Per scrivere ci vuole un pizzico di follia


La settimana scorsa, in un torrido giorno di luglio, ho finalmente terminato di riscrivere/revisionare il mio terzo romanzo. Caldo e stanchezza mi hanno tenuto costante compagnia, ma nonostante le condizioni avverse, non posso negare di essere parecchio contenta.

Ci sono storie che hanno bisogno di tempo, a volte molto, molto tempo per potersi esprimere. Occorre avere pazienza e non arrendersi alle difficoltà. Ho cominciato questo romanzo nel lontano 2002 e da allora l’ho sfasciato tre volte, riscrivendolo ogni volta dall'inizio alla fine. Nel frattempo ho portato a termine altri due romanzi, e solo l’esperienza acquisita con gli anni mi ha permesso di dare a quest’ultima versione la forma che davvero volevo. Ho sempre pensato che fosse nato sotto una cattiva stella, ma no, la verità è che ero troppo immatura per poterlo scrivere prima. È stato un romanzo agognato, sofferto, ma mi ha insegnato davvero moltissimo.

In realtà credo che ogni romanzo insegni qualcosa al suo autore, voi che dite?

Tra le tante cose che mi ha trasmesso questa terza creatura (il titolo ve lo svelerò più avanti), spicca la consapevolezza che a volte, affinché il processo creativo si compia, c'è bisogno di uscire dai soliti schemi.

A un certo punto della scrittura, alcuni mesi fa, mi sono bloccata e non riuscivo ad andare avanti in nessun modo. Ero arrivata quasi al climax e mi sembrava impossibile riuscire a sbrogliare la matassa. Ho provato a prendermi una pausa, a occuparmi di altro, ma niente... Non sapevo proprio come venirne fuori.

Mio marito un giorno mi ha detto: “Hai bisogno di pensare in modo alternativo” e mi ha suggerito di leggere Pensiero laterale di  Edward de Bono. Mi sono tuffata nella lettura, l’ho trovato interessante, ma continuavo a non capire come il pensiero laterale avrebbe potuto aiutarmi. O meglio, ero cosciente di aver bisogno di un nuovo approccio, ma non sapevo come arrivarci.

Poi all'improvviso qualcosa è cambiato, o meglio la mia salute ha subito un crollo. È iniziato per me un bruttissimo periodo, dormivo poche ore per notte, avevo continui mal di testa che rendevano una fatica immane ogni minima stupidaggine. Un incubo. E proprio in quel momento così difficile, il mio romanzo ha ricominciato a camminare. I capitoli che mancavano li ho scritti in uno stato oserei dire alterato. Cos'è successo? Quelle condizioni particolari hanno costretto il mio comune modo di pensare a farsi da parte, ovvero mi hanno indotto a ragionare in modo creativo, esattamente come suggeriva il libro. In un certo senso, ero anche io di fronte al mio climax, alla mia personale sfida.

A posteriori ho realizzato che la parte razionale di me non era in grado a trovare una soluzione alla trama. Era come sbattere contro un muro, oltre il quale non vedevo nulla. Ma a volte per creare una storia è necessario andare oltre l’ovvio, oltre quello che ti suggerisce (o non suggerisce) il normale corso del pensiero. Anzi, a volte hai proprio bisogno di osare. Sì, osare, fare scelte coraggiose, magari anche un po’ strane. Per esempio inserire una svolta che il lettore non si aspetta o condurre il protagonista per un sentiero che lo destabilizzi del tutto, in modo che possa tirare fuori il meglio di sé.

E poi c’è da dire che per scrivere quasi sempre bisogna lasciarsi andare a situazioni ed emozioni che normalmente non vivremmo. Un po’ come vivere una vita parallela. E questo non è un po’ da folli, forse?

Non credo che sia un caso, d'altra parte, se molti famosi autori del passato inducevano questo stato alterato ubriacandosi o drogandosi. Chiaramente non sto dicendo che si debba farlo, dico solo che è un dato di fatto che il processo creativo abbia un'impennata in situazioni particolari, quando la mente esce dai soliti binari. Insomma, sto dicendo che talvolta l'ispirazione è figlia della follia, di uno stato mentale abnorme.

