“Non hai mai capito niente” di Marco Freccero
Prima di parlavi di questa raccolta e di fare qualche domanda all'autore, devo premettere che io solitamente non sono tipo da racconti, anzi faccio parte di quella categoria di persone che preferisce leggere romanzi, possibilmente corposi e lunghi. Eppure, le storie di Marco Freccero mi hanno fatto ricredere. Ho scoperto che anche la narrativa breve può lasciare moltissimo ed essere letta con piacere.
“Non hai mai capito niente” è una di quelle letture che ti entrano dentro in punta di piedi. Ti lasci ingannare dall'apparente semplicità e a un certo punto ti rendi conto che ti ha scatenato delle emozioni che non ti aspettavi, ti ha colpito nel profondo.
Tredici racconti, tredici protagonisti che formano con le loro situazioni di vita una sorta di mosaico, variegato ma allo stesso tempo armonico e coerente.
Personaggi che in realtà sono persone, persone ordinarie, che si trovano tutte a vivere da un momento all'altro una condizione di disagio. Eventi, dei quali non hanno colpa o coscienza, li hanno condotti a una situazione difficile. La perdita del lavoro, la solitudine, la precarietà, i sogni infranti, i rapporti difficili, l'incomprensione. Spaccati di vita quotidiana, tormenti e drammi che potrebbero essere quelli di ognuno di noi, raccontati con il massimo del realismo, con una sensibilità e una profondità di analisi che si trovano di rado tra gli autori contemporanei.
Ho letto questa raccolta a piccoli bocconi. Alla fine di ogni racconto non potevo fare a meno di provare un senso di empatia profonda, delle emozioni forti, molto più di quanto possa accadere con storie d'azione o più di fantasia. Perché è inevitabile identificarsi e pensare che ciò che è capitato a loro può capitare a chiunque di noi.
Sono storie dure, dove non ci sono miracoli o un deus ex machina che risolve tutto, non c'è un mistero svelato, c'è solo un processo di accettazione. L'autore sembra dirci che la vita non fa sconti a nessuno, ma che esiste dentro di noi una forza per riuscire a convivere con serenità con quello che succede. Gente che lotta per restare a galla. Una realtà dove anche nel buio più completo c'è qualcosa a cui aggrapparsi, per cui vale la pena di vivere.
Ogni storia è raccontata senza giudizio, ma con un senso di vicinanza, con una costante attenzione ai piccoli gesti, alle parole dette, ai sentimenti, piccoli o grandi che siano. Ti sembra davvero di avere davanti ogni scena, ti sembra di sentire parlare i personaggi. A ciò si aggiunge un tipo di scrittura pulita e fluida, che rende la lettura molto scorrevole, leggera, e allo stesso tempo incisiva. Un binomio direi di semplicità e complessità.
Una lettura che consiglio perché lascia una scia profonda, ti fa mettere in discussione, ti fa pensare. E non sono molti gli autori a farlo oggigiorno.
Ed è anche per questo che sono molto contenta di poter approfondire con l'autore, che qualcuno di voi sicuramente già conosce come blogger del sito Marco Freccero.
1) Ciao Marco, benvenuto. Comincio con qualche piccola curiosità che forse può aiutare a inquadrare meglio la tua raccolta. Prima di tutto il titolo, che è anche quello di un racconto: perché Non hai mai capito niente? E perché sono 12 + 1 racconti?
Ciao Maria Teresa. Innanzitutto ti ringrazio per lo spazio che mi regali sul tuo blog. L’idea del titolo della mia raccolta di racconti nasce, innanzitutto, da… Un racconto che ho intitolato in quella maniera. Lì c’è un marito e una moglie che sono già alla rottura, eppure sono passati pochi mesi dal matrimonio: sarà la fine? E quello che l’uomo racconta, è solo uno stratagemma per rimettere a posto i cocci, e tirare a campare ancora un po’? Oppure è davvero l’inizio di qualcosa di diverso?
