Giovanna Mozzillo presenta “Il canto del castrato”

Buona domenica! Rieccomi a presentare un nuovo appuntamento con i libri. Mia ospite oggi è l'autrice Giovanna Mozzillo, per parlarci del suo ultimo romanzo dal titolo “Il canto del castrato”.


Sinossi

È la storia di una duplice travagliata conquista di consapevolezza. Protagoniste due donne, Ippolita e Lucrezia, madre e figlia, appartenenti a una nobile famiglia della Napoli vicereale. La ribellione e il riscatto a cui riusciranno ad approdare costeranno a entrambe un prezzo altissimo, ma consentiranno l'esperienza di una piena e insospettata felicità, resa più esaltante dalla scoperta che voler essere padrone di se stesse costituisce non un peccato ma un diritto. A pilotarle nel non facile processo di liberazione dai condizionamenti cui soggiacciono è ovviamente l'amore. Un amore, in ambo i casi, giudicato inaccettabile dalle convinzioni, dalle convenzioni e dalle "repulsioni" dell'epoca. Perché la madre scopre di amare, riamata, il precettore della prole (un sacerdote che stenta a riconoscersi nei valori della chiesa romana ed è stato conquistato dalla dottrina di Giordano Bruno), mentre la figlia si arrende alla passione di un giovane e celebrato "canterino", per la sua arte invitato nei palazzi e nelle corti di tutta Europa, ma di umilissime origini e, soprattutto, "castrato". Sullo sfondo, la Napoli barocca con i suoi riti, le sue perverse certezze e le sue fatali ossessioni, il borgo montano dove i protagonisti cercano scampo quando in città esplode la peste. Il fascino della vicenda è potenziato dall'uso di un linguaggio che, nel riflettere i ritmi della sensibilità e della comunicatività di allora, risulta sempre vivido e trainante e sa trasmettere a pieno i brividi e l'arcana suggestione di un'epoca inquietante e meravigliosa.


Dunque: anche in questo romanzo, come in tutto quel che ho scritto, riverso le mie suggestioni. D’altronde dalle suggestioni la narrativa non può prescindere, le suggestioni sono il sale, anzi il lievito della narrativa. E in questo caso le suggestioni che cerco di trasmettere son moltiplicate dal fatto che il romanzo  si svolge nel 600, epoca che incanta e al tempo stesso atterrisce, in quanto è infinita bellezza per le meraviglie create dai suoi artisti, ma anche infinito orrore, a causa delle convinzioni distorte che vigevano indiscusse. Ma in questo libro, oltre a trasmettere suggestioni, mi propongo un altro scopo: perché le convinzioni distorte di allora noi le credevamo scomparse e invece a sorpresa le stiamo vedendo riaffiorare. Sicché, descrivendo le conseguenze atroci della loro applicazione e ricostruendo il processo psicologico attraverso il quale le mie protagoniste, in virtù dell’amore, riescono a rendersi conto di quanto siano infondate e a ribellarsi riscattandosi, io, cerco, sia pur nell’ambito minimo delle mie possibilità, di mandare un messaggio a chi legge, per allertarlo contro le follie e le ossessioni che ci assediano in questa stralunata alba di millennio. 
Ma quali erano le convinzioni distorte a cui mi riferisco ? In primis, quella secondo la quale la donna è per natura e volontà di Dio inferiore all’uomo e tenuta a restargli sempre sottomessa. Nel 600 la donna, ritenuta incapace di autogestirsi, dipendeva tutta la vita dall’uomo: dal padre, in mancanza del padre dai fratelli, e, dopo le nozze, dallo sposo. Una dipendenza totale che significava non solo controllo, ma diritto a disporre della sua sopravvivenza. Oggi questa convinzione che almeno nel mondo occidentale fino a qualche decennio fa pareva estinta o sul punto di estinguersi, pare riaffacciarsi. Seconda convinzione allora imperante: quella secondo la quale bisognasse evitare la mescolanza tra le varie qualità di sangue, e contaminare il sangue puro (del nobile) con il sangue impuro (dell’umile o del presunto diverso)  fosse un sacrilegio da scontare con la morte. Beh, anche questa convinzione oggi riappare alla ribalta, insieme al disprezzo e al rifiuto per chi ha un’identità diversa, per fede, razza, cultura, o orientamento sessuale. Insomma, quel che voglio dire è che, anche se si svolge nel 600, il libro tocca argomenti attuali.
 Comunque, a scandire il racconto, è soprattutto il discorso sull’amore. Perché, proprio in quanto illuminate dall’amore vero, l’amore che rifiuta di esser possesso e anzi inorridisce all’idea di poterlo apparire, le mie protagoniste, una madre e una figlia di nobile lignaggio, osano sfidare convenzioni e canoni dell’epoca. La ribellione costerà a entrambe un prezzo altissimo, ma consentirà la scoperta della propria identità e l’esperienza di una breve ma autentica felicità.

