Ha senso parlare di autoeditoria?

Aspettava l'editore giusto

Oggi avevo programmato un altro post, ma leggendo la Lettera all'autoeditore del blog Dadovestoscrivendo di Helgaldo mi è venuta voglia di fare qualche riflessione in proposito. Solo riflessioni, sia ben chiaro. Ovviamente, prima di tutto, vi invito a leggere l'articolo originale, che pur usando toni sarcastici pone delle questioni su cui vale la pena ragionare.

Una questione di definizioni?

Per le mie considerazioni parto dalla definizione di autoeditore che sembra imperversare ultimamente tra chi sceglie tra via del self publishing. Helgaldo nel suo post si interroga se l'uso di questo termine possa cambiare qualcosa:
All’inventore dell’autoeditore vorrei dire: ma sei sicuro che introducendo questo neologismo hai risolto il problema? 
Io dico di no. Non credo che definirsi in un modo piuttosto che in un altro possa fare la differenza agli occhi degli addetti ai lavori o dei lettori. Purtroppo non basta a cambiare la percezione esterna. Benché comprenda che questo termine miri a trasmettere un senso di serietà, professionalità e quindi qualità, personalmente non lo trovo così utile a cambiare la realtà. In sostanza, non credo che termini politicamente corretti abbiano il potere di rivoluzione i pregiudizi o i giudizi, così come fa giustamente notare Helgaldo operatore ecologico e spazzino sono di fatto solo termini diversi per identificare un'unica figura.

Per me un termine non dà valore al concetto al quale si riferisce. La mia impressione, quindi, è chi è addentro al mondo dell'editoria continuerà a percepire il selfer sempre in modo critico, perché ha fatto scelte diverse, perché di fatto l'editoria tradizionale e l'esperienza di un autore indipendente sono due realtà antitetiche. In sostanza chi fa da sé ai nostri tempi sarà sempre visto in modo inferiore, come malaticcio, triste, sfigato (cito Helgaldo). In futuro chissà.

Ma i lettori come la pensano? Allo stesso modo degli addetti ai lavori? Direi proprio di no. Per mia esperienza, chi legge guarda ben altro. A lui interessa la storia, non chi l'ha pubblicata. I lettori puri comprano un libro se pensano di ricavare da quell'acquisto qualche ora di svago, il piacere di leggere. A loro delle diatribe sul self pubhishing non gliene frega niente, anzi la maggior parte non sa neppure cosa significa. E qualcuno resta pure a bocca aperta se dici che no, un editore non ce l'hai perché hai fatto tutto da solo.

Quindi non basta cambiare le definizioni per cambiare la percezione di una realtà, su questo sono d'accordo.

La differenza c'è. E si vede

Al di là della questione terminologica, c'è poi da considerare altro. Dice Helgaldo:
Ma «autoeditore»? Davvero è la soluzione che parifica la vostra attività a quella dell’editore senz’auto? Andate a una di quelle conferenze dove gli editori parlano dei loro guai di fronte a un vasto pubblico, cercate di prendere la parola, e poi dite al microfono che siete un autoeditore. Minimo minimo chiameranno la sicurezza. 
Anche qui mi trovo d'accordo sul dire che autoeditore ed editore non sono la stessa cosa. La differenza viene sensibilmente sentita nel settore specifico dell'editoria: nelle fiere, nelle librerie, ecc. Ma non solo. L'autore indipendente non ha le stesse risorse, prerogative o opportunità di un editore. Non mentiamo a noi stessi affermando il contrario. Un editore ha un budget più o meno grande per la promozione, la pubblicità, ha un team di professionisti che si occupano delle varie fasi di realizzazione del prodotto libro. Ha alle spalle esperienza nel campo. E soprattutto spesso ha un nome che gli apre delle porte. Helgaldo ha fatto l'esempio delle fiere, delle conferenze, ma la questione si può riportare anche a situazioni meno importanti. Il nome spesso significa anche fiducia, prestigio.

Autonomia non significa autoaffermazione

Finora quindi mi trovo d'accoro con quanto dice l'articolo. Ma non lo sono con la premessa di tutto ciò:
Bravi, anziché confrontarvi alla pari con un editore, vi crogiolate nell’autolesionismo, nell’autoinganno, nell’autocertificazione collettiva dell’esservi tutti fatti da soli.
La maggior parte degli autori self che conosco, me compresa, non ha scelto di fare tutto da solo per una sorta di superba autoaffermazione, né per il timore di un confronto con gli editori. Il più delle volte alla base di questa scelta alternativa non c'è la mancanza di coraggio nell'affrontare l'editoria tradizionale o la voglia di scegliere una strada facile, ma solo l'intento di cogliere un'opportunità che altrimenti non si potrebbe avere.

Ma non posso parlare per conto di altri, quindi provo a parlare di me. In dieci anni, editori seri che potessero garantirmi più di quello che posso ottenere da sola non ne ho trovati. Dunque non credo mi si possa dire che ho avuto paura di confrontarmi con un editore. Anzi, io penso che uno scrittore dovrebbe fare l'esperienza di pubblicare con un editore almeno una volta, lo ritengo un passo importante per riuscire a capire almeno un pochino questo mondo.

Tuttavia, l'esperienza fatta con un editore mi ha portata ad alcune semplici conclusioni. Ovvero che non sempre vale la pena di affidare a un presunto professionista la tua opera, in alcuni casi è addirittura controproducente. Con ciò non voglio dire che non esistano piccoli o micro editori seri, ma che non necessariamente è la scelta più saggia rispetto all'autonomia.

Inoltre, far arrivare ai grossi nomi un testo oggi è quasi una mission impossible. Ci vogliono agganci, ci vuole il supporto di un'agenzia di prestigio (e pure loro non sempre arrivano lontano). E che dire poi quando persino i piccoli editori non rispondono alle semplici richieste di informazioni? Sapeste quante volte mi è successo. Nessuno si è scomodato a rispondermi, però poi il mio indirizzo lo hanno usato eccome, quando si è trattato di informarmi di uscite o chiedermi segnalazioni!

Nessun autore self è solo

Un'altra cosa su cui dissento è la presunta chiusura da parte dei selfer di cui parla Helgaldo.
La differenza tra editoria e autoeditoria non sta nel sostantivo, che è identico, ma nell’aggiunta di quell’elemento auto- che vi chiude in voi stessi, come autoreferenziale, autocitazione, autocommiserarsi, autoerotismo – quanti termini negativi, tranne l’ultimo, che almeno giunge a un risultato –.  
Dalla mia osservazione, un autore self è proprio il contrario che chiuso in se stesso. Perché da soli nel mondo del self pubhishing non si sopravvive. Un autore che decide di pubblicare per proprio conto ha estremo bisogno di confrontarsi con gli altri e di collaborare con chi ne sa più di lui, proprio perché non ha il supporto di un editore. Non vedo dunque autori chiusi nel proprio orticello, nei paletti che essi stessi hanno eretto, anzi, vedo autori alla perenne ricerca di collaborazioni, tutt'altro che soli. Inoltre, è proprio la condizione di indipendenza che spinge ad avvicinarsi ai lettori molto più che in altri casi. Quindi, autonomi sì, ma non autosufficienti.