Proprio in questi giorni ho anche capito che i miei finali hanno molto in comune. Tutti in qualche modo rappresentano un'opportunità nuova per i protagonisti, una finestra sul domani. Si tratta sì di una conclusione, ma allo stesso tempo anche di un inizio, come se il futuro fosse tutto ancora da vivere.

Certo, poi ci sarebbe da dire che non ho neppure finito di gioire che sono già qui ad arrovellarmi con mille dubbi e ansie. Ma questa è un’altra storia.

Avete mai sperimentato queste alterazioni scrivendo?

Commenti

  1. Ciao Maria Teresa, è proprio vero ciò che affermi! Il pensiero creativo diverge dal solito modo di approcciarsi al mondo e spesso è soffocato dalla razionalità che offre un binario sicuro sul quale andare. Quando scrivo devo mettere a tacere il censore che vive in me e che mi ripete in continuazione: no, così non va, riprendi in mano le redini... e roba del genere. Ti assicuro, quando riesco a liberarmi da lui, scrivere mi dà gioia. Anche tu hai un censore interno che limita la tua creatività?

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    1. Ciao Rosaria, purtroppo sì, anche io ho un censore. In realtà non la trovo una cosa negativa in assoluto, però senza dubbio costituisce un limite alla creatività. Diciamo che si mette in mezzo sempre nei momenti meno opportuni! Come hai detto, quando si scrive va zittito e non è per nulla facile :)

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  2. No, non vi è follia (a pizzichi o a pezzi interi). Vi è emozione intensa. Mistero. E' chiedersi come mai e perché da quell'episodio che si è vissuto (o visto vivere al quale quindi si ha in qualche misura emotivamente partecipato) si sia formato qualcosa che sia proponibile, condivisibile non sicuramente con tutti i possibili lettori che avranno avuto esperienze, sensibilità diverse ma - e questo è già più realistico e plausibile - con molti sì. I quali - hai la sensazione di certezza - in esso si riconosceranno riprovando emozioni dimenticate o soltanto sopite e per questo piacerai perché tacitamente riconosceranno che attraverso la tua finzione narrativa (che sia racconto, novella o romanzo non ha importanza) hai trasmesso loro la tua comprensione, la tua empatia per loro e le loro vite tutt'altro che fittizie come ciò che hanno letto e sai essere quello che hai scritto. E' quando la storia, il frammento ti si presentano nella loro interezza, di fatti, occasioni, e anche, talvolta, di significato e messaggio. Nell'atto di scrivere hai spesso la percezione di non esser tu a muovere le mani, l'impressione qualcuno te le stia guidando; e nemmeno il pensiero è esente da quest'impressione. Chi è? chi sono? Forse è, semplicemente il tuo daimon che, non sorprenderebbe, ti fa sentire fuori di te, ben lontana dalla tua consueta razionalità che ti guida tutti i giorni.

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    1. Io la definisco follia perché è un uscire dal solito nostro essere. Dici che "Nell'atto di scrivere hai spesso la percezione di non esser tu a muovere le mani, l'impressione qualcuno te le stia guidando" e sono pienamente d'accordo. A volte succede, ma non è la norma. Magari lo fosse!

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  3. Anche io ho sperimentato le stesse sensazioni che hai provato tu, Maria Teresa! Ho scritto solo due romanzi completi nella mia "carriera" di scrittrice sconosciuta😀. Uno l'ho pubblicato, l'altro ancora no e non so se mai lo farò. E poi ho scritto e scrivo decine di piccoli racconti, ma per puro sfogo creativo personale. Ogni tanto ne posto qualcuno sul mio profilo social e molti mi dicono che ho "un futuro" come scrittrice. Ma purtroppo soffro della "sindrome dell'impostore" e quindi non riesco a credere fino in fondo a quello che creo. Sono una malata cronica di incostanza e ho anche una vita piuttosto dura e complicata (l'ultima è solo una scusa, lo so!). Un pizzico di follia credo che serva a volte per andare avanti e per trovare soluzioni alternative.

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    1. Interessante questa sindrome dell'impostore. Sai, anche a me è capitato in passato di non credere fino in fondo a quello che scrivevo, e riconosco che non è un buon punto di partenza. Quando è successo, ho sempre abbandonato a metà le storie, finché non ne sono arrivate altre che mi hanno catturata davvero. Forse devi solo aspettare l'idea e i personaggi che ti porteranno dentro la loro storia e a quel punto non ci saranno più scuse che tengono!