Nel libro è  descritta anche la quotidianità della Napoli barocca: la carenza di rapporto tra genitori e figli (nelle famiglie nobili i bambini appena nati venivano tolti alle madri e affidati prima alle nutrici e poi ai precettori), gli spettacoli, la musica, le canzoni, l’immaginario collettivo (la familiarità con Orlando e gli altri protagonisti del ciclo carolingio, le leggende d’oltremare narrate ai figli dei padroni dagli schiavi saraceni).
Altri elementi: la peste, che ho inserito nella vicenda (anche se il libro l’ho scritto quando non immaginavo l’avvento del Covid), perché, col continuo incombere della morte che determina, fa emergere il peggio e il meglio dell’anima umana.
La natura: quella di Napoli che allora era un paradiso di selve e giardini solcati da una miriade di ruscelli, quella di Posillipo in cui era ancora percepibile la presenza del mito, e quella del borgo abruzzese dove i protagonisti si rifugiano nel tentativo di sottrarsi al contagio.
Poi il mistero: che si insinua nella trama con un evento inspiegabile avvenuto nel borgo di Santo Strato e prima ritenuto miracolo, poi interpretato come opera diabolica, con l’ossessivo ululare dei lupi nel buio, e, soprattutto, con la  malia intrigante e sinistra del labirinto.
Infine: il libro constata l’inevitabilità del dolore, ma mostra pure come, malgrado tutte le occasioni di strazio e delusione che offre, la vita sia un continuo portento. E  alla fine è la vita che  trionfa.

Giovanna Mozzillo

Incipit

Lucrezia se ne è accorta. Oh, non poteva non accorgersene. Solo un cieco non noterebbe che, quando scende in cappella per la prima messa, la signora madre ha il volto pallido e due ombre scure a contornarle gli occhi. Un vero peccato perché essi son molto belli e, come dice don Cosimo, sembra riflettano il colore del cielo. 
La cagione di siffatta sofferente sembianza? Ecco: è che, per quanto è lunga la notte, il signor padre non smette di penetrarla col suo membro grosso e duro, ed ella spasima perché dopo undici gravidanze si ritrova con la vulva stremata e piagata. La nutrice, che col pargoletto ultimogenito dorme nella stanza attigua, la sente gemere e implorare affinché le sia concessa  tregua, sennonché il signor padre non desiste, e, dice la nutrice, esercita il suo diritto, in quanto un uomo vigoroso ha bisogno di espellere gli umori che gli ammorbano il corpo e la signora madre, essendogli sposa e vassalla, è tenuta a sottostare.
“Ma, conclude la nutrice, dammi retta, Lucrezia, tu non è il caso che ti appauri, in quanto il cugino don Venanzio al quale sei promessa è gracile e smunto, e allora, presumibilmente, anche il suo membro sarà esile e non ti infliggerà tormento.” 


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Commenti

  1. Ringrazio Maria Teresa Steri per avermi ospitato. Vedete: i libri son come figli. E, come se fossero figli, chi scrive vuol farli vivere a lungo. Ma, affinché vivano, è necessario che i lettori seguano con emozione le avventure dei personaggi, immedesimandosi nelle loro incertezze, ansie, speranze, paure, gioie, sofferenze, al modo in cui in esse si è immedesimato l'autore. Quindi, far conoscere un proprio romanzo significa cercare un tramite per condividere l'esperienza vissuta scrivendolo. Che, di tutte, credetemi, è l'esperienza più appassionante. Perché si diviene altri, pur restando se stessi.

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    1. Belle parole, Giovanna, hai espresso anche il mio pensiero. E' stato un piacere ospitarti.

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  2. Il lessico usato nel parlare del tuo romanzo mi fa pensare che tu sappia trasmettere bene le suggestioni cui accenni. Complimenti e buona fortuna a te, Giovanna, e grazie a Maria Teresa.

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