La mia scelta da single

In autunno dovrebbe uscire il mio terzo romanzo e, a meno di novità dell'ultima ora, uscirà come autoprodotto. Ho scelto ancora di essere single dunque, ma non perché ami alla follia questa condizione, ma perché non mi va di accontentarmi di un piccolo editore. Essere soli qualche volta è meglio che essere intrappolati in un rapporto poco soddisfacente o addirittura nocivo.

Ci possono essere molte ragioni per scegliere di non farsi pubblicare da un editore. La più semplice è che non si trova un editore a cui valga la pena di affidare ciò che si è scritto ma si desidera comunque farlo arrivare ai lettori. Quindi io dico: self pubishing è meglio che tenere un libro ad ammuffire. Tuttavia io non mi vedo come un autoeditore né tanto meno un'editrice presso me stessa (che brutta definizione, speriamo tramonti presto!).

Non vorrei avere un bravo editore al mio fianco? Ma certo che sì. Intanto perché fare tutto da soli è faticoso. Poi perché ogni piccola decisione che si prende in autonomia comporta mille dubbi, la paura di sbagliare. E poi perché so bene che apporre un marchio di prestigio su un libro, come su qualsiasi prodotto fa una grossa differenza. Ma ciò nonostante continuo a preferire la solitudine a un matrimonio tiepido.

Dunque la mia conclusione è che parlare di autoeditoria non ha senso, non fino in fondo per lo meno. Continuo a preferire la definizione di autore indipendente, se proprio abbiamo bisogno di etichette per definire questa realtà.

Commenti

  1. "Ma ciò nonostante continuo a preferire la solitudine a un matrimonio tiepido."

    Penso che con questa frase tu abbia centrato in pieno il nocciolo della questione.

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    1. Sai, penso anche io che alla fine la questione sia molto soggettiva. Si può parlare a lungo su pro e contro, ma la scelta poi resta per lo più quella che si fa con il cuore.

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  2. La prima volta che ho letto il tuo libro mi sono detta, caspita che brava, fammi vedere chi è l'editore?
    Ecco ho risposto.
    Lo scrittore fa la differenza e tu come alcuni altri, di cui non mi pare corretto fare nomi, ma almeno due donne e due uomini li ho sulla punta della lingua e fanno parte del giro dei blog che seguo, sono talmente tanto bravi che meriterebbero un bravo editore in grado di sollevarli dal peso della promozione.
    Poi il resto sono dissertazioni di chi vuol fare filosofia. Concordo che i termini restino solo termini, se si è bravi viene fuori, che ci si chiami self, indie, autoeditori, autoprodotti, la sostanza non conta.
    E tu, brava lo sei.

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    1. Grazie Nadia, le tue parole sono davvero molto rincuoranti. Dici bene sul "peso della promozione", quello è un nodo dolente da cui non si può prescindere. Ma del resto sappiamo come gira il mondo dell'editoria, dunque non si può fare altro che adeguarsi. Il resto sono dissertazioni, vero.

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  3. Pienamente d'accordo. Chi sottilizza sui termini ("autopubblicato", "autoeditore", etc.) mi fa venire in mente la frase di un maestro zen, spesso citata, che diceva che se usava il dito per indicare la luna, l'interlocutore avrebbe dovuto capire che doveva guardare la luna, non il dito...

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    1. Direi che è una frase molto appropriata. Sono solo parole, non cambiano la sostanza, la realtà. Il cambiamento deve venire da altre parti, ma ci vorrà molto tempo ancora, secondo me.

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  4. Io credo che spesso si parli di self publishing senza cognizione di causa. Nonostante anni di chiacchiere, la maggior parte degli opinionisti del blogging, non ha compiuto un percorso di crescita, ma come criceti in una gabbia corrono sulla stessa ruota senza aver maturato un pensiero maggiormente consapevole.
    Se vogliamo soffermarci sulle definizioni, possiamo dire che auto editore non l’ha inventato nessun italiano. È semplicemente la traduzione letterale di un termine coniato negli Stati Uniti, ovvero self-publisher. Che rievoca l’altro termine, più corretto, auto-pubblicazione, ovvero self-publishing. Ma se proprio vogliamo sondare la puntigliosità dei termini, c’è ne un altro, il più importante da considerare: indie author, ovvero scrittore indipendente.
    Lo scrittore indipendente è lo scrittore consapevole che sceglie di non pubblicare con un editore, ma di costruire una propria carriera di scrittore autonomamente. Ciò non significa rinunciare all’editoria tout court. Ma semplicemente la facoltà di scegliere se avvalersi o meno degli editori.

    Qualcuno obietterà. Ma se voi siete scrittori indipendenti, gli scrittori pubblicati dagli editori, sono scrittori dipendenti?
    Ovvio che sì. Chi sceglie l’editoria esiste soltanto nel momento in cui un editore decide di pubblicare il suo libro. Se le lettere di presentazione finiscono nel vuoto, se l’agente non riesce a piazzare il manoscritto, se nessun editore è disposto a pubblicare il libro, lo scrittore dipendente semplicemente non esiste. Ha scritto un libro, ma nessuno lo leggerà mai. La sua esistenza dipende dall’editoria. Per confermare la tesi, basta considerare che un editore acquisisce i diritti commerciali del libro e da quel momento, del libro, può farne ciò che vuole. Promuoverlo o non promuoverlo. Distribuirlo su tutti gli store o metterlo fuori catalogo. Per la durata dei diritti ceduti: 5/10/20 anni, lo scrittore dipende dalla volontà dell’editore. L’editore sceglie il prezzo, lo alza o la abbassa a seconda della sua strategia, fa o cambia la copertina a suo piacimento, può fare ciò che vuole del libro dello scrittore, anche rimaneggiarlo e farne un distillato se l’autore ingenuamente non si è opposto a quella clausoletta che riteneva innocua. Se non è dipendenza questa.
    (...continua con un nuovo commento, blogger dice che ho superato il limite dei caratteri...)

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  5. (prosegue dal precedente commento)

    Lo scrittore indipendente invece sceglie di gestire in proprio il libro, cercando di avvicinarsi all’unica cosa che conta: i lettori.
    Molti credono che il fine di pubblicare sia accedere all’editore. No, non è così. Il fine del pubblicare è arrivare ai lettori.
    Pertanto non c’è nessuna differenza fra lo scrittore indipendente e lo scrittore dipendente. Entrambi scrivono un libro, entrambi pubblicano un libro, entrambi sperano di arrivare ai lettori.
    L’unica differenza sono i mezzi. Il self publishing è un mezzo (con le sue regole di qualità da rispettare, imposte non da un manifesto, ma dal mercato, dai lettori che giudicano il libro); l’editoria un altro (con la sua lunga filiera); però il fine identico.
    Chi ad esempio pensa che gli scrittori self-publisher appartengano a una categoria a parte, è semplicemente il criceto che gira sulla sua stessa ruota.
    Lo scrittore pubblicato dall’editore delega (ma ormai non è più così, gli editori dai grandi ai piccoli, pretendono che l’autore si sbatta incessantemente nella promozione del libro), mentre lo scrittore indipendente si approccia direttamente ai lettori senza filtro.

