"Nient’altro che amare": faccia a faccia con Maria "a’ zannuta"
Come ormai saprete dal mio ultimo post, l'avventura con le interviste ai personaggi sta per chiudersi, almeno per il momento e con le modalità finora seguite.
Tra le ultime interviste che vi propongo c'è quella di oggi, in cui Amneris di Cesare, scrittrice al suo primo romanzo ma non nuova nel mondo della scrittura, si è calata nei panni della protagonista del suo "Nient’altro che amare", pubblicato con Cento Autore Edizioni.
Ho rivolto qualche domanda a Maria, soprannominata Zannuta, per conoscere meglio questo personaggio e la sua storia.
Maria, so che nel tuo passato ci sono esperienze dure da ricordare, a cominciare da quel nomigliolo che ti hanno affibbiato tanto tempo fa... ma vorrei chiederti di partire proprio da lontano: mi racconti qualcosa del tuo passato?
Gioia mia, che tti dire?Zannutasugnu, e lo sono sempre stata. Da quando ero una picciuliddra. C’avevo una faccia da coniglia, con quei denti sporgenti lì, e lo sguardo un po’ perso nel vuoto, da stupida. E tanto intelligente non sono stata mai, mica ho potuto studiare come i figghjidei ricchi, io! Sono andata a scuola quel tanto che bastava per non esser proprio proprio analfabeta, a leggere e a far di conto ho imparato. Poi mio padre mi ha mandato a scuola in parrocchia, da Don Oreste, per imparare a saper fare tutt’i cos’e fimmene, non so se mi spiego: cucinare, cucire, tenere pulita una casa… Che anche se tanto, così brutta e ciòta come parevo, e non mi sarei mai trovata un marito, questo era quello che pensavano i miei, comunque a servizio avrei sempre potuto andare e qualcosa avrei potuto portare pure a casa. Ecco. Ero una figlia buona, troppo buona, che al mio paese chi è troppo buono significa che è fesso. Ma questo non significa che non avessi orgoglio. Quando mio padre ha fatto quello che ha fatto, io me ne sono andata. E ho deciso di non piangere mai più dopo quella volta lì. Questa faccia mia non è stata mai più rigata da una sola lacrima in cinquant’anni, lo giuro sul ricordo di Rosario mio, il figlio di cui non so più nulla da tanti anni!
Un passato difficile che si è trasformato nel tempo in una sfida: come l’hai affrontata?
Eh, è stata dura! Quanta fatica, quanti sputi e quanti calci che ho preso! Il paese mio sembrava indemoniato, mi odiava. E che gli avevo fatto io, per esser trattata così? Solo perché un mascalzone mi aveva con la forza buttato per terra, in un bosco, e mi aveva disonorata? Solo perché in quella violenza c’ero pure rimasta? Io, il mio bambino l’ho amato lo stesso. Mica l’avrei buttato via! Anche se non era stato voluto, anche se quello che mi era successo mi ha distrutto la vita, che colpa ne aveva lui di tutto quello che mi succedeva a me? E quando me l’hanno strappato dalle braccia è stato un dolore forte. Immenso. Ma ho reagito. Non mi sono piegata. Sono fuggita e pure mendicante, pure a pane e radici, pan’e cipuddra ma a’ ra casa mija! Non mi sono sottomessa alla meschineria di mio padre! Poi è arrivato lui. Bello… Ah, Dio sa se era bello Hans, con quegli occhi profondi, disperati! La stessa disperazione che avevo io. Con lui mi sono sentita utile, servivo a qualcosa anche io! Ecco. E quando mi sono accorta di aspettare un figlio suo, ho capito che dalla vita potevo ricevere in cambio di quegli sputi, di quei calci, di quelle ingiurie, qualcosa di bello e speciale pure per me. E sono andata avanti. Senza fermarmi a chiedere e a chiedermi niente. Perché avevo i miei figli. Perché loro sono stati la mia forza.
Che cosa ha rappresentato per te il posto in cui hai vissuto, quel paesino che ha ti ha segnata in profondità?