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  4. Mi pare di ricordare che anche King lo sottolinea: serve la follia, per vivere, per scrivere, per esternare il tutto e ottenere il meglio. L'uscire fuori dagli schemi è dimostrazione massima di sincronicità tra la genialità interna e l'espressione creativa. Sono certa il romanzo ne giovi e ne sia pregno e non vedo l'ora di leggerlo.

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    1. Non ricordavo questa affermazione di King, però senza dubbio un po' di follia serve anche nella vita. Diciamo che tirarla fuori è più difficile per qualcuno (come me, appunto), quindi servono periodi "strani" perché si manifesti in pieno.
      Il romanzo è ormai in dirittura d'arrivo... E sono già travolta dall'emozione/ansia :)

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  5. Quanto è vero quello che hai scritto, avvalorato da esperienza diretta. Direi anzi che questo post dovrebbe circolare negli ambienti degli esordienti, proprio a riprova che la scrittura non solo è un'operazione difficile di "cesello" ma richiede punto di partenza ogni volta nuovi, un "pensiero laterale" (concetto che apprendo adesso, te ne ringrazio) che lasci vedere le cose da angolazioni diverse, il che apre l'opportunità a nuove soluzioni.
    Non vedo l'ora di sapere di più riguardo al nuovo romanzo. Il titolo, l'ambientazione, qualcosa della trama. Presto presto! :)

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    1. Ahahah! Presto allora saprai qualcosa in più in totale anteprima :)
      Eh sì, il pensiero laterale è stata una scoperta anche per me, credo che applicarlo alla scrittura sia di grande aiuto, in particolare nella fase di stesura. Io l'ho applicato in maniera poco consapevole, però senza dubbio apre le porte alla creatività e spero di potermene servire meglio in futuro.

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  6. Spero che capiti anche a me, sono almeno due anni che scribacchio senza costrutto su personaggi e situazioni che non mi convincono: hai ragione tu, ci vuole una bella impennata di "pensiero laterale" (di cui ho appreso l'esistenza da due mie amiche che chiamo Psiche o Farfalle - in quanto psicologhe-!). Dunque, aspetto tue notizie.

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    1. Ti auguro di vivere una bella fase creativa, allora. La fase di scribacchiamento che descrivi è parecchio frustrante. Bisognerebbe imparare a scatenare il pensiero laterale a volontà, ma a quanto pare non è semplice. Forse provando e riprovando... :)

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  7. Sicuramente. Nel me.me. che ha spopolato in questi giorni prima del liebster award (quello in cui bisognava raccontare un fatto per ogni anno della propria vita) ho inserito come fatto significativo del 2010 proprio una cosa del genere: la stesura di getto de "Romanzo sensazionale" che ho scritto in pochi giorni in preda a uno stato quasi allucinato non appena mi sedevo al pc.

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    1. "Stato quasi allucinato" è un'espressione che rende in pieno quello che ho provato anche io. Purtroppo non si può ricreare questa condizione a volontà... Ci tocca aspettare che ricapiti.

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  8. Ciao Maria Teresa. A volte ci si blocca, è vero, ma il motivo molto spesso si trova nella ricerca del razionale. La società, volente o nolente, ci influenza in maniera molto spesso negativa. Questo preclude purtroppo il poter immaginare liberamente, il poter esporre il nostro vero punto di vista e di conseguenza ecco arrivare il blocco. Quella che tu definisci "follia" io credo che altro non sia che quella voglia di essere libera dai canoni contestualmente accettati. Un libro che ha aiutato me in tal senso è arrivato del tutto inaspettato: l'autobiografia di Stephen King. Ti lascio il suo messaggio, magari potrà aiutarti per i tuoi prossimi lavori così come ha aiutato me: "se sei convinto di ciò che scrivi, scrivi è basta. Non ti curar delle impressioni altrui, dai la tua impronta al tuo scritto. Così facendo non sbaglierai mai". Un abbraccio

    Armando Lazzarano

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    1. Ciao Armando, mi piace molto il tuo punto di vista. E' proprio così, spesso la razionalità ci impone dei freni, che ne siamo consapevoli o meno. Forse non ce ne rendiamo neppure conto, ma una parte di noi quando scriviamo è concentrata sul pensiero "ma cosa ne diranno di quello che sto scrivendo?". E così in automatico si mette uno stop alla creatività.
      Ho letto l'autobiografia di King una decina di anni fa e concordo con te che sia illuminante sotto molti punti di vista. Grazie!