    Già, il filtro. Non quello delle sigarette, che fa male, ma quello editoriale, che fa bene(!). I più accaniti contrari al self contestano proprio questo, l’assenza del filtro editoriale nel self publishing. Tutti possono pubblicare: che schifo, che orrore!
    Si potrebbero dire tante cose sulla mancanza del filtro. Si potrebbe dire che il filtro, anziché essere a monte, è a valle, ovvero sono i lettori che possono stroncare i libri fatti male. Si potrebbe dire che come nell’evoluzione della specie, emergono soltanto i libri meritevoli. Che anche nell’editoria si pubblicano schifezze di ogni tipo. Ma il punto più semplice ed evidente è che il filtro è soltanto un problema mentale di chi se lo pone. Io non me lo pongo, quindi il problema non esiste.
    I tempi moderni sono questi, il facile accesso alla pubblicazione. Come se il problema fossero le automobili perché oggi giorno tutti possono permettersene una, mentre nell’Ottocento le carrozze potevano permettersele solo i nobili. La tecnologia consente di pubblicare a tutti. È così, non è un problema, è la realtà dei tempi.
    Ci sarebbero tante altre cose da dire sul self publishing. Delle potenzialità di questo strumento per gli autori moderni. Si potrebbero raffrontare i punti di forza e le debolezze del self publishing e dell’editoria, così ciascuno, a seconda delle proprie attitudini, potrebbe scegliere il percorso che meglio si addice alle sue caratteristiche di scrittore. Ma i blogger non affrontano argomenti costruttivi sul self publishing. L’unico sfogo che riescono a espletare è la demonizzazione, l’irrisione facile, una mancata riflessione sul fenomeno. Francamente ogni volta che ho provato a compiere ragionamenti costruttivi sul self publishing, non ho mai trovato terreno fertile. Così ho smesso da un pezzo di commentare, credo proprio che non ne valga la pena. Meglio fare che perdere tempo in chiacchiere inutili. Oggi mi sono permesso di commentare nuovamente, perché tu, Maria Teresa, sei una delle persone che stimo maggiormente, e partecipare alla tua pacatezza, è sempre un piacere. Dai che aspetto il terzo pargoletto. Per qualsiasi cosa, sai sempre dove trovarmi. ;)

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    1. Applausi per il post di Maria Teresa. Standing Ovation per i commenti di Marco. Ehm, si capisce che concordo in pieno?

      Stavo per scrivere un post mio ma sono talmente d'accordo con i tuoi commenti che il mio post rischierebbe di passare per plagio... :-D
      Ho reso l'idea?

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    2. "Molti credono che il fine di pubblicare sia accedere all’editore. No, non è così. Il fine del pubblicare è arrivare ai lettori. "
      Questa è la frase che secondo me dice molto sul modo di vedere di tanti e ci sarebbe tanto da riflettere in proposito. E' difficile che un modo di vedere cambi se neppure le persone coinvolte aprono gli orizzonti. Ovvero, come può cambiare il pregiudizio da parte di lettori se gli stessi autori vedono l'editore come il Santo Graal?
      Ma il problema, Marco, è proprio quello che hai sottolineato: non c'è un terreno fertile, ognuno è chiuso nelle proprie idee.
      Io con il mio post volevo soprattutto far capire che la realtà dell'auto pubblicazione è sfaccettata, e proprio per questo ne capisco anche i limiti.
      @Darius Grazie, mi fa piacere che concordi :)

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  6. Che bella pagina questa di oggi! E che interventi assennati e veri! Io continuo a ritenermi un'autrice poco incline all'autopromozione (perché sono vecchia e tecnologicamente analfabeta) ma so per esperienza che la mia condizione non cambierebbe di una virgola se mi pubblicasse un piccolo editore (l'ho già provato). Spero che le cose cambino per autori più giovani e più determinati di me, ma una cosa ho imparato: non tutti i libri autopubblicati lo sono perché rifiutati dagli editori. Sarebbe ora di proclamarlo ad alta voce. Grazie Maria Teresa!

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    1. Grazie Nadia, sono pienamente d'accordo. Si continua infatti a parlare di editoria/autopubblicazione in modo antitetico, ma di fatto la piccola editoria non fa quasi promozione, editing, ecc, e dunque non c'è vantaggio nel pubblicare con loro. La media e la grande sono invece talmente poco accessibili che non vedo il senso di fare un paragone.

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  7. Gli autori self sono percepiti dal popolino come gli immigrati: uno sbaglia, e tutti pagano. In realtà il sistema dell' autoeditoria funziona, e lo dimostra il fatto che sforni quotidianamente prodotti di valore. C'è anche tanta fuffa, è vero. Ma voglio essere ottimista e pensare che la qualità prima o poi scalzerà la vanity-press, e che ognuno avrà ciò che merita.

    Non mi convince fino in fondo, però, il concetto di "editoria indipendente" associata al self, che per me ha sempre rappresentato una casa editrice tradizionale, non affiliata alle major. :)

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    1. Sono d'accordo, il concetto di "editoria indipendente" non ha niente a che fare con un selfer, questo è il succo delle mie riflessioni.
      Per il resto, è vero che ci sono tanti pregiudizi intorno a questa realtà e il paragone che hai fatto è molto azzeccato.

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  8. "I lettori puri comprano un libro se pensano di ricavare da quell'acquisto qualche ora di svago, il piacere di leggere. A loro delle diatribe sul self pubhishing non gliene frega niente, anzi la maggior parte non sa neppure cosa significa."
    Applauso.
    "Ma ciò nonostante continuo a preferire la solitudine a un matrimonio tiepido."
    O per dirla in altri termini: meglio del vivace e fantasioso autoerotismo che sesso matrimoniale scadente. O assente.
    Soprattutto concordo sul fatto che occorre provare entrambe le strade, prima di capire qual è la propria. C'è pure chi preferisce un matrimonio tranquillo e pacifico, questione di carattere, in fondo. ;)

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    1. Indubbiamente c'è bisogno di scegliere con cognizione di causa e provare entrambe le strade è utile. Non metto in dubbio che ci siano persone più a loro agio con l'editoria tradizionale, fosse pure un piccolissimo editore. Molto dipende dall'indole personale, l'importante è non demonizzare a prescindere.

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  9. Non so se il termine auto-editoria derivi pari pari dalla traduzione di self-publishing, perché almeno dal 2013 (forse anche prima nell'ambiente) in america circola il termine "author entrepreneur" (letterale "autore imprenditore"), che coincide di più al concetto di autore che cura la qualità del suo libro pubblicato in self-publishing.
    Al solito, gli americani si sono mossi un po' prima di noi... (sebbene gli amici oltre oceano mi confermino che le diatribe di questo tipo sono tuttora in corso).

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    1. Forse anche laggiù sono ancora in cerca del termine giusto. Peccato che noi arriviamo sempre dopo e difficilmente cerchiamo di formarci un pensiero nostro...