E dove me ne dovevo andare? Nella città ranna dei ricchi? A far cosa? Sarebbe stato u’stess… non sarebbe cambiato nulla, anzi. Forse avrei avuto più botte, più sputi, più violenza. In fondo, pur mettendomi da parte, il mio paese mi ha protetto. Mi ha lasciato vivere. Mi ha tollerato. Guardato male, questo sì. Trattato spesso come una cosa da usare e buttare via. Ma in fondo in fondo in qualche modo, mi ha anche voluto un po’ di bene. C’è chi mi ha difeso. Chi mi ha protetto. E anche chi mi ha amato. E poi, c’era il mare. Quel mare sempre uguale e ogni volta diverso, dai colori forti e dal profumo intenso. Quel mare di fronte alla mia povera baracca che mi faceva compagnia e che mi cullava di notte. E la terra. L’aspra terra di Calabria. Così dura e amara come lo è stata la vita mia, ma che in fondo è esattamente così come ho voluto essere e sono orgogliosa di essere stata.
Una parte fondamentale nella tua storia l’ha avuta anche il rapporto con la tua famiglia, un rapporto “difficile” per usare un eufemismo...
Famigghjia? Quale famiglia? Mio padre si ubriacava tutte le notti e toccava a me andarlo a riprendere. Mia madre era terrorizzata da lui e forse anche un po’ gelosa di me. Temeva che un giorno si accorgesse che c’era n’antra fimmena dintr’a’ casa e che magara unn’à vulissa cchjiù. No, famiglia non la si può chiamare quella che è stata la mia. Famiglia, è quella che ho voluto dare ai miei figli. Quella che ho lottato con le unghie e con i denti per formare insieme ai bambini che la vita mi ha dato.
Si può dire che in questo vortice di emozioni il tuo punto fermo sia l’amore? Pensi che nonostante tutto ci sia posto per questo sentimento nella tua vita?
Ah l’Amore. Eh, e chi lo sa cos’è l’Amore? Ne ho avuti tanti di uomini io! E chi se lo ricorda più chi ho amato e chi non ho amato? E poi, chi me lo ha insegnato a me ad amare ah? Non so. Ho amato? Sì, immagino di sì. Ecco, diciamo che se Amore è quello che ho provato per i miei figli, allora così è. Quelli sì che sono stati importanti per me. Quelli che ho partorito, tutti senza differenze. Quelli nati belli e forti, e quelli che sono invece andati al Creatore. Sono riuscita a vivere, a sopportare, a resistere… solo perché c’erano loro. Dintra ì fora. Perché la vita è bella sentirsela muoversi dentro. E anche dopo, non mi pesava lottare, lavorare come una mula per portare a casa da mangiare, per sfamarli. La fatica mi sembrava meno dura, le braccia mi facevano meno male, perché avevo loro. Perché li sentivo piangere, urlare, litigare e picchiarsi alle volte, ma il rumore della loro vita rendeva viva anche me. Sì, l’Amore, come dici tu, signora giornalista, è stato importante nella mia vita. Gli uomini sono venuti, hanno fatto i loro comodi e poi sono passati. I figli no. Quelli sono rimasti. E con loro la loro vita. Dintra i fora i’ mija!
Credi nel destino, Maria?
Una donna come me non ha tempo per pensare al destino. Le cose succedono. Perché succedono non mi interessa. Tanto mica posso fare nulla perché tutto vada diversamente da come va! Fermarsi a interrogarsi sul destino delle cose è un lusso che lascio alle donne come Donna Mèla o la Signora Giovanna. Donne ricche, di posizione. Loro hanno tutto il tempo di pittarsi la faccia e vestirsi eleganti, passeggiare lungo il corso e farsi ammirare. Ecco, donne così, che hanno tutto il tempo del mondo possono anche usarne un poco per domandarsi se esiste un destino. Io no.
Ultima domanda per l'autrice di questo romanzo: Amneris, perché “Zannuta”, com’è nato questo tuo personaggio?