A “non capire niente” non è soltanto il protagonista di quel racconto (e chissà se avrà davvero capito qualcosa…). Direi che in generale, siamo noi a capire molto poco. Desidero raccontare storie che ricordano a ciascuno quanto l’essere umano sia insondabile. Incomprensibile. Un mistero insomma. È per questo che ho dato quel titolo alla mia raccolta. Siamo pieni di esperti, e di tecnologia e scienza che ci garantiscono che tutto è riconducibile a precise categorie che possono essere comprese facilmente. Ciò che sfugge ancora a esse, può essere ugualmente spiegato, e se al momento non è ancora possibile, basta pazientare un po’. Io al contrario, provo a mettere in mostra uomini e donne che si trovano in una situazione critica, e devono provare a fare qualcosa. Lo faranno? O no? Qualunque sia la risposta, è essenziale, a mio parere, rendersi conto che l’animale uomo non sarà mai comprensibile, né potrà mai rientrare in categorie. È un abisso: io provo solo a ricordarlo, e a indicare il ciglio di quell’abisso.
I racconti sono 12+1 perché un racconto di Leonardo Sciascia è intitolato 1912+1 (e già lui aveva “copiato” da Gabriele D’Annunzio che non amava il numero tredici, e nell’intestazione delle sue lettere usava questo stratagemma). È un mio modo per rendere omaggio a un grande autore italiano, ma mi rendo conto che è un omaggio un po’ maldestro.
2) Le vicende che hai narrato colpiscono dritto al cuore, costringono a riflettere e lo fanno con una levità tale che quando cominci a leggere non saprai che accadrà. Ci sono degli autori che fanno lo stesso effetto a te e a cui, anche inconsciamente, ti sei ispirato?
Raymond Carver! Per me è stata una rivelazione. D’un tratto, ho capito cosa dovevo fare, cosa dovevo scrivere. Mi ha liberato da tutte le sciocchezze che avevo in testa a proposito della scrittura. Le persone, le persone: sono loro, non le idee, che devono essere protagoniste delle storie. Il che non significa che io non abbia opinioni, o idee: ma che occorre ascoltare quello che il protagonista ha da dire, invece di usarlo come megafono per le proprie idee. Credo che Carver in questo sia stato per me di un’importanza enorme. Non so se riesco, o riuscirò, a fare qualcosa di buono. Almeno però, posso affermare di conoscere che cosa deve fare la narrativa. Celebrare il mistero dell’essere umano, e questo me lo ha insegnato Raymond Carver.
3) Nelle tue storie, ti cali nei panni dei personaggi più diversi, entrando nella testa di una varietà di tipologie di persone molto ampia, per età, sesso, situazioni di vita, carattere. Certo, si può dire che lo facciano tutti gli scrittori, ma la mia impressione è che tu riesca a identificarti e a scavare molto a fondo. È così, oppure ti senti più un “verista”, che analizza con distacco i personaggi, quasi in modo scientifico?
Non è facile rispondere. La genesi delle mie storie è semplice: ecco una donna che sta davanti a uno specchio, mentre sente il pianto di un bambino nell’altra stanza. Oppure, un imprenditore fallito che si muove nel magazzino della propria azienda ormai chiusa. A quel punto cerco solo di seguirli, di tenere il becco chiuso. C’è ancora la tentazione di “pontificare”, ma spero prima o poi di liberarmene in maniera definitiva. Io credo che raccontare storie significhi tacere e ascoltare. Non è facile perché chi racconta storie è presuntuoso, altrimenti leggerebbe, e basta. Ma prima della propria presunzione, occorre servire la storia, la parola. Quindi mi metto da parte e ascolto, osservo quello che succede. Cosa fa l’imprenditore? E la madre sola? Ma non mi posso limitare a fare il notaio, che prende nota. La faccenda è più complessa: in realtà si tratta spesso di una specie di caccia. Devo inseguire il protagonista, so che lui non ha voglia di parlare. In fondo, è una persona in difficoltà, e nessuno desidera parlare della sua situazione critica. Come diceva Raymond Carver: sono persone che ci provano. Ma, aggiungo io, sono persone che non vogliono mostrarsi deboli. O in difficoltà. Hanno rabbia, rancore, forse. Immagino che solo tacendo la mia scrittura riesca a conseguire qualche risultato.
