Scrivi di ciò che conosci. O anche no.

scrivere
Quante volte avete sentito ripetere questa "regola"? Scrivi di quel che conosci. Indubbiamente un consiglio validissimo, ma... è proprio da seguire alla lettera?

Prima di tutto andrebbe considerato il tipo di testo che abbiamo intenzione di scrivere, per valutare il grado di conoscenza richiesto. Se per esempio voglio scrivere un saggio sull'Australia, sarà non solo utile ma anche obbligatorio sapere tutto di quel continente, non solo documentandomi, ma anche andando di persona a visitarlo. Che senso avrebbe, infatti, per chi legge questo ipotetico libro trovare informazioni errate o di seconda mano?
Lo stesso discorso è valido se ho intenzione di scrivere un articolo: anche in questo caso sarà utile una certa competenza o una documentazione valida, ma in questo caso chi legge non si aspetterà informazioni approfondite. E per quanto riguarda un racconto o un romanzo?

Torniamo all'esempio dell'Australia, e poniamo che io intenda scrivere una storia ambientata in questo paese. In questo caso sarà auspicabile e di grandissimo aiuto una conoscenza di prima mano, ma se non ho la possibilità di fare un viaggio, ciò non deve costituire un vincolo. In altri termini, se non conosco fino in fondo un argomento, posso ugualmente scrivere un romanzo che abbia come tema quell'argomento.

D'altra parte come sarebbe possibile per uno scrittore sapere proprio tutto? Non sarebbe troppo limitante attenersi a ciò che conosciamo bene? E come sarebbe possibile inventare realtà nuove e mondi nuovi?

Scrivere di ciò che non si conosce a fondo è possibile. Considerate che la narrativa è finzione. Ciò significa che quello che scriviamo non è realtà, ma deve solo sembrarlo. In pratica è essenziale trasmettere l'illusione in chi legge che si tratti qualcosa di vero, usando i dettagli giusti per trasmettere quest'idea, proprio come in una bugia ben congegnata.

Occorre catalizzare l'attenzione di chi legge sui particolari appropriati. Se voglio descrivere qualcosa in modo che susciti un'impressione forte nel lettore, dovrò puntare a stimolare la sua immaginazione, scegliendo con cura su cosa attirare la sua attenzione. Un po' come fanno i registi quando puntano la macchina da presa su un dettaglio specifico.

Attenzione, non sto dicendo di non documentarvi, ma di farlo in modo intelligente. Se volete scrivere di un argomento di cui sapete poco, ma che vi affascina e che potrebbe costituire una buona base per la vostra storia (o per un altro tipo di testo), dovrete informarvi, ma senza puntare a farvi una cultura dispersiva e fine a se stessa.
La conseguenza di una documentazione eccessiva potrebbe essere una grande perdita di tempo, ma non solo: potreste essere tentati di usare in maniera pedante ciò che avete appreso, con il risultato di ammorbare a morte il lettore e di farvi prendere per saccenti noiosi.

Un'altra possibilità è poi quella di sfruttare ciò che si conosce in un ambito diverso. Ci sono esperienze di vita che abbiamo fatto che potrebbero tornare utili anche fuori contesto.
Per esempio nel mio secondo romanzo la protagonista trascorre una notte in carcere. Per fortuna non ho mai fatto un'esperienza simile, come dunque avrei potuto descriverla? Per i dettagli ambientali c'è sempre Internet, dove si trovano con facilità i racconti di persone reali. Ma per le emozioni, come si fa? Non volevo usare descrizioni di seconda mano, e quindi ho pensato: qual è stata la notte più brutta e angosciante che io abbia mai passato? Mi è stato molto utile usare quell'esperienza, fatta in un ambito radicalmente diverso, per dare un tocco di vissuto a quella parte del romanzo.

La vita è un'ottima fonte di conoscenza, ma a uno scrittore non si può chiedere di essere onnisciente o di fare mille esperienze per poterne parlare nei suoi libri. E, viceversa, non è affatto detto che chi è un esperto in molti ambiti o ha vissuto in modo intenso, sia in grado di trasmettere in modo efficace questo sapere.