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  9. Alcune delle pagine migliori che ho scritto (migliori per me o che mi piacciono di più) le ho scritte di getto in momenti in cui seguivo solo le sensazioni che provavo in quel momento. Quasi sempre erano momenti in cui accantonavo la razionalità e seguivo solo l'istinto. Mi è successo in particolare con il giallo, ho dovuto pensare con un po' di follia per entrare nella mente del killer. Ho usato molto anche la rabbia di alcune situazioni che stavo vivendo sul lavoro, esperienza davvero utile oltre che terapeutica.

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    1. Eh già, per entrare nella mente di certi personaggi occorre proprio lasciare il nostro "normale sé" da parte. A me è capitato in particolare con un capitolo dedicato alla mia "cattiva". Ero in grande dubbio se scriverlo, ma è stata una sfida molto interessante. Sono momenti di immersione quasi "magici", peccato non sia possibile riprodurli a volontà, no? O tu ci riesci?

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    2. Riprodurre i momenti "magici" della scrittura non è semplice, non ci riesco sempre, anche se ci provo...

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  10. Io sono in stato "alterato" adesso, visto che sono due giorni che non faccio altro che lavorare e non ho potuto riposarmi fino praticamente ad adesso :D .

    Però non credo scriverò: io ho notato che di solito quando sono stanco e stressato le cose che scrivo vengono peggio, non tanto per le trame - che di solito sono sempre pianificate nei dettagli molto tempo prima, quindi è indifferente il mio stato d'animo quando le scrivo. E' invece lo stile il problema: viene fuori come lo voglio quando sono più riposato e tranquillo, molto più piatto e difettoso quando sto meno bene. Per questo ultimamente quando sono stanco evito del tutto di scrivere, per non dover poi riscrivere tutto in fase di revisione.

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    1. Ma dello stile non dovresti preoccuparti in fase creativa. C'è sempre tempo per revisionare, anzi la revisione serve proprio a sistemare e correggere ciò che si è scritto d'impulso.
      La stanchezza e lo stress non sono sempre utili alla creatività, lo riconosco, ma a volte tirano fuori idee che altrimenti resterebbero ben sepolte. Fai un tentativo...

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  11. Credo che l'alterazione quando si scrive dovrebbe essere la norma, almeno in fase di prima stesura.
    E poi, a proposito dell'osare, mi pare sia stato Tolstoj a dire che un buon romanzo per essere tale deve contenere almeno un elemento di inverosimiglianza.
    In bocca al lupo per la pubblicazione!

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    1. Ciao Ivano, interessante questo consiglio di Tolstoj, direi molto appropriato :)
      Magari l'alterazione fosse la norma... purtroppo non è il mio caso. Ci vorrebbe un modo (diciamo psicologico) per impostarci in un certo stato d'animo nella prima stesura, ma da parte mia non l'ho ancora trovato. Tu ci riesci?

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    2. Io lo uso anche come metro per confermare la riuscita o meno della revisione. Se una volta fatte tutte le modifiche il brano, in fase lettura, non mi restituisce le stesse sensazione provate durante la prima scrittura, allora significa che ho sbagliato qualcosa.

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    3. Un metro molto severo, mi sembra! Esattamente le stesse sensazioni non credo di averle mai sperimentate rileggendomi, a volte ne ho addirittura altre. Però capisco cosa intendi. Può essere un buon sistema per tagliare le parti inutili, per quanto mi riguarda.

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  12. gierre13 - giancarlo26 luglio 2017 alle ore 08:52

    Credo che Fabio Volo segua alla lettera il tuo consiglio. Per scrivere i suoi libri ne deve bere di alcool, vino e birra. Temo che anche il suo editor faccia uso di qualche sostanza ... A parte questo è vero ciò che dici. Like a rolling stones di Dylan (una delle canzoni che più amo) fu scritta in piena estasi L'introduzione di chitarra di Sweet child of mine dei Gun's Roses credo che Slash la pensò dopo aver fumato qualcosa. Per i libri è lo stesso. Un pizzico di follia ci vuole sempre. Solo che a volte la follia da buoni risultati, altri un tantino meno :-)

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    1. Beh, no, non intendo arrivare a questi eccessi! :) Non è un caso di certo se certi autori di canzoni famose le hanno scritto in circostanze particolari, aprendo le porte all'ispirazione. Peccato solo che non si possa aprire queste porte in modi meno dannosi, no?