É uscito prepotente dalla mia mente un pomeriggio di giugno, quasi quattro, forse anche cinque anni fa. Dovevo scrivere per un periodico un racconto ispirato a Filumena Marturano, l’opera di Eduardo de Filippo che più amo tra tutte le opere del Sommo drammaturgo napoletano. Volevo scrivere un racconto di vita vissuta che ne ripercorresse lo spirito. Ho iniziato a buttar giù la storia, di getto, in preda a una trance creativa che non si arrestò fintanto che non scrissi la parola fine. Quello che doveva essere un racconto di dieci pagine, era diventato un racconto lungo sessanta. Indecisa se ridurlo della “taglia” prescritta, lo inviai a due mie amiche, Livia e Gabriella. Leggono tutto quello che scrivo, Livia è anche la mia editor. Entrambe mi dissero che se avessi ridotto il racconto mi avrebbero tolto il saluto. Di racconti ispirati a Filumena Marturano ne avrei potuto scrivere un altro. Questo lo avrei invece dovuto ampliare e farne qualcosa di più corposo. In effetti Maria a’ zannuta aveva ancora molte cose da raccontarmi, e alla fine è diventato il romanzo che oggi è nato alla stampa. In realtà ha rischiato di rimanere sepolto per sempre nel mio hard-disk. Avevo vissuto un momento molto brutto nella mia vita e avevo deciso di abbandonare la scrittura. Ma Fabio Musati, lo scrittore molto bravo che gestisce il Forum F.I.A.E. insieme a me e mi impose di inviarlo agli editori, compreso alla Edizioni Cento Autori. E l’editor e curatore editoriale Umberto Rollino vide in Zannuta, il titolo iniziale di Nient’altro che amare un libro bello, da pubblicare. La mail entusiasta che mi inviò l’ho incorniciata e la tengo sulla mia scrivania.
Ringrazio Amneris per aver vestito i panni del suo personaggio rispondendo a queste domande. Per conoscere di più del suo romanzo, vi invito a visitare questo link.
NIENT'ALTRO CHE AMARE
Sito
http://aquanive.wordpress.com
Tra le ultime interviste che vi propongo c'è quella di oggi, in cui Amneris di Cesare, scrittrice al suo primo romanzo ma non nuova nel mondo della scrittura, si è calata nei panni della protagonista del suo "Nient’altro che amare", pubblicato con Cento Autore Edizioni.
Ho rivolto qualche domanda a Maria, soprannominata Zannuta, per conoscere meglio questo personaggio e la sua storia.
Maria, so che nel tuo passato ci sono esperienze dure da ricordare, a cominciare da quel nomigliolo che ti hanno affibbiato tanto tempo fa... ma vorrei chiederti di partire proprio da lontano: mi racconti qualcosa del tuo passato?
Gioia mia, che tti dire?Zannutasugnu, e lo sono sempre stata. Da quando ero una picciuliddra. C’avevo una faccia da coniglia, con quei denti sporgenti lì, e lo sguardo un po’ perso nel vuoto, da stupida. E tanto intelligente non sono stata mai, mica ho potuto studiare come i figghjidei ricchi, io! Sono andata a scuola quel tanto che bastava per non esser proprio proprio analfabeta, a leggere e a far di conto ho imparato. Poi mio padre mi ha mandato a scuola in parrocchia, da Don Oreste, per imparare a saper fare tutt’i cos’e fimmene, non so se mi spiego: cucinare, cucire, tenere pulita una casa… Che anche se tanto, così brutta e ciòta come parevo, e non mi sarei mai trovata un marito, questo era quello che pensavano i miei, comunque a servizio avrei sempre potuto andare e qualcosa avrei potuto portare pure a casa. Ecco. Ero una figlia buona, troppo buona, che al mio paese chi è troppo buono significa che è fesso. Ma questo non significa che non avessi orgoglio. Quando mio padre ha fatto quello che ha fatto, io me ne sono andata. E ho deciso di non piangere mai più dopo quella volta lì. Questa faccia mia non è stata mai più rigata da una sola lacrima in cinquant’anni, lo giuro sul ricordo di Rosario mio, il figlio di cui non so più nulla da tanti anni!