Voi cosa ne pensate? Siete in grado di raccontare qualcosa in modo credibile usando pochi ma efficaci dettagli?

Anima di carta

Commenti

  1. Di solito mi capita di scrivere situazioni che non vivo, mi piace immedesimarmi in altre vite.
    Mi aiuto con la fantasia e trasformo sensazioni sperimentate per altri motivi, proprio come hai detto tu, cercando di adattarle nel modo migliore. Che ci riesca, questo ancora non lo so.

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    1. In effetti uno degli aspetti più affascinanti di creare storie è proprio quello di calarsi in panni diversi dai nostri, altrimenti sarebbe solo un riprodurre se stessi all'infinito. Ciao :)

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  2. Concordo su tutto. Se si pensa che Salgari non si è mai praticamente mosso dalla sua città...
    Aggiungo che, al giorno d'oggi, il cinema e la televisione, oltre a internet, sono di grande aiuto per uno scrittore che voglia cimentarsi con scene e descrizioni che esulano dal suo vissuto^^ Nella stesura del mio romanzo, ambientato nell'Ottocento, è stato molto utile, oltre alla documentazione storica, la visione di film in costume.

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    1. Sì, gli strumenti per informarsi e stimolare la fantasia sono tanti oggi. E come hai sottolineato, non mangano gli esempi di grandi scrittori che hanno saputo creare realtà diversissime dalle loro senza conoscerle di persona!

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  3. Io sulla documentazione sono abbastanza intransigente. Come lettrice un'incongruenza o un errore storico mi fa abbandonare immediatamente la lettura, quindi sull'argomento tendo a essere piuttosto dura. Bisogna documentarsi un sacco. L'ideale è scrivere una storia ambientata solo in contesti che già si conoscono (perché toccati con mano o masticati, masticati e rimasticati). Quindi bene vedere film, bene concentrarsi solo su alcuni dettagli, ma solo se a monte c'è già una conoscenza approfondita.
    Questo NON vuol dire che tutto ciò che sappiamo va buttato dentro al racconti. Di tre o quattro saggi, magari poi utilizzo solo due righe, ma la lettura del tutto mi aiuta a vivere in modo dettagliato l'ambientazione e quindi ad avere una scrittura più ricca (non pedante).
    Non voglio spaventare nessuno, ma scrivo (e ogni tanto pubblico) racconti storici o su temi molto specifici e vi assicura che in fase di valutazione l'accuratezza conta molto. In questo periodo sono in "fase di post produzione" per giallo ambientato a fine ottocento, le mail che scambio con il direttore della collana in cui (forse) sarà pubblicato sembrano quelle che mi mandava la mia relatrice per la tesi, con tanto di richieste di date e fonti.
    Personalmente mi assicuro sempre di avere almeno una persona davvero esperta dell'argomento a cui chiedere aiuto e tra l'altro ho scoperto che molti sono molto pazienti e disponibili con gli scrittori che chiedono informazioni.
    Scusate per il commento chilometrico, ma come già capitato in un altro blog, sento questo argomento particolarmente "mio"

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    1. Molto secondo me dipende dal tipo di tema che si sceglie, sicuramente per i periodi storici conta molto l'accuratezza delle descrizioni e quindi una documentazione approfondita.
      Quello che mi premeva era solo considerare questa regola con elasticità e usare la testa quando si fanno ricerche perché non tutto quello che si apprende poi è utile a dare l'impressione di credibilità alla storia. Sulla precisione sono d'accordo in pieno, di certo non volevo invitare alla sciatteria, ci mancherebbe :)

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    2. Hai ragione. Poi è molto diversa la documentazione su situazioni e fatti e un conto quella emotiva. Cosa prova un carcerato? Posso leggere testi, intervistare carcerati, ma poi dovrò comunque fare un lavoro emotivo per trovare dentro di me dei sentimenti plausibili per un personaggio in una situazione che non ho mai provato.

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  4. Non si finisce mai di documentarsi.
    Anche dopo aver ultimato il testo, si rimane focalizzati e si trovano sempre informazioni nuove.
    Scusate, scappo che mi chiude il supermercato: devo calarmi in un ladro di polli...