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  10. Il mondo del self non è tutto uguale. Ci sono piattaforme che hanno vincoli e regole che somigliano molto all'editoria tradizionale senza assumerne gli oneri. Né a livello di costo (che si carica interamente l'autore) nè tanto meno di distribuzione o di qualità (mettere un link i rete non è distribuzione, dai). Abbiamo l'illusione di essere liberi. Ma lo siamo davvero? Non voglio essere libera di sbagliare.La pubblicazione di un'opera dovrebbe essere un lavoro di squadra. Sogno ancora l'editori seria, quella che però non guarda con attenzione piccole esperienze di scrittura, ahimè
    Credo siamo giunti a un bivio: l'editoria è in crisi, ma ancora non è emersa una strada convincente. L'autoerotismo dopo un po' stanca.... :). Ma è singolare come in questa discussione sia emersa proprio questa metafora....
    PS: Parlo a ragion veduta, in quanto ho entrambe le esperienze: piccolo editore e self

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    1. Hai fatto delle giuste osservazioni, anche il mondo del self non è tutto uguale. Bisogna constatar che ci sono molti che cercano di approfittare della buona fede di chi sceglie questa strada. O anche delle piattoforme piene di vincoli. D'altronde l'autonomia pura non esiste, perché comunque si dipende da qualcuno per le vendite.
      Speriamo che il futuro ci riservi qualche cambiamento radicale anche nel mondo dell'editoria, perché non credo che così le cose possano proseguire a lungo.

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  11. Non entro nella diatriba sul termine perché non conosco abbastanza l'inglese per dire quale sia la traduzione migliore. Tuttavia mi viene da pensare che il termine autoeditoria sia entrato in gioco per far comprendere che per autopubblicarsi non è sufficiente scrivere (come forse potrebbe esserlo con l'editoria tradizionale), ma è necessario gestire tutte le operazioni tradizionalmente affidate all'editore e, anche nel momento in cui ci sia avvalga di collaboratori, è comunque indispensabile coordinarli e dirigerli nell'insieme.
    Tuttavia credo che oggi la scelta tra autopubblicarsi e cercare una casa editrice abbia alla base un concetto metodologico e quasi filosofico. Come già commentavano altri prima di me, si tratta di prediligere la dipendenza da un soggetto (casa editrice) in grado, però, di fornire alcuni servizi (editing, grafica, marketing) o la totale indipendenza.
    Condivido ciò che dice Marco sul fatto che la traduzione migliore probabilmente è proprio indie, perché mette l'accento non tanto sul fatto che un autore faccia tutto da sé (non è detto che ciò avvenga se si avvale di collaboratori), ma che sia indipendente nel suo processo editoriale.
    Non si capisce allora perché nella musica e nel cinema gli indie godano di uno status symbol legato alla maggior qualità rispetto ai prodotti "di cassetta", mentre nell'editoria vi sia il pregiudizio opposto.

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    1. Gli indie nel cinema devono reperire i capitali sul mercato per produrre le loro idee, e si tratta di budget notevoli. Quindi l'indie cinematografico viene quasi sempre da esperienze professionali ben precise. Invece come dice Marco Amato i tempi moderni sono questi, il facile accesso alla pubblicazione. Aggiunge anche che il filtro è solo un fatto mentale e lui non ne tiene conto. Quindi non paragoniamo gli indie di altri settori con quello editoriale. Tutti sanno scrivere ma non tutti sanno gestire una produzione cinematografica.

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    2. La scelta tra la dipendenza o meno da un editore esiste in alcuni casi, però non credo che sia il nocciolo. Voglio dire, io posso essere ben lieta di legarmi anche per un lungo periodo a un editore dal nome prestigioso, in grado di fornirmi un supporto valido in tutta la produzione del mio libro, editing, copertina, promozione, ecc. Ma al contrario non lo sono affatto di legarmi a doppio filo a qualcuno che mi dà uno scarso supporto professionale e che pure mi tiene vincolata per anni e si porta pure via una bella fetta di guadagni. Quindi direi che un discorso unico non si può fare. L'indipendenza è una buona cosa, ma può essere anche può conveniente la dipendenza. E viceversa.

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  12. Se avevi programmato un altro post e poi ti sei indirizzata su questo è un indizio che la questione è sentita più di quanto si voglia ammettere.

    Però devo tirarti le orecchie: ma come, non ti piace «editore presso se stesso»? Ho fatto di tutto – io mi sacrifico per voi e questo è il vostro ringraziamento? – per elevarvi, o abbassarvi, al livello di editori, e voi rifiutate di entrare nel mondo dorato dell'editoria dalla porta principale?
    Eppure può capitare su Amazon che il tuo libro possa essere affiancato a un romanzo Mondadori. Lui ha un prezzo, tu hai un prezzo. Entrambi siete giunti lì con le stesse prerogative editoriali, fare soldi vendendo copie. O fare cultura offrendo pensieri autoriali. Mondadori Editore, Steri Editore, senti come vibrano autorevoli?

    Oggi nella Sala grande, ore 18, Steri Editore presenta Bagliori nel buio, il secondo romanzo di Maria Teresa Steri. Alle ore 20 Riccardo Moncada invece si confronterà con il pubblico sulle cause del successo degli investigatori alla siciliana a partire dal primo volume della sua saga, edita da Marco Amato Editore. È la parola editore messa lì in mezzo che fa pendere la bilancia dalla parte che conta.

    Anzi, ora che ci penso – ma quante ne so? – ci vorrebbe anche il primo salone del libro degli editori di se stessi: abbiamo i piccoli editori, gli editori indipendenti, e non vogliamo fare niente per far sentire le voci di questa nuova categoria editoriale? Alla prima edizione saranno in pochi, ma già alla seconda strariperanno.

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    1. A Helgà: a te piace scherzare, ma qui c'è gente convinta che tu li stia perculando. Giocate a non capirvi. E forse lo fate pure apposta :)

      Comunque io sono un testone e - nonostante il paziente lavorio di San Marco - rimango cocciutamente sulle mie posizioni. Punto primo: fatico a capire perché gli autori indie si rifiutino di mettere a fattor comune le proprie esperienze di pubblicazione. Lasciando che ognuno riscopra l'acqua calda e negandosi l'un l'altro ogni possibile traino. Magari litigando per generi/famiglie/varie ed eventuali. L'impressione finale che ne ricavo, ma questo potrebbe essere benissimo un mio problema di parallasse, e che nel mondo self siano tutti fratelli a parole e coltelli ai fatti. Con l'unica eccezione degli scambi di favori e del piccolo baratto di visibilità.

      Ma andiamo anche un poco oltre: l'idea della fiera di settore - a me - pare straordinariamente buona. Anche qui basterebbe fare squadra: certo non ci si può aggregare a quella di Mondadori, per dire.