Un passato difficile che si è trasformato nel tempo in una sfida: come l’hai affrontata?
Eh, è stata dura! Quanta fatica, quanti sputi e quanti calci che ho preso! Il paese mio sembrava indemoniato, mi odiava. E che gli avevo fatto io, per esser trattata così? Solo perché un mascalzone mi aveva con la forza buttato per terra, in un bosco, e mi aveva disonorata? Solo perché in quella violenza c’ero pure rimasta? Io, il mio bambino l’ho amato lo stesso. Mica l’avrei buttato via! Anche se non era stato voluto, anche se quello che mi era successo mi ha distrutto la vita, che colpa ne aveva lui di tutto quello che mi succedeva a me? E quando me l’hanno strappato dalle braccia è stato un dolore forte. Immenso. Ma ho reagito. Non mi sono piegata. Sono fuggita e pure mendicante, pure a pane e radici, pan’e cipuddra ma a’ ra casa mija! Non mi sono sottomessa alla meschineria di mio padre! Poi è arrivato lui. Bello… Ah, Dio sa se era bello Hans, con quegli occhi profondi, disperati! La stessa disperazione che avevo io. Con lui mi sono sentita utile, servivo a qualcosa anche io! Ecco. E quando mi sono accorta di aspettare un figlio suo, ho capito che dalla vita potevo ricevere in cambio di quegli sputi, di quei calci, di quelle ingiurie, qualcosa di bello e speciale pure per me. E sono andata avanti. Senza fermarmi a chiedere e a chiedermi niente. Perché avevo i miei figli. Perché loro sono stati la mia forza.
Che cosa ha rappresentato per te il posto in cui hai vissuto, quel paesino che ha ti ha segnata in profondità?
E dove me ne dovevo andare? Nella città ranna dei ricchi? A far cosa? Sarebbe stato u’stess… non sarebbe cambiato nulla, anzi. Forse avrei avuto più botte, più sputi, più violenza. In fondo, pur mettendomi da parte, il mio paese mi ha protetto. Mi ha lasciato vivere. Mi ha tollerato. Guardato male, questo sì. Trattato spesso come una cosa da usare e buttare via. Ma in fondo in fondo in qualche modo, mi ha anche voluto un po’ di bene. C’è chi mi ha difeso. Chi mi ha protetto. E anche chi mi ha amato. E poi, c’era il mare. Quel mare sempre uguale e ogni volta diverso, dai colori forti e dal profumo intenso. Quel mare di fronte alla mia povera baracca che mi faceva compagnia e che mi cullava di notte. E la terra. L’aspra terra di Calabria. Così dura e amara come lo è stata la vita mia, ma che in fondo è esattamente così come ho voluto essere e sono orgogliosa di essere stata.
Una parte fondamentale nella tua storia l’ha avuta anche il rapporto con la tua famiglia, un rapporto “difficile” per usare un eufemismo...
Famigghjia? Quale famiglia? Mio padre si ubriacava tutte le notti e toccava a me andarlo a riprendere. Mia madre era terrorizzata da lui e forse anche un po’ gelosa di me. Temeva che un giorno si accorgesse che c’era n’antra fimmena dintr’a’ casa e che magara unn’à vulissa cchjiù. No, famiglia non la si può chiamare quella che è stata la mia. Famiglia, è quella che ho voluto dare ai miei figli. Quella che ho lottato con le unghie e con i denti per formare insieme ai bambini che la vita mi ha dato.
Si può dire che in questo vortice di emozioni il tuo punto fermo sia l’amore? Pensi che nonostante tutto ci sia posto per questo sentimento nella tua vita?