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    1. A volersi documentare sul serio non si finirebbe mai, in effetti.
      E a proposito del calarsi in un ruolo, mi hai fatto venire in mente che uno scrittore potrebbe anche "andare sotto copertura" per conoscere realisticamente un certo tipo di situazione...

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  5. Concordo con te pienamente! Hai fatto un post molto chiaro ed esauriente!! Ho deciso di seguiti ;) mi sembri proprio una brava blogger, sai? Mi ritroverai tra i tuoi commenti ogni tanto ;) se mai volessi passare da me sei la benvenuta :)

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    1. Grazie Francy, sei molto gentile! Allora ti do il benvenuto e a presto :)

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  6. Il protagonista maschile del mio romanzo ha avuto problemi di tossicodipendenza. Io non ho mai (grazie a dio) vissuto questa esperienza, ma ho provato a trasferire in lui le emozioni provate ai tempi del mio primo travagliatissimo amore... quando vivevo ogni allontanamento fisico con la morte nel cuore. Al momento sta funzionando.

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  7. Bello l'articolo, come sempre. Ritengo non sia necessario sapere tutto, la fantasia è pur sempre una delle prime qualità che uno scrittore (un artista in genere), dovrebbe avere. È invece auspicabile possedere una buona dose di consapevolezza generale. È quella che determina il buon gusto nel dire o non dire, nell'esagerare con i particolari o limitarsi; specie se quella data esperienza non si è vissuta in prima persona. E una buona scrittura è, non sempre ma molto spesso, figlia di una buona lettura… ancora poco "frequentata". Buon tutto.

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    1. La consapevolezza è un dono prezioso, spesso il risultato di un lungo percorso. Condivido l'idea che la buona lettura sia un'ottima maestra in questo senso. Ma è importante che sia "buona", non credo che leggere di tutto aiuti. Buon tutto anche a te e grazie ;)

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  8. Sono pienamente d'accordo con quanto scrivi. In genere, sarebbe l'ideale scrivere di ciò che si conosce a fondo, ma è anche vero che spesso si riesce a parlare con tono disincantato, con maggior coinvolgimento, proprio di quelle situazioni e dei quegli ambienti che meno si conoscono. Io ho pubblicato un romanzo con una storia ambientata nella Torino degli anni '70, senza esserci mai stato. Ebbene, pur avendo oggettive difficoltà a documentarmi, mi sono lasciato prendere dal coinvolgimento e dall'emotività, chiudendo gli occhi e utilizzando i (pochi) dettagli a disposizione per creare un mondo credibile. E credibile si è dimostrato sul serio, visti i commenti di chi ha vissuto lì e proprio in quel periodo. Quindi, è meglio a volte buttarsi in un apparente buco nero, e lasciare che sia il nostro tocco e la nostra sensibilità a fare luce. Nel caso peggiore, avremo perso solo un po' di tempo ma avremo all'attivo una nuova esperienza.
    Enzo D'Andrea

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  9. Grazie per questa tua testimonianza molto interessante. Hai ragione quando parli della sensibilità che può colmare certe lacune e rendere più viva la narrazione perfino rispetto a chi ha delle conoscenze di prima mano.
    PS Non so perché il tuo commento era finito tra lo spam...

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  10. Credo che quel "ciò che conosci" sia equivalente a "ciò su cui ti puoi documentare", in effetti, altrimenti i limiti di uno scrittore sarebbero tanti e tali da rendergli impossibile qualsiasi tentativo di scrittura. Diversi anni fa ho scritto un romanzo storico e di formazione, servendomi della vasta documentazione della mia tesi di laurea. Credo che senza di quella non avrei potuto azzardare alcun tentativo di addentrarmi nell'epopea americana del XIX secolo. Per altro, romanzo abbandonato nel cassetto, che dovrei decidermi a revisionare e vedere se ha qualche possibilità di diffusione.

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    1. Hai fatto sicuramente un lavoro enorme. Avere alle spalle una documentazione come quella di una tesi aiuta, ma immagino che su tanto altro avrai dovuto informarti. Spero che non lo lascerai nel cassetto!