      Cioè, sarebbe una buona idea se non fosse che l'isola di Utopia è così lontana... ;)

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    2. Ma io, caro Michè, non prendo in giro nessuno. Se vai a un qualsiasi incontro sull'editoria vedrai che ogni relatore sul palco ha un cavaliere, cioè un cartoncino dove oltre al suo nome è indicato il ruolo che ricopre all'interno di quel dibattito. E credimi, questo conta, più ancora di quello che dirà, perché definisce il suo orizzonte, la sua filosofia, il tuo ruolo nell'editoria, il suo stesso intervento.

      Se mandi una mail a un libraio per chiedere uno spazio per presentare il tuo libro, dovrai definirti in qualche modo in quella lettera. Stai in mezzo ad altre richieste di editori, scrittori, saggisti, artisti vari. Se sei sotto editore sarà più importante quel marchio che la tua buona volontà per ottenere lo spazio. Così come per avere una recensione, anche minima, in qualche luogo che conta. «Editore» è una parola che ha un significato pieno e universale. «Autoeditore» è il modo in cui si salutano tra loro quelli che fanno self-publishing.

      Che ci vorrebbe un'iniziativa reale, tipo salone, sarebbe importante. Magari sono leggero nei toni, come si potrebbe fare diversamente?, ma non nella sostanza. Ma l'autoeditore, come scrivo da un'altra parte, mette i paletti, vuol stare dentro. Gli basta avere il libro su Amazon e dieci recensioni a 5 stelle. E questo il motivo per cui scrive, vanity-press 2.0.

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    3. Michele, figurati sul perculare. Io credo semplicemente che i vostri pregiudizi, sono talmente grandi ed evidenti, che sia inutile ragionare.
      Credete che uno scrittore indipendente debba fregiarsi del titolo di editore perché così è più elegante? Fa chic e compete con l'editore come asserisce l'Helgaldo verbo? Credete che lo scrittore indipendente debba diventare a sua volta un editore e pubblicare gli altri indipendenti perché così sarebbe più coerente con la sua missione?
      Io posso solo sorridere di tanta ingenuità, perché nel 2017 non avete compreso nulla di cosa sia il self publishing e di quanto questo nuovo strumento possa essere importante e potente nella realtà editoriale moderna così bloccata verso i nuovi autori. State ancora a vedere all'editore come alla figura madre alla quale ambire, paradiso per lo più, se non spesso, negato, perché la madre della felicità non vi vuole e vi rigetta. O se vi accetta, vi accetta soltanto alle sue condizioni (che sono le sue condizioni di profitto) e non alle vostre esigenze di scrittore.
      Helgaldo si pone il grandioso dilemma di cosa scriverebbe il self publisher nell'incontro sull'editoria. Helgaldo, non è difficile, scriverebbe quel che è: scrittore, o al massimo, se vuol essere chic, scriverebbe scrittore indipendente.
      E' tutto qua il dilemma per cui non dormi la notte e devi inventare editore presso se stesso per aiutare generosamente il prossimo?
      Tu parli di vanity press 2.0, ma ne sei certo? Perché a me pare il contrario. La vanity press sta più dalla parte di coloro che ricercano l’editore importante sulla copertina.
      Perché a me pare che ti sfugga il valore aggiunto di tutta la faccenda. Voi vi riempite di paroloni quali editoria, pubblicare il libro col top editore, l’agente letterario, io scrivo letteratura e non gialli, vorrei presenziare all'incontro editoriale e tanta altra roba inutile.
      Ma vi dimenticate dell'unica cosa che conta: il lettore.
      Io, scrittore indipendente, cerco e voglio dialogare con i lettori. Che nella copertina del mio libro non ci sia scritto Einaudi, non mi rode il fegato, anzi, detto semplice semplice non me ne frega nulla. Dove sta la vanity press!?
      Voi probabilmente scrivete per l'editoria, per il premio letterario o per la firma del grande critico sul giornale. I self pubblisher, se sono scrittori indipendenti veri, non ricercano nessuna delle tre cose. Scendete dai vostri scranni, perché essere scrittori indipendenti è la ricerca della semplicità, del contatto diretto con i lettori.
      Se voi come aspirazione di vita ambite al marchietto dell’editore, al premio letterario tal dei tali, io non lo giudico sbagliato. Se pensate che questa sia la vostra strada, il vostro sogno, percorretelo con i miei migliori auguri. Ma al contrario, voi avete la fissazione di denigrare, di delegittimare, di irridere chi compie una scelta diversa.
      Vi ancorate su sottigliezze, banalità, per poter indire dall’alto che i self publisher sono scarsi, tutti, senza distinzione.
      Ma tutto questo ragionare è pioggia che scorre sul vetro di una finestra. E’ solo i ticchettio di un inutile rumore. Ha ragione chi dice che questa è noia. Perché da un lato c'è l'entusiasmo di chi vuol condividere nuove opportunità per gli scrittori. Dall'altro chi con pregiudizi arroccati, dopo anni non si smuove dalle proprie convinzioni di negatività. Caro Helgaldo, per quanto a te possa non andare giù, la mia intervista è probabilmente il post del tuo blog più letto e commentato. Un self publisher ti ha dato la miglior vetrina. Le tue domande dure e i miei argomenti in risposta provavano a costruire un ponte, un modo per capirsi e avvicinarsi. Ma tu sei tornato allo sberleffo, al pregiudizio piatto. Credo che hai perduto una importante opportunità di crescita. Ragionaci, vedrai che è vero. Perché quando non c'è sviluppo di pensiero, alla fin fine l’unico risultato è far cessare il dialogo.
      Che volete che vi dica, io alla fin fine so la mia e a me va bene, ma se a voi non quadra, per il resto fate vobis.

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    4. Pensavo d'aver fatto incazzare Helgaldo e invece mi prendo della carne da Marco - che ero convinto di aver difeso -. Per uno che vorrebbe lavorare con le parole - si sta parlando di me, eh - una triste sconfitta.

      Vabbè. A questo punto mi vado a bere una birra, alla salute di tutti.

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    5. […] Ma il punto più semplice ed evidente è che il filtro è soltanto un problema mentale di chi se lo pone. Io non me lo pongo, quindi il problema non esiste. I tempi moderni sono questi, il facile accesso alla pubblicazione. [...]

      Quello che mi stupisce è che si possa predicare la rinuncia alla qualità come cosa buona e giusta dati i tempi moderni in cui viviamo, e nessuno a niente da obiettare. Anzi, standing ovation!