Ah l’Amore. Eh, e chi lo sa cos’è l’Amore? Ne ho avuti tanti di uomini io! E chi se lo ricorda più chi ho amato e chi non ho amato? E poi, chi me lo ha insegnato a me ad amare ah? Non so. Ho amato? Sì, immagino di sì. Ecco, diciamo che se Amore è quello che ho provato per i miei figli, allora così è. Quelli sì che sono stati importanti per me. Quelli che ho partorito, tutti senza differenze. Quelli nati belli e forti, e quelli che sono invece andati al Creatore. Sono riuscita a vivere, a sopportare, a resistere… solo perché c’erano loro. Dintra ì fora. Perché la vita è bella sentirsela muoversi dentro. E anche dopo, non mi pesava lottare, lavorare come una mula per portare a casa da mangiare, per sfamarli. La fatica mi sembrava meno dura, le braccia mi facevano meno male, perché avevo loro. Perché li sentivo piangere, urlare, litigare e picchiarsi alle volte, ma il rumore della loro vita rendeva viva anche me. Sì, l’Amore, come dici tu, signora giornalista, è stato importante nella mia vita. Gli uomini sono venuti, hanno fatto i loro comodi e poi sono passati. I figli no. Quelli sono rimasti. E con loro la loro vita. Dintra i fora i’ mija!
Credi nel destino, Maria?
Una donna come me non ha tempo per pensare al destino. Le cose succedono. Perché succedono non mi interessa. Tanto mica posso fare nulla perché tutto vada diversamente da come va! Fermarsi a interrogarsi sul destino delle cose è un lusso che lascio alle donne come Donna Mèla o la Signora Giovanna. Donne ricche, di posizione. Loro hanno tutto il tempo di pittarsi la faccia e vestirsi eleganti, passeggiare lungo il corso e farsi ammirare. Ecco, donne così, che hanno tutto il tempo del mondo possono anche usarne un poco per domandarsi se esiste un destino. Io no.
Ultima domanda per l'autrice di questo romanzo: Amneris, perché “Zannuta”, com’è nato questo tuo personaggio?
É uscito prepotente dalla mia mente un pomeriggio di giugno, quasi quattro, forse anche cinque anni fa. Dovevo scrivere per un periodico un racconto ispirato a Filumena Marturano, l’opera di Eduardo de Filippo che più amo tra tutte le opere del Sommo drammaturgo napoletano. Volevo scrivere un racconto di vita vissuta che ne ripercorresse lo spirito. Ho iniziato a buttar giù la storia, di getto, in preda a una trance creativa che non si arrestò fintanto che non scrissi la parola fine. Quello che doveva essere un racconto di dieci pagine, era diventato un racconto lungo sessanta. Indecisa se ridurlo della “taglia” prescritta, lo inviai a due mie amiche, Livia e Gabriella. Leggono tutto quello che scrivo, Livia è anche la mia editor. Entrambe mi dissero che se avessi ridotto il racconto mi avrebbero tolto il saluto. Di racconti ispirati a Filumena Marturano ne avrei potuto scrivere un altro. Questo lo avrei invece dovuto ampliare e farne qualcosa di più corposo. In effetti Maria a’ zannuta aveva ancora molte cose da raccontarmi, e alla fine è diventato il romanzo che oggi è nato alla stampa. In realtà ha rischiato di rimanere sepolto per sempre nel mio hard-disk. Avevo vissuto un momento molto brutto nella mia vita e avevo deciso di abbandonare la scrittura. Ma Fabio Musati, lo scrittore molto bravo che gestisce il Forum F.I.A.E. insieme a me e mi impose di inviarlo agli editori, compreso alla Edizioni Cento Autori. E l’editor e curatore editoriale Umberto Rollino vide in Zannuta, il titolo iniziale di Nient’altro che amare un libro bello, da pubblicare. La mail entusiasta che mi inviò l’ho incorniciata e la tengo sulla mia scrivania.
Ringrazio Amneris per aver vestito i panni del suo personaggio rispondendo a queste domande. Per conoscere di più del suo romanzo, vi invito a visitare questo link.
