conseguenza non ha senso. Non è a questo punto che, secondo la mia opinione, puoi rendere una storia accattivante per i lettori.
    La storia deve esserlo di suo e andrà bene per un certo numero di lettori che non mi sento di poter individuare o etichettare.
    Ciò che sto cercando di fare è scrivere per me stesso ma con l'obiettivo di un lettore ideale. Non un lettore astratto, ben definito, da assecondare che mi dica cosa va bene e cosa no, cosa vorrebbe e cosa no. Bensì un lettore che mi spinga a riflettere e migliorare con domande inaspettate. Penso così di riuscire a rendere i miei personaggi e le storie più coinvolgenti affinché siano scoperte da quei lettori a cui il libro piacerà.
    Quindi penso di capire cosa intendesse Eco. Perché in fondo si scrive una storia per comunicare qualcosa e una comunicazione arriva sempre a qualcuno.
    Mi sono dilungato parecchio ;-)
    Ciao,
    Renato

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    1. Grazie, Renato.
      Hai detto cose giuste, in fondo si dovrebbe tendere sempre a scrivere storie coinvolgenti. Trovare un lettore ideale però non è per nulla facile, anche perché i lettori hanno la tendenza a dire cose sempre diverse sui nostri libri, quindi è difficile orientarsi. Ma penso che il tuo proposito sia giusto e in questo senso è importante pensare alla scrittura come a una forma di comunicazione e non un'attività che facciamo (solo) per il nostro piacere.

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