Erika B. Riot presenta “Non è poesia”



Buona domenica a tutti!
Vi propongo oggi una nuova puntata di questa rubrica dedicata agli autori. Con noi è Erika B. Riot, che ci propone un libro molto particolare. Non si tratta infatti di un romanzo ma di la storia vera di una bambina figlia di una donna schizofrenica, una vicenda raccontata in prima persona. 

Come è consuetudine, lascio che sia la stessa autrice a raccontarci di cosa si tratta.

Sinossi

La schizofrenia, decisamente, non è poesia. È prima di tutto incomprensione reciproca. Il soggetto schizofrenico non riesce a comprendere il mondo esterno utilizzando chiavi di lettura comunemente condivise, mentre le persone che si relazionano con lui faticano ad entrare nei suoi schemi mentali, a capire come comunicare all’interno di un contesto spesso impenetrabile. A maggior ragione quando lo schizofrenico non sa di essere malato: si trova quindi a soffrire per la mancanza di empatia da parte di chi lo circonda e imparerà presto a identificare come nemici coloro che non partecipano alla sua allucinazione.

‘Non è poesia’ è un viaggio attraverso l’esperienza di Erika, una bambina che si trova suo malgrado ad essere l’unica caregiver della mamma, la quale soffre di schizofrenia paranoide e a causa della sua patologia tende ad isolarsi e ad allontanare in malo modo chiunque provi ad entrare in contatto con lei. Di conseguenza, anche Erika è costretta a confinarsi entro le mura di casa, a limitare al minimo i rapporti con estranei e familiari. Prova più volte a chiedere aiuto, ma sembra che nessuno voglia riconoscere la patologia. La parola “schizofrenia” fa ancora paura e il risultato di una sottostima del problema è spesso un’escalation di violenza. Allo stato attuale, inoltre, non c’è modo di obbligare una persona non consapevole della propria malattia a curarsi.

Non è poesia è il mio primo libro, un libro che in fondo ho sempre saputo che un giorno avrei scritto, che avevo dentro fin da bambina. Racconta dei muri che ingabbiavano mia madre e di conseguenza anche me. Il muro della sua malattia mentale che rende inaccessibili ed incomprensibili i suoi discorsi, certo, ma anche e soprattutto il muro dell’indifferenza di chi ci stava intorno, di chi sentiva gridare ogni santo giorno ma aveva troppa paura della parola schizofrenia per intervenire. 

È anche una critica abbastanza accorata alla Legge 180 (la cosiddetta Legge Basaglia), che lascia la responsabilità della cura esclusivamente al malato. Per definizione però, il più delle volte chi soffre di disagi psichici non è nemmeno al corrente di avere un problema di questo tipo e dunque difficilmente andrà di sua spontanea volontà da uno psichiatra. I TSO sono strumenti utili ma di breve durata e quindi i malati e le loro famiglie cadono in un baratro sempre più buio. Basaglia ha il grande merito di aver liberato centinaia di persone da istituti che erano diventati di costrizione più che di cura, ma era probabilmente un sognatore: la schizofrenia è tutto fuorché una cosa romantica. Da qui la decisione del titolo “Non è poesia”. 

Non voglio spoilerare il finale, ma è stato veramente difficile sopravvivere a così stretto contatto con l’abisso che ha inghiottito mia madre. La bozza del libro, il primo “scheletro” dell’elaborazione, l’ho scritta in un momento in cui, dopo tanto tempo, mi sono trovata di nuovo a guardare negli occhi la paura di non farcela. Ho poi pensato che la mia esperienza potesse essere utile a qualcuno. Se anche solo una persona, dopo aver letto il libro, si convincerà a chiedere un consulto specialistico o se anche un solo parente riuscirà a sentirsi meno solo, avrò vinto.

Erika B. Riot

Incipit

Già all’asilo avevo intuito che qualcosa non andava: mentre le mie amiche parlavano di principi, principesse e supereroi dei cartoni animati, io l’unico film d’animazione che avessi mai visto era Bambi insieme alle maestre; mentre le mie coetanee pensavano solo a giocare insieme e a divertirsi, io ero stata educata a prestare la massima attenzione alle “false amicizie” e alle persone invidiose, a giocare da sola, perché “gli altri” erano pericolosi. Ero diventata amica della noia, con la quale passavo gran parte delle giornate ed alla quale confidavo il mio desiderio di stringere legami. Non ho mai capito di cosa potessero essere invidiose le altre bambine, ma mia madre mi aveva assicurato che lo fossero e mi raccomandava sempre di stare molto attenta.

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Commenti

  1. Il tema trattato è molto interessante, soprattutto perché si tratta di una storia vera. Immagino come sia stato difficile passare l'infanzia con una madre con questi problemi. Complimenti all'autrice.

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  2. Mi sembra un argomento molto interessante. Il fatto che sia una storia vissuta dall'autrice è un valore aggiunto.

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  3. Tema interessante e difficile. A volte scrivere ci fa uscire da una grande sofferenza..

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    1. È vero Elena, scrivere è stato sicuramente catartico. Ha fatto bene a me, spero faccia bene anche ad altri ❤️

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  4. Si può di certo parlare di scrittura terapeutica. Sono storie che è bene ponderare quando leggerle, con quale umore. Ma sono argomenti che è bene diffondere. Grazie per averlo fatto conoscere.

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    1. Grazie Rebecca. Hai ragione, ci vuole un certo umore per storie che hanno un indubbio impatto emotivo. Ho letto l'anteprima di questo libro e posso dire che sia molto coinvolgente.

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    2. Ciao Rebecca,
      è vero, bisogna essere nel giusto mood per leggere qualcosa, indipendentemente dall'argomento. A maggior ragione quando si tratta di fatti reali e toccanti come in questo caso. Ti ringrazio per il tuo commento

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  5. Posso solo immaginare quanto debba essere stato duro crescere con una persona schizofrenica, a ruoli invertiti, con la figlia costretta a diventare madre per accudire la propria genitrice. Conosco un caso simile, anche se con una psicosi più lieve e con un padre molto presente, dove due bambine sono cresciute con molte difficoltà e una figura femminile che le guidasse. E anche loro lamentavano la mancanza di assistenza adeguata. Perciò bene che se ne scriva e se ne parli.
    All'autrice grande merito di aver rivissuto i momenti bui nella scrittura, sicuramente una seconda fatica, ma sarà un aiuto per altre persone. Quando meno a non sentirsi sole.

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    1. grazie mille Barbara, il mio pensiero infatti durante tutta la fase di scrittura è stato quello di poter dare sollievo a chi stesse vivendo una situazione simile, per far sentire queste persone più comprese e meno sole

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