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    6. Visto che mi citi, credo che sia doveroso rispondere. Cosa è la qualità e cosa sono i tempi moderni?
      Io credo che al solito, i tuoi pregiudizi ti portino a osservare il dettaglio insignificante facendoti sfuggire il quadro generale.
      Partiamo dalla qualità editoriale. È noto, la notizia da parte dei critici o degli operatori editoriali sarà giunta anche a te, che negli ultimi anni gli editori cercano libri sostanzialmente pronti. Ovvero con poco editing da svolgere e una leggera correzione di bozze. L’editing e la correzione di bozze sono i primi due costi che un editore lima per far fronte alla crisi economica. È un dato facilmente riscontrabile, la qualità generale delle pubblicazioni attuali è leggermente inferiore rispetto al passato. Senza considerare che nell’editoria esiste l’EAP. L’editoria a pagamento la cui qualità è prossima allo zero. C’è chi dice che l’EAP non è editoria, ma mente a sé stesso sapendo di mentire. Gli editori EAP posseggono una regolare partita iva di editore e inoltre sono presenti in maniera massiccia in tutte le fiere dell’editoria. Se posseggono partita iva da editore e sono presenti a tutte le fiere dell’editoria è evidente che l’EAP è editoria di scarsissima qualità.
      Ma il punto che sollevi è sul self publishing e i tempi moderni. Dici che col self publishing non solo la qualità non c’è, ma che pure si inneggia alla scarsa qualità. Cosa c’entrano le due cose io non lo capisco, ma ammetto che fa parte dei miei limiti.
      Il punto è semplice, ogni autore, nella sua indipendenza, agisce secondo le sue modalità.
      Io nel mio romanzo ho compiuto un editing affiancato di sei mesi con una professionista e ho commissionato una correzione di bozze. Ma anche altri autori self di mia conoscenza, pubblicano romanzi accurati, i cui lettori sono entusiasti e non si lamentano di scarsa qualità. Per farti un esempio concreto, la padrona di casa, il libro di Maria Teresa è impeccabile, cosa potresti ridire su di lei? Cosa c’entra lei e tanti altri bravi autori self con la scarsa qualità? E poi qui non si sta parlando di autori che aspirano a vincere il premio Nobel. Ma di scrittori che amano scrivere storie e condividerle con i lettori, di crearsi un proprio percorso, difficile, per concretizzare il sogno di scrivere romanzi. Perché denigrare chi aspira ai sogni e suda e lotta e si impegna oltre ogni limite per raggiungerli?

      Qual è il problema nel constatare che i tempi moderni sono questi? Il clima è cambiato. I giovani girano con borchie e tatuaggi. Non ci sono più le canzoni di una volta. Trump e Kim giocano da idioti su chi lancia prima bombe nucleari. Si legge di meno e c’è un sacco di roba che in questo mondo proprio non va. E fra tutto questo la pubblicazione è diventata accessibile a tutti. Cosa ci puoi fare tu e cosa ci posso fare io dell’evoluzione dei tempi moderni? È così, è una constatazione.
      Ha senso che mi metta a saltellare su di un candido prato verde e dire:
      “mamma mamma, vorrei solo libri belli e di qualità!”
      E la mamma risponde: “mi cascasse un asteroide in testa se i self publisher si azzardano a pubblicare.” Sbum! XD
      Ma un conto è la massa di self publisher che pubblica e un conto sono gli scrittori, singoli, che curano il proprio libro in ogni piccolo particolare.
      Io come scrittore indipendente sono responsabile del mio operato nei confronti dei miei lettori. Non posso di certo preoccuparmi se migliaia di altri scrittori self publisher pubblicano schifezze piene di orrori. Così come allo scrittore che ha vinto il premio Strega, non frega nulla che migliaia di libri ogni anno vengono sfornati dall’EAP, a me non importa che migliaia di scrittori pubblichino in self publishing opere illeggibili.
      Qualità dei libri e tempi moderni, che mi cascasse una stella cometa in testa, ma di che parliamo? XD

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    7. Se c'è da votare, Marco for President, io quoto.

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    8. Il filtro mentale è solo un problema per chi se lo pone, io non me lo pongo quindi il problema non esiste, l'hai scritto tu. Questa frase è un'opinione, la tua. Questa frase è commentabile. Questa frase è una manna per chi si accosta all'autoeditoria senza grammatica, senza conoscenza, senza soldi e senza la giusta maturità alla pubblicazione. Pubblico senza filtri e sono autoeditore, l'ha detto Marco Amato, massimo esperto del settore. Che poi ti ho beccato in rete a citare quell'intervista che secondo te fa gioco a me, definendola un dialogo tra due esperti, per la qual cosa sei già stato redarguito. Tu sei l'esperto, se ti piace autoproclamarti tale, io sono solo un buffone. Sei tu che hai guadagnato credito da quell'intervista, sei tu che ne vai parlando in giro, sei tu che l'hai ritirata fuori anche qui. Io, diversamente da te, non ho bisogno di credito, non vendo e non compro niente. Ma da esperto dovresti valutare meglio ogni frase che scrivi, perché tanta gente guarda a te, ad Anima di carta, e a pochi altri come esempi virtuosi da seguire.

      Che poi il titolo di questo post non chiedeva se siete d'accordo o no con Helgaldo, il giullare, ma come si deve definire chi scrive da autubblicato. Ti sei speso tanto per la definizione di autoeditore, ora hai cambiato idea?

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    9. Vedi che ti sbagli sempre, forse lo fai apposta, a confonderti. Se io volessi passare per esperto, pubblicherei sul mio blog articoli sul self publishing. E ne avrei di argomenti, ti assicuro, robe che nemmeno immagini. Quell’intervista che feci, è ormai vecchia, superata. Ci sono altre idee, più evolute. Se volessi pavoneggiarmi per esperto, come dici tu, non pubblicherei sul mio blog, non ti pare evidente? Invece sto nel mio cantuccio e non disturbo nessuno. E quando dico quel che dico io ci metto la faccia, con nome e cognome. Al contrario di te che non hai faccia né nome, né cognome. Non lo dico io, lo pensano in molti, lo sai? Mi dicono è facile parlare dietro un nickname e postare e sparare a zero. Non credi caro Helgaldo, o come dovrei chiamarti, Giorgio, Filippo o Asdrubale?
      Io non ho niente da nascondere. Posso anche sbagliarmi, è normale che accada. E se sbaglio dico: mi sono sbagliato. Ma sbaglio come Marco Amato. E invece tu con quale faccia sbagli?
      Io non commento più di norma sui blog, men che meno parlo di self publishing.
      Ma sai qual è il problema di questa discussione, caro Helgaldo? Te lo spiego papale papale, vediamo se finalmente comprendi.
      Il problema è che per me scrivere è stato un sogno sin da quando ero un ragazzo. E ho sempre pensato che il mio desiderio sarebbe rimasto solo un sogno. Ho lottato con me stesso per decenni. Ho studiato tecniche narrative e come poter pubblicare per anni. E non permetterò a Helgaldo o a chi per lui di sminuire il mio sogno e quello altrui. Io sono qui, a commentare il post di Maria Teresa, non per me. Avrai potuto lasciar correre come ho fatto da tanto tempo ormai. Io sono qui perché tu hai ferito i sogni di chi spera di costruire un minimo di speranza.
      I sogni, e non so se nella tua aridità irridente ne sai qualcosa, sono gemme che risplendono nei nostri cuori. I sogni sono speranze che vanno protette, perché nella vana esistenza della quotidianità asettica, sono ciò che ci riscalda dal freddo della realtà.
      Tu non te ne rendi conto, ma sminuire gli altri o irriderli perché tu vuoi divertirti o perché ti manca l'empatia di capire che le tue parole possono ferire, non è giusto. Tu col tuo post hai ferito gli altri self publisher e io li difendo. Per cosa? Per il sollazzo di mezza giornata? Io ho dialettica da vendere, a me non potrai mai mettermi sotto, perché ai tuoi pregiudizi senza fondamento io ti ribatto con argomentazioni validi, studiate, di causa. Ma altri self publisher, vengono feriti dal tuo atteggiamento. E' così difficile capirlo? Stiamo discutendo non di self publishing e altre fesserie, ma di te che fai del male agli altri. Le parole possono far del male.
      Sei molto intelligente e arguto, ma non ci arrivi. Ma non vedi tu stesso che molti di coloro che ti seguivano non commentano più da te perché si sono stufati?
      La maggior parte dei tuoi commentatori erano proprio self publisher e tu quando pubblichi di loro, loro non ci sono, perché sono feriti. Dirai ma che suscettibili. Non è suscettibilità, perché tu azzanni la parte più fragile dei tuoi amici blogger, dei tuoi lettori, i loro sogni.
      Essere un self publisher non è facile. Te lo garantisco. Sono scelte e perché da parte tua queste scelte non possono essere rispettate?
      Se tu ferisci gli altri, il tuo essere anonimo non è un pregio o una forza, è solo il difetto della tua argomentazione.
      Io non ho più nulla da dirti. Anzi, ho abusato anche troppo dello spazio di Maria Teresa. Chiudo qui. Ti diverte sbeffeggiare chi custodisce un sogno, chi desidera costruire un proprio percorso senza essere emarginato, sminuito per preconcetto. Ti piace ferire chi ti segue, ti diverte maltrattare i tuoi amici blogger, fai.
      Se questo è il tuo scopo, ti garantisco che ci sei riuscito in pieno. E non basta dire: al self publisher manca l'autoironia, perché il gioco è bello quando dura poco, ma soprattutto, tu non sai proprio giocare con i sentimenti altrui.

