Lo scrittore vive in due mondi
Se sei davvero uno scrittore, non puoi non essere in due mondi diversi. Gli scrittori non ci sono con la testa, perché una parte di loro è sempre altrove, e con "altrove" intendo il mondo di cui scrivono in quel momento. Gli scrittori vivono in due mondi. Il mondo reale degli amici e dei familiari e il mondo immaginario dei loro romanzi. Se si dovesse calcolare il tempo rispettivamente passato nell'uno e nell'altro, penso che la differenza sarebbe molto piccola. (Terry Brooks)
Vi ritrovate in queste parole? Sono tratte dal libro dello scrittore Terry Brooks "A volte la magia funziona. Lezioni da una vita di scrittura", che sto leggendo attualmente.
Io ho trovato quest'idea molto in linea con quello che mi capita. E penso che accada un po' a tutti coloro che scrivono di narrativa di immergersi di tanto in tanto nel loro mondo fittizio, anzi credo che sia proprio una necessità quella di entrare in questa realtà per poterla descrivere adeguatamente e identificarsi con i personaggi che vi appartengono. E ovviamente non parlo solo di romanzi fantasy, ma di qualsiasi genere.
Probabilmente è del tutto naturale questo "essere altrove", questo lasciarsi assorbire da ciò che si immagina, quasi come se fosse vero. E' utile di certo per trasmettere l'illusione della realtà anche in chi legge, anzi forse è questa una delle aspirazioni di chi crea storie: trascinare anche i lettori nel suo mondo.
E non sarebbe possibile creare personaggi vivi senza avere una grande familiarità con loro, un'intimità maturata grazie alla frequentazione.
Tutto ciò suona un po' folle, vero?
D'altra parte anche l'approccio alla realtà di tutti i giorni è diverso quando si scrive. Si guarda tutto con occhi un po' distanti, da osservatori, pronti a cogliere tutto quello che potrebbe trasformarsi in un dettaglio utile per una descrizione o in un elemento della trama. C'è sempre una parte di noi che è pronta ad afferrare ciò che ci circonda per utilizzarlo in seguito.
E poi c'è da dire che nei tempi attuali a un autore si richiede sempre più di uscire allo scoperto, di partecipare alla realtà sociale per promuoversi e far circolare il suo nome. Non c'è più l'idea del romanziere isolato nel suo studio, ma il contatto con i lettori diventa un fatto necessario.
E' proprio di oggi un post a questo proposito di Daniele Imperi su Come promuoversi come autori indipendenti. Ma naturalmente ciò non è valido solo per chi sceglie la via dell'autopubblicazione.
Di certo Internet ha favorito questo processo di apertura e il confronto tra persone che scrivono sta diventando naturale.
Eppure, chi scrive deve poi necessariamente tornare a isolarsi, a ritirarsi in se stesso per poter continuare a dar vita alle sue storie, perché c'è bisogno di riflessione, di sentirsi soli e protetti dalla realtà di tutti i giorni per essere creativi. Insomma, per chi scrive la capacità di concentrarsi in un mondo immaginario va di pari passo con il vivere la realtà vera. Soprattutto per non correre il rischio davvero di scivolare nella follia...
Voi cosa ne pensate?
Anima di carta
Vi ritrovate in queste parole? Sono tratte dal libro dello scrittore Terry Brooks "A volte la magia funziona. Lezioni da una vita di scrittura", che sto leggendo attualmente.
Io ho trovato quest'idea molto in linea con quello che mi capita. E penso che accada un po' a tutti coloro che scrivono di narrativa di immergersi di tanto in tanto nel loro mondo fittizio, anzi credo che sia proprio una necessità quella di entrare in questa realtà per poterla descrivere adeguatamente e identificarsi con i personaggi che vi appartengono. E ovviamente non parlo solo di romanzi fantasy, ma di qualsiasi genere.
Probabilmente è del tutto naturale questo "essere altrove", questo lasciarsi assorbire da ciò che si immagina, quasi come se fosse vero. E' utile di certo per trasmettere l'illusione della realtà anche in chi legge, anzi forse è questa una delle aspirazioni di chi crea storie: trascinare anche i lettori nel suo mondo.
E non sarebbe possibile creare personaggi vivi senza avere una grande familiarità con loro, un'intimità maturata grazie alla frequentazione.
Tutto ciò suona un po' folle, vero?
D'altra parte anche l'approccio alla realtà di tutti i giorni è diverso quando si scrive. Si guarda tutto con occhi un po' distanti, da osservatori, pronti a cogliere tutto quello che potrebbe trasformarsi in un dettaglio utile per una descrizione o in un elemento della trama. C'è sempre una parte di noi che è pronta ad afferrare ciò che ci circonda per utilizzarlo in seguito.