NIENT'ALTRO CHE AMARE
di Amneris Di Cesare
ed. Cento Autori
Trama
È la madre a darle quel soprannome, a’ zannuta. Una madre che non l’ha mai amata per via di quei denti sporgenti che le danno un’espressione che vagamente ricorda quella di una coniglia. Non l’ha mai difesa da un padre violento e ubriacone che, come tutti in paese, l’ha sempre considerata una ciòta, una stupida, una che non serve ad altro che a divertire gli uomini, grazie al corpo maledettamente sensuale che si ritrova. Ma Maria non sarà mai come lei. Amerà i suoi figli, tutti, indistintamente e nonostante li abbia avuti, spesso, dopo aver subito violenza. Perché come l’animale a cui assomiglia, Maria è prolifica, forte e mansueta. Ma non provate a portarglieli via, quei figli. Perché come i conigli, Maria sa mordere. La vita come l’amore. Perché Maria è una che ama, una che non sa fare nient’altro che amare.
L'Autore
ed. Cento Autori
Trama
È la madre a darle quel soprannome, a’ zannuta. Una madre che non l’ha mai amata per via di quei denti sporgenti che le danno un’espressione che vagamente ricorda quella di una coniglia. Non l’ha mai difesa da un padre violento e ubriacone che, come tutti in paese, l’ha sempre considerata una ciòta, una stupida, una che non serve ad altro che a divertire gli uomini, grazie al corpo maledettamente sensuale che si ritrova. Ma Maria non sarà mai come lei. Amerà i suoi figli, tutti, indistintamente e nonostante li abbia avuti, spesso, dopo aver subito violenza. Perché come l’animale a cui assomiglia, Maria è prolifica, forte e mansueta. Ma non provate a portarglieli via, quei figli. Perché come i conigli, Maria sa mordere. La vita come l’amore. Perché Maria è una che ama, una che non sa fare nient’altro che amare.
L'Autore
Prima di affrontare la sfida del romanzo, ha pubblicato diversi racconti in varie antologie: Cuore in rete vincitore del concorso Lucca Autori Racconti della Rete nel 2003 (Newton Compton), A senhora nell’antologia del premio Pietro Conti 2006, il racconto Zanna, nell’antologia animalista di beneficienza in favore di Save The Dogs, Code di Stampa (Ed. La Gru) e il saggio Mamma o non mamma: la sfida di essere madri nel mondo di Harry Potter, incluso nell’antologia saggisticaPotterologia: dieci as-saggi dell’universo di J.K. Rowling (ed. Camelozampa) a favore dell’onlus pro-infanzia Theodora; ha ottenuto Menzione d’Onore al Premio Letterario Nazionale per Romanzi Brevi Vico del Gargano con il romanzo breve Misterioso è il cuore nel 2008 e una Menzione Speciale con il racconto Vorrei incontrarti tra cent’anni al concorso Il Racconto nel Cassetto 2009. E’ stata lettrice per Vibrisse Libri e collabora al servizio fornito da Il Rifugio degli Esordienti-Danaelibri per la lettura manoscritti con commento critico. E’ co-fondatrice di F.I.A.E – Forum Indipendente Autori Emergenti e redattrice freelance delle riviste periodiche femminili Confessioni Donna e Confidenze.
http://aquanive.wordpress.com
Ciao! :)
RispondiEliminaChe bello il tuo blog! **
Io sono nuova qui su blogger... Mi sto adattando! xD
Da poco ho avviato anche io il mio blog! ^^
è il mio piccolo spazio dove posso scrivere tutto quello che penso, senza filtri o censure...
Tutte le mie emozioni senza tabù!
L'unico posto in cui posso essere me stessa senza timidezza o vergogna!
Non ho molti visitatori... E ancor meno lettori! :(
Se ti va di fare un salto e commentare...
E se poi il mio blog ti piace, mi farebbe molto piacere se accettassi di seguirmi:
http://laragazzachescrivevatroppo.blogspot.it/
Grazie dell'attenzione, a presto! :D
xoxo
La Ragazza Che Scriveva Troppo. <3
P.S.: Seguimi anche su Facebook, se ti va.
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ciao e grazie! Verrò a farti visita allora... :)
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