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    10. C’è una famosa canzone di Ligabue, tra le mie preferite, che recita:
      Sono io che guido
      Io che vado fuori strada
      Sempre io che pago
      Non è mai successo che pagassero per me

      Questo passo mi colpisce sempre, perché effettivamente nella mia vita non è mai accaduto che qualcuno pagasse per un mio torto.
      Una amica in comune, a me e a Helgaldo, mi ha detto che questo mio ultimo intervento è stato eccessivo. Io non riesco a valutare in piena lucidità se sono stato eccessivo. Ognuno si sarà fatta la sua opinione. Però se Helgaldo si è sentito offeso, o qualcun altro si è sentito offeso dalle mie parole, io non ho alcun problema a chiedere scusa.
      Certo, lui ha interpretato a modo suo quel che io intendevo sui sogni, ma questi sono dettagli di poca importanza. Mi dispiace se nel difendere i miei amici, per caso ho esagerato.
      Buon self publishing di qualità, scrittori indipendenti. Seguite i vostri sogni e l’ardore delle vostre passioni, sviluppate la vostra poetica ed esprimete la potenza delle vostre emozioni, nonostante le difficoltà, nonostante le critiche, nonostante tutto.
      Buona vita cari amici.

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    11. Devo dire che dopo aver letto questo scambio di commenti mi riesce molto difficile commentare. Una parte di me si pente per aver scritto questo post che ha dato il via a questo fuoco incrociato, soprattutto perché alla fine non si riesce a trovare il modo di avviare un vero dialogo sull'argomento. La verità è che non c'è confronto, quindi penso che questa sia davvero l'ultima volta che provo a parlare di self publishing. In verità me lo ero ripromesso molto tempo fa ma poi ci sono ricascata. Per quale motivo? Ecco, in parte credo che Marco abbia colto nel segno. In qualche modo le parole di Helgaldo colpiscono, feriscono, fanno male. Ma non per il contenuto o per la forma, ma perché vengono da lui, da una persona che io stimo (e come me molti altri), dunque capisco lo sfogo di Marco. Vengono colpiti i sogni, ma non solo. Viene colpito tutto l'impegno che gli autori self mettono in quello che fanno, l'amore per ciò che scrivono e propongono, gli sforzi per fornire un prodotto di qualità. E' questo che fa male. D'altra
      parte io nel mio post volevo anche chiarire che alcuni punti erano giusti, al di là di questo. Ma direi che il mio intento si è rivelato fallimentare a conti fatti.
      Riguardo a quello che dice Michele, invece, ci sarebbe molto su cui riflettere. Sicuramente sarebbe utile ma anche bello associarsi tra autori self più che farsi la guerra. Ci sono realtà in giro che fanno rabbrividire. Tante volte ho pensato a questo, a come mettere in comune le conoscenze, ecc. Non escludo che prima o poi prenda qualche iniziativa. Di certo però occorrono molte energie, che ora come ora non ho neppure per me stessa.

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  13. Mi è piaciuto molto il tuo articolo Maria Teresa (anche il lungo commento di Marco); concordo con entrambi e, tutto sommato, non mi pongo problemi di termini, anche se devo essere sincera: mi piace molto la definizione di autore indipendente. Il self è una grande opportunità e sono felice che ci sia, io ho il pallino della scrittura da quando ero ragazza e dopo tanti inutili tentativi di trovare un editore ho deciso di auto pubblicare il mio primo romanzo perché non mi andava di lasciarlo in un cassetto ad ammuffire. Dopo sono arrivati gli altri romanzi che non sarebbero nati se non avessi potuto far uscire il primo in self. Come afferma Marco lo scopo è arrivare ai lettori, l'ultima parola è la loro.

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    1. Esatto, si tratta di un'opportunità che arrivare ai lettori. Per il resto, certe discussioni servono a poco, restano teoria vuota. Anche io sono grata al self publishing, alla rete in generale. Che poi venga usata male, è un altro discorso, e comunque non c'entra con quello che volevo dire.

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  14. Cara Maria Teresa, come sempre con il tuo post hai fatto centro! Una chiarezza e un'incisività che ti invidio. Io penso che il selfer sia una strada percorribile, con dei limiti, come tu hai dichiarato, soprattutto in termini di promozione e distribuzione. Un autore non può assolvere a tutto ciò che concerne il lancio di un libro. Eppure con tutti i limiti di cui sopra, il selfer rimane una prospettiva percorribile per arrivare ai lettori. Spero che l'editoria indie si affermi e diventi un canale trattato con rispetto non solo dal mondo editoriale ma anche dagli autori che aspirano alla pubblicazione

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    1. Grazie Rosalia. Il rispetto è quello che auspico anche io. Alla fine di tanti discorsi teorici su pro e contro, è tutto quello che conta.