4) Scommetto che sei un grande osservatore di ciò che ti circonda. Si vede dai dettagli che mostri quando racconti, dai gesti che evidenzi, dalle sensazioni che catturi. La scrittura per te deve essere sempre aderente alla realtà?
A mio parere sì, deve essere aderente alla realtà. Ovviamente ci sono poi migliaia, milioni di altre persone che la penseranno in maniera differente. Anche perché un po’ tutti si domanderanno: “E che ci sarà mai da raccontare? Non è abbastanza tragica la realtà? Non è meglio scrivere qualcosa di lieve e allegro?”. Ognuno legge quello che vuole, ognuno scrive quello che vuole. Tuttavia, io scrivo in questa maniera perché quello che le persone vedono è uno strato superficiale. Piatto come lo schermo televisivo. Dietro a quello schermo, ci sono parecchi sensi, significati, che sono nascosti, o negati. Non so se riesco davvero a conseguire il mio obiettivo, ma ho la presunzione di conoscere la posta in gioco. Che non è solo riportare i fatti, ma prendere quei fatti come occasione per mostrare, a me stesso in primo luogo, la vastità dell’essere umano.
5) So che non ami parlare di te, quindi non ti farò l'odiosa domanda se c'è qualcosa di autobiografico nei tuoi racconti. Mi piacerebbe però sapere a quale dei personaggi di questa prima raccolta ti senti più vicino o semplicemente hai amato di più.
Risponderò comunque. Io sono una persona banale, che conduce una vita banale con degli interessi banali. Ecco perché non parlo di me: non ho niente da dire e non ho mai fatto niente di straordinario o che meriti di essere raccontato. E poi sono riservato, ma questo è dovuto alla natura scontrosa dei liguri.
Non c’è nulla di autobiografico, o quasi, nelle mie storie, anche se ho lavorato, e credo si capisca, nei magazzini, nel commercio. E di tanto in tanto ecco che dentro qualche racconto ci infilo qualcosa di quei tempi. Ma la tua domanda era però un’altra: se c’è qualcuno che ho amato di più. Non mi sono mai posto la questione. Ma forse Rachele, la ragazzina che da tempo ha capito che in questo mondo, ci vogliono spalle larghe, e se sei una donna, quelle spalle devono essere ancora più larghe.
6) “Prima la storia, poi il lettore” recita lo slogan del tuo sito. Cosa intendi?
Da anni si dice che se vuoi scrivere, devi per forza pensare a una storia che piaccia al lettore. E che devi scrivere con in testa i suoi gusti, le sue inclinazioni. Non funziona così, o meglio: funziona per certa narrativa. Per la mia narrativa, o per la narrativa che piace a me, non è possibile essere sempre in accordo col lettore, anche se sarebbe bello. E non per snobismo, semmai il contrario.
Esiste l’idea che la narrativa debba essere intrattenimento, sempre e comunque. E che debba far sognare le persone. Siccome so che chi scrive (in un certo modo), ha i piedi ben piantati per terra, che anzi è più pratico e concreto di un sacco di gente che si crede pratica e concreta, accade che l’incomprensione spesso circondi l’opera di un autore. Perché dice come stanno le cose, svela livelli e piani, nella realtà, che per quieto vivere, o pigrizia, si ignorano. Mi viene in mente Hermann Melville, ma lui è solo uno dei tanti. Se è vero che vendere tanto non è sinonimo di cattiva qualità, è altrettanto vero che poche vendite non significano scarsa qualità della storia.