E poi c'è da dire che nei tempi attuali a un autore si richiede sempre più di uscire allo scoperto, di partecipare alla realtà sociale per promuoversi e far circolare il suo nome. Non c'è più l'idea del romanziere isolato nel suo studio, ma il contatto con i lettori diventa un fatto necessario.
E' proprio di oggi un post a questo proposito di Daniele Imperi su Come promuoversi come autori indipendenti. Ma naturalmente ciò non è valido solo per chi sceglie la via dell'autopubblicazione.
Di certo Internet ha favorito questo processo di apertura e il confronto tra persone che scrivono sta diventando naturale.
Eppure, chi scrive deve poi necessariamente tornare a isolarsi, a ritirarsi in se stesso per poter continuare a dar vita alle sue storie, perché c'è bisogno di riflessione, di sentirsi soli e protetti dalla realtà di tutti i giorni per essere creativi. Insomma, per chi scrive la capacità di concentrarsi in un mondo immaginario va di pari passo con il vivere la realtà vera. Soprattutto per non correre il rischio davvero di scivolare nella follia...
Voi cosa ne pensate?
Anima di carta
Ciao,
RispondiEliminaio credo che sia vero. Non posso definirmi una scrittrice perchè non lo sono, non ho le basi giuste e l'esperienza che serve, sono una che si diverte e scrive per puro piacere. Però mi rendo conto che la necessità di scrivere spesso scaturisce anche dall'osservare la realtà, a volte in maniera reale altre volte aggiungendoci la fantasia. Quando si scrive si vive in due mondi, quello reale e quello creato da noi, non a caso molti scrittori, come Hosseini, dicono che i loro personaggi sono amici, persone di famiglia, perchè da creatore sei tutto di loro, la loro storia, il loro carattere, il loro passato , tutto questo da quasi la sensazione di tangibilità del personaggio, come se esistesse e facesse parte della tua vita, quella che passi nella tua storia. Quindi i due mondi esistono e lo scrittore non è più colui che sta dietro una scrivania con un calamaio, anche se secondo me non lo è mai stato, il vero scrittore per me è un osservatore, scruta, guarda, studia e poi racconta una storia che è l'equivalente di quel mix fatto di realtà e invenzione.
Buona giornata
Certo, la scrittura deriva principalmente dall'osservazione del mondo, ma forse esistono anche delle eccezioni con storie che nascono soprattutto da ciò che viene "da dentro" e dalla totale immaginazione, sempre cmq mescolate con ciò che lo scrittore conosce.
EliminaA proposito del definirsi scrittori, secondo me uno scrittore è semplicemente uno che ama scrivere, a prescindere da quanto sia bravo o se ha pubblicato o no. Di solito preferisco usare il termine "autore" per definire chi pubblica, ma restano solo parole, in fondo...
Concordo, lo scrittore di romanzi vive in due mondi paralleli e i personaggi che crea diventano per lui una sorta di persone "reali" con le quali discorre, pensa, riflette, progetta, soffre, gioisce... insomma, lo scrittore è un uomo fortunato.
RispondiEliminasinforosa castoro
Vero, è fortunato, ne sono sicura anche io :)
EliminaE benvenuta da queste parti!
Solo due mondi? Io spesso mi sento un portofranco spaziodimensionale, e a ogni svolta potrei capitare in un qualche altrove.
RispondiEliminaPoi mio marito mi sgrida perché sono maldestra e faccio cadere le cose oppure inciampo...
eheheheheheeh... E' la controparte della faccenda stare con la testa tra le nuvole!
EliminaIl problema è poi decidere in quale mondo stare, molto spesso si rischia la paranoia...
RispondiEliminaBeh, si presume che chi vive in due mondi non perda mai di vista qual è il mondo "reale" :)
EliminaAltrimenti siamo veramente sulla buona strada x la follia...
Non ci vedo niente di male nella follia perchè è solamente la rottura di barriere create dalla maggior parte delle persone ed è naturale che molti non si riconoscano in tutta la moltiditudine e che prenda la voglia di uscirne...anche perchè proprio stando troppo con la gente si rischia di perdere ogni percezione della realtà.
RispondiEliminaBeh, se per follia intendi uscire dalla normalità, dal conformismo, dal pensare comune e da un certo modo di vedere le cose, capisco che non ci sia niente di male. Anzi...
EliminaPerò ci sono vari gradi di follia... e non credo che siano tutti auspicabili!