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    2. Guarda, ci sto pensando spesso. Anche perchè, facendolo passare prima dal filtro di una bella revisione, chi lo sa se ho nel cassetto qualcosa di interessante, che potrebbe seriamente suscitare interesse? Devo saperlo, prima o poi. Quando lo finii, lo lessero alcuni amici e parenti, e un paio di colleghe, tutti entusiasti. Fu un lavoro certosino, di anni. E ho cercato di non essere banale. E' una storia complessa e sofferta. Dovrò decidermi a riprenderla in mano. :-)

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    3. Sei nella condizione ideale per capire se è qualcosa di valido, visto che è passato del tempo e te ne sei distaccata :)

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    4. Infatti! Ho imparato proprio da uno dei tuoi articoli che questa è una delle condizioni essenziali per affrontare la revisione di un proprio romanzo. Beh, mi sa che questa estate sarà finalmente il momento. Voglio un periodo libero da impegni. Per me che sono insegnante, quello è l'ideale.

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  11. Probabilmente, come molte regole, andrebbe adattata a ciò che si scrive...io per esempio sto scrivendo un romanzo fantasy ambientato in Irlanda, pur non essendoci mai stata. Ma siccome è un posto che mi piace molto e che spero di visitare un giorno, mi viene facile informarmi al riguardo. Riscriverei la regola come: "Scrivi di ciò che conosci o che ti piacerebbe conoscere." La prima stesura del mio romanzo era ambientata in Francia. Ad un certo punto, l'illuminazione, dopo un periodo di pausa dalla scrittura: "Ma perché ostinarsi a scrivere della Francia, di cui non so niente, se neanche mi piace come paese? Troviamone uno che almeno m'interessa!" Ed ecco l'Irlanda. In ogni caso, complimenti davvero per il tuo blog!

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    1. Ti ringrazio molto per i complimenti e per il tuo commento. Hai ragione, senz'altro è importante adattare questa come altre regole alle varie situazioni e temi. Aiuta di sicuro poi scrivere di argomenti e luoghi che ci stanno a cuore, che si conoscano o meno. Si potrebbe anzi dire "scrivi di ciò che ami", che tu lo conosca o meno in prima persona :)

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  12. Ciao. Ho letto il tuo post, e lo trovo interessante ed equilibrato. Sono venuto di proposito nel tuo blog che già conoscevo, in cerca di un post come questo, per trovare consigli utili per un'idea che ho in mente. Volevo approfittare per chiederti un consiglio: per poter scrivere un romanzo o racconto di avventura - ambientato nei nostro giorni e nel nostro mondo - quanto ci si deve documentare? E quanto bisogna essere accurati storicamente e archeologicamente? Mi spiego meglio: si dovrebbe scrivere di luoghi realmente esistenti, di popolazioni realmente esistenti, di oggetti o tesori di cui realmente si ha traccia nell'archeologia? Oppure si può avere un certo grado di "fantasia", magari inventando una popolazione inesistente, o un oggetto fantasioso, o un re-imperatore che non è realmente esistito nella storia di un popolo...? Vorrei cimentarmi in questo tipo di racconto, ma da un lato non vorrei che i lettori perdessero l'interesse a causa di errori o invenzioni archeologiche, dall'altro trovo più stimolante inventare piuttosto che attenermi strettamente alla realtà.
    Tu che mi consigli?

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    1. Ciao Angelo, grazie per la fiducia, prima di tutto.
      Secondo me puoi inserire una buona dose di fantasia, purché tutto si mantenga sul filo della credibilità. E per far sì che ciò accada, è comunque necessario documentarsi. So che sembra un cane che si morde la coda... Quello che voglio dire è che anche quando inventi qualcosa (e magari puoi farlo presente al lettore in una nota alla fine del libro), deve avere il "sapore" di vero. Per esempio io invento quasi sempre le ambientazioni dei miei romanzi, ma cerco di renderle credibili il più possibili utilizzando molti dettagli presi da posti che conosco realmente. Certo gli errori macroscopici andrebbero evitati e proprio per questo è meglio a mio parere inventare un posto invece di usarne uno vero senza conoscerlo abbastanza. Non so se sono riuscita a trasmettere quello che volevo dire.

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    2. Grazie. Sono dello stesso parere

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