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  13. Carissima intanto sono molto felice che tu abbia raggiunto il tuo agognatissimo scopo. Sono tra coloro che muoiono dalla voglia di saperne di più, spero che prima o poi ci racconterai. Lo stato di allucinazione o di follia come lo chiami tu è provare per un po' a stare fuori di sé, fuori dal proprio confortevole modo di scrivere e di raccontare. Non è lasciarsi andare, ma rompere uno schema mentale. Quando riesci a farlo accadere allora nascono le grandi idee. Credo ti sia capitato qualcosa di simile quando hai percorso strade a te ignote, tuo malgrado.
    Per venire alla tua domanda, io l'ho sperimentato una volta sola, purtroppo. Ho imparato a temere più di ogni altra cosa il boicottaggio verso me stessa. Qualcosa di simile alla "sindrome dell'impostore" di @mariadelia legato però al freno o all'ostacolo che spesso noi stessi frapponiamo alla svolta creativa, semplicemente perché la classifichiamo come una stupidaggine (o altro, insomma ci siamo capite). Quando ci lasciamo fermare da commenti e giudizi troppo critici, quando vogliamo seguire la verosimiglianza a tutti i costi. Ebbene, Tolstoj immagino volesse dire che un racconto, un romanzo, deve aprire una porta verso l'impossibile... Bravo @Ivano che l'hai richiamato...
    Ti abbraccio forte e ti auguro ogni bene

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    1. Ecco, sì, hai colto perfettamente quello che intendevo. Si tratta di uno stato molto particolare, proprio perché anche la normalità della scrittura è legata alla ragione. Parli di boicottaggio verso se stessi... beh secondo me è già molto quando lo si individua, quando ci si rende conto di metterlo in atto. Purtroppo il più delle volte non ce ne rendiamo neppure conto. Ovvero ci freniamo e ci sembra giusto così.
      Grazie per la tua curiosità, penso di rendervi partecipi del nuovo romanzo subito dopo l'estate, con qualche anteprima, mentre per la pubblicazione... chissà. Un abbraccio anche a te e buone vacanze!

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  14. Edward De Bono è quello dei Sei cappelli per pensare di cui avevo parlato tempo fa proprio in webnauta. Ovvero un metodo pratico (uscito mi pare nel 1985) dopo il primo libro sul pensiero laterale (che è del 1970). Io però devo ancora leggere il primo, e mi sono concentrata direttamente sullo strumento finale, quello di cambiare i cappelli.
    Io faccio ancora fatica a buttare i personaggi in mezzo ai casini. Gli voglio troppo bene e invece pare che un autore debba proprio complicargli la vita. Infatti i romanzi che leggo che più mi fanno emozionare sono quelli in cui ti trovi ad esclamare: "no, no, oddio no! e adesso? come ne esce?"
    E comunque complimenti per la tenacia e la pazienza: arrivare a sfasciare tre volte lo stesso manoscritto non è da tutti. Ci vuole anche una gran dose di coraggio! Brava caspita! :D

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    1. Grazie, più che di tenacia e pazienza si potrebbe parlare di cocciutaggine :) Soprattutto rispetto a chi mi aveva detto "ma lascia perdere".
      Vero, bisogna essere impietosi con i propri personaggi, peggio li tratti e più i lettori si identificheranno, è una che ho capito di recente!
      Non avevo collegato che De Bono fosse lo stesso dei sei cappelli. Mi sono riproposta di approfondire i suoi libri, appena ne avrò tempo.

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  15. La creatività non va d'accordo con il controllo razionale, anche se la ragione è indispensabile in alcune fasi, come la revisione o anche la scaletta iniziale, per chi la usa. Ho avuto modo di notare come la fluidità nello scrivere aumenti dopo un aperitivo, perciò capisco gli eccessi di molti artisti... ma ho smesso di bere aperitivi. :D Bisogna trovare ebbrezze alternative sane.

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    1. Allora, ci dobbiamo mettere d'impegno a trovare qualcosa che provochi gli stessi effetti senza danni collaterali ;) Ciao, Grazia!

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