Francesco Nicolò presenta “Tulipani”

   


“Tulipani” è il titolo del romanzo breve che vi propongo questa domenica. Come è ormai consuetudine in questa rubrica, sarà l'autore stesso, Francesco Nicolò, a parlarci della storia.


Sinossi

Costretto dai genitori a trascorrere un’intera giornata con il nonno, il giovane Federico sbuffa e si deprime. Non gli è mai stato troppo simpatico, quell’anziano e malato parente, sempre così taciturno, triste o distratto. Ma al nonno, quel giorno, va di chiacchierare: vuole raccontare a Federico della sua lontana giovinezza, e per coinvolgerlo è anche disposto a rispolverare memorie intime del suo tumultuoso passato sentimentale. Una donna affascinante, professionista dell’amore, è la destinataria di romantici sospiri di nostalgia. Attraverso quei muffiti e scollacciati ricordi, nonno e nipote confrontano le loro opposte vite, separate da due generazioni, e si riconoscono come esseri umani.


Pur non essendo il mio primo scritto in senso assoluto, tulipani ai tempi della pubblicazione era il più pronto ad essere letto. Tre argomenti (confronto generazionale, inadeguatezza causata dall'esteriorità, perdita della verginità) sono cardine di questo romanzo breve, di certo triti e ritriti in molti altri manoscritti, ma qui ho cercato di farlo con un espediente narrativo che - spero - sia inusuale. Parla di un vecchio nonno ormai costretto alla solitudine, e di un nipotino troppo indietro con gli anni per affrontare certi discorsi, anche se sbrodolati d’ironia spicciola pur di renderglieli digeribili. E parla di una donna, in bilico fra i ricordi di una storia raccontata per rubare il tempo che resta. 

Francesco Nicolò

Incipit

«Hai detto non più di mezz’ora. Lo hai promesso» minacciò Federico. Con lo zaino stracolmo a piegargli la schiena, scese dall’auto, sotto i piedi lo scricchiolare della ghiaia lungo il vialetto.
Sua madre gli lanciò un’occhiata distratta, a malapena voltata verso di lui. 
«Ma sì, te l’ho detto. Stai col nonno un’oretta sì e no, e poi passiamo» disse, infilata fino ai gomiti nel borsone in ecopelle. 
«Un’ora? Ma se…» 
«Fede» lo interruppe il padre. Aveva una voce greve, raschiante, netta autorità nel timbro. Nemmeno lui si voltò, limitandosi a guardarlo dallo specchietto. 
«Sai bene che non abbiamo un gran rapporto con lui. Però non lo vedi mai, manco parla, e hai l’iPad nello zaino se ti annoi. Smettila di fare il bambino» fece lei, rincarando la dose. Lacrime di frustrazione annebbiarono lo sguardo del ragazzo, i pugni stretti, e i denti ancor di più. 
Richiuse la portiera, sbattendola molto più forte del necessario. Vide suo padre che lo fulminava con lo sguardo, senza aggiungere altro. Mamma emerse dall’antro ecosolidale comprato su insistenza delle amiche, e si sporse sul lato del guidatore, chinata oltre il marito. Il finestrino si abbassò.
«Stasera andiamo a mangiare dove vuoi. E appena finiamo là torniamo a prenderti subitissimo. Sì?» propose, il vento ad arruffarle la chioma corvina. 
«Anche al McDonald’s?» disse lui, sospettoso. Armeggiando con l’altro braccio per non perdere l’equilibrio, lei si portò una mano al cuore, solenne. 
«Promesso» disse con un mezzo sorriso. 
L’undicenne sospirò, corrotto e sconfitto. Papà rise sotto i baffi, scoccandogli un’occhiata affettuosa. 
«Sei sempre il solito. Per il giusto prezzo venderesti anche il tuo babbo».

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