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  15. Brevemente riprendo il titolo del post: a mio parere ha senso soltanto nel caso in cui l'autore/autoeditore/selfpubblicatore/echipiùnehapiùnemetta mette in circolazione un lavoro ineccepibile.
    Vero è che una simile garanzia spesso nemmeno un editore DOC te la può dare, ma il problema è che la bassa opinione che molti hanno del self Publishing è dovuta la fatto che spesso e volentieri viene autopubblicato materiale che andrebbe come minimo rivisto, corretto, sfrondato, eccetera. In altre parole, che non sarebbe in quel momento da pubblicare.
    Ora, c'è anche l'autoeditore che si prende in carico ogni fase del progetto ricorrendo se necessario a editor e correttori professionisti, e questo va benissimo. Il problema è che non è un comportamento generalizzato, ma di pochi. E se non tutti gli editori fanno un lavoro coi fiocchi, è pur vero che se si vuole che l'autoeditoria abbia la sua dignità, tutti (scritto in corsivo) coloro che vogliono autopubblicarsi dovrebbero darsi degli standard elevatissimi, tali da far cadere ogni pregiudizio sull'argomento.
    Penso sia questo - al momento - il punto debole dell'autopubblicazione.
    E non ho dubbi sul fatto che MT abbia degli standard elevatissimi!
    ciao

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    1. Grazie Gabriele. Purtroppo è impensabile che tutti quelli che si pubblicano da soli abbiano standard elevatissimi. La democrazia di questo strumento verrebbe a cadere se ci fosse un controllo dietro e d'altra parte esistono moltissimi autori che mettono in vendita testi-spazzatura. Io questo non lo nego. Penso che la dignità di cui parli si possa raggiungere se le persone però riuscissero a essere un po' più obiettive e non fare di tutta l'erba un fascio, come accade oggi. Per fortuna ai veri lettori tutto questo discorso non interessa!

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  16. Secondo me si sta perdendo di vista il problema. La prima cosa da analizzare è infatti lo scopo: per quale scopo si scrive ? Se la propria opera , il proprio lavoro è mirato a pochi allora l’autore indipendente equivale all’editore, l’editore serio però. Ovvero non bisogna perdere di vista l’aspetto pratico della questione e cioè il fatto che un testo in libreria ci arriva soltanto se mediato dall’industria editoriale. E’ in pratica la stessa cosa che autocostruirsi un telefonino. Se il mio apparecchio è valido, stupendo e innovativo, comunque non lo vedrò mai nella vetrina di un grande centro commerciale. Certo, se creo un sistema operativo meglio di android o di windows phone (e qui ci vuole poco…) qualcuno si accorgerà di me, forse. Ma seppure questo accadrà, quando il mio prodotto entrerà nelle vetrine delle grandi catene commerciali, non sarà più soltanto mio. Qualcuno ci avrà messo ed imposto il suo marchio. Per i libri è lo stesso. Il best-seller può provenire dall’autopubblicazione ma se è stato assunto al ruolo di best-seller è perché qualcuno di grosso se ne sarà impossessato ed avrà deciso di distribuirlo. Tutto il discorso cade se per l’autore è sufficiente solo scrivere, relegando in secondo piano gli altri aspetti. Ma anche qui il discorso è complesso. Non credo alla scrittura per se stessi. Scrittura e lettura vanno di pari passo e un libro diventa libro quando viene letto. E’ una cosa alla quale non è possibile sfuggire.

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    1. Sì, Gierre, io condivido questo pragmatismo. Lo scopo è importante. E io non ho mai negato i limiti del self. L'editoria tradizionale può in certi casi portati là dove il self non ti porterà mai. Tuttavia, resta un'opportunità valida per arrivare ai lettori. Perché anche io penso che non scriviamo per noi stessi.

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  17. Questa discussione è talmente bella che tornerò sicuramente a leggere i commenti.

    L'eterna lotta tra il self-publishing e l'editoria classica. Sai cosa ti dico? Io non ci vedo nessuna lotta. Sono scelte, ma sopratutto necessità.

    I vantaggi che può darti una casa editrice sono enormi. Ma di quali casi editrici stiamo parlando? Delle più grandi.

    Un'autore esordiente ha pochissime possibilità di essere pubblicato da una grande casa editrice, e allora l'unica alternativa che gli resta, è quella di affidare il proprio libro ad una casa editrice minore.

    Le piccole case editrici non sono comparabili con le big. Non hanno tutte queste grandi risorse e quelle veramente professionali si contano sulla punta delle dita.

    Il problema è che in Italia siamo restii ad abbandonare i modelli classici. L'ebook in self è il formato principale di gran parte della produzione oltreoceano.

    Se lo scrittore pubblica una schifezza non si salverà pubblicandola in self publishing poiché i lettori se ne accorgeranno.

    Io non ho mai pubblicato un romanzo, ma se lo facessi scegliere di pubblicarlo in self.

    Il problema risiede in quelle persone che vedono il self-publishing come una scorciatoia quando invece è una strada ancora più difficile.

    Un autore indipendente deve farsi in quattro per cercare di vendere il suo libro, deve cercare un editor bravo per il suo manoscritto, mandarlo in pasto a dei beta reader e preparare tutte quelle piccole attività di promozione che molto spesso vorrebbe delegare.

    Nonostante questo credo che la strada del self-publishing sia ad oggi quella più utile per uno scrittore alle prime armi.

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    1. Ciao Enrico, benvenuto sul mio blog. Sono più che d'accordo con tutto quello che hai detto. E' importante fare delle distinzioni quando si parla di editoria. Altrimenti, il fai da te resta un'alternativa percorribile, di tutto rispetto. I tempi stanno chiaramente cambiando, io credo che molte altre rivoluzioni ci saranno in futuro. Siamo solo all'inizio e forse un giorno tanti discorsi suoneranno ridicoli.

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  18. Ragazzi, devo chiedervi scusa se non sono ancora riuscita a rispondere ai vostri commenti, ma un'intossicazione alimentare mi ha messa ko. Tornerò presto (spero).

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    1. Tranquilla Maria Teresa, qui noi abbiamo fatto autogestione e ti giuro che siamo andati d'amore e d'accordo. XD
      Sono giusto volati due piatti per leggere incomprensioni (sciocchezzuole), ma da bravi ragazzi abbiamo pulito i pavimenti, rassettato i letti e spolverato i mobili. Quando tornerai troverai la tua casa linda e pulita. Stasera, addirittura, da grandi amiconi andiamo tutti a bere una birra. Ti avrei invitata, ma vista l'intossicazione (che ti abbiamo in parte causato noi :( ) meglio che ti riposi al meglio. Rimettiti in forze, che il self publishing... ehm pardon, che il mondo del blogging, ha bisogno di te.
      Buona guarigione. ;)

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    2. Spero stia meglio, visto che leggo solo ora, certo proprio non ci voleva. Rimettiti presto in forma. 😘

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  19. Le questioni di nome mi lasciano indifferente. Secondo me hai detto le cose come stanno: self publishing è meglio che tenere un libro ad ammuffire. Chi sceglierebbe l'autopubblicazione a un buon editore? Nessuno, credo, quindi è inutile inventarsi definizioni fantasiose. L'autopubblicazione è una seconda scelta, che ha un suo valore in un contesto dove si legge poco, si pubblica poco ed è difficile essere notati, anche quando si scrive a un buon livello. (Come stai? Spero che l'intossicazione sia andata.) :)

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    1. Esatto, il contesto è anche importante. Tanti discorsi perdono di valore, considerando poi quanto poco si legge oggi.
      Mi sto riprendendo... ma non è stata una passeggiata... Grazie :)

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