Io quindi metto al centro la storia, cerco di scriverla al meglio delle mie possibilità; non penso al lettore. So che scrivo storie che a un sacco di gente non piacciono, ma non importa. Però, mettendo al centro la storia, io di fatto rendo omaggio proprio al lettore, che crede di sapere cosa vuole, ma si sbaglia; glielo devo dire io. E come? Non pensando a lui, ma alla storia. Alla piccola realtà che certe storie svelano.
7) Non hai mai capito niente è il primo capitolo, diciamo così, di una serie di tre raccolte che hai chiamato Trilogia delle Erbacce. Il secondo è Cardiologia, il terzo è in arrivo. Ti va di dirci di più di questo progetto e del significato della parola erbacce in questo contesto?
Quando viaggiamo in automobile, restiamo ammaliati dai giardini fioriti, ma non prestiamo mai attenzione alle erbacce che vivono lungo la strada. Sono brutte, sono tante, non sembrano degne di attenzione. Sono invisibili, in un certo senso. Io concentro la mia attenzione proprio su di esse. Vale a dire, su persone che non hanno nulla di eroico, che cercano solo di arrivare al giorno dopo. Non hanno grandi sogni, a parte quello di vivere, o sopravvivere. Celebro la loro esistenza, o ci provo, senza accusare niente o nessuno; ma immagino che il solo esistere, a qualcuno potrebbe dare fastidio. Per esempio, qualche lettore potrebbe pensare: “Ma perché non si ribellano alla loro situazione?”. Non ne ho idea, né mi interessa saperlo. Credo solo che osservare con rispetto queste vite senza valore sia importante. Mentre criticarle o disprezzarle perché non sono “corrette”, non si ribellano, è uno sport che non mi interessa praticare, e credo anzi sia indice di una voglia totalitaria pericolosa.
Il mio progetto è quello di ridare un po’ di spazio e luce a queste persone: l’imprenditore fallito, il ragazzo che si ritrova da solo a mandare avanti la famiglia, la giovane donna che prova a ripartire lontano da casa… Queste sono le persone che adesso mi interessano, e alle quali ho desiderato costruire un ambiente, uno spazio, un luogo, dove stare. Magari per tirare il fiato, e ripartire per la battaglia quotidiana. Nella speranza che chi legge possa capire qualcosa della vita, e soprattutto ricordarsi che, a volte, basta davvero poco per diventare un’erbaccia.
Ringrazio Marco per averci dato l'opportunità di conoscere più a fondo il suo libro e auguro tanta fortuna ai suoi racconti, perché lo meritano davvero.
“Non hai mai capito niente” è una di quelle letture che ti entrano dentro in punta di piedi. Ti lasci ingannare dall'apparente semplicità e a un certo punto ti rendi conto che ti ha scatenato delle emozioni che non ti aspettavi, ti ha colpito nel profondo.
Tredici racconti, tredici protagonisti che formano con le loro situazioni di vita una sorta di mosaico, variegato ma allo stesso tempo armonico e coerente.
Personaggi che in realtà sono persone, persone ordinarie, che si trovano tutte a vivere da un momento all'altro una condizione di disagio. Eventi, dei quali non hanno colpa o coscienza, li hanno condotti a una situazione difficile. La perdita del lavoro, la solitudine, la precarietà, i sogni infranti, i rapporti difficili, l'incomprensione. Spaccati di vita quotidiana, tormenti e drammi che potrebbero essere quelli di ognuno di noi, raccontati con il massimo del realismo, con una sensibilità e una profondità di analisi che si trovano di rado tra gli autori contemporanei.
Ho letto questa raccolta a piccoli bocconi. Alla fine di ogni racconto non potevo fare a meno di provare un senso di empatia profonda, delle emozioni forti, molto più di quanto possa accadere con storie d'azione o più di fantasia. Perché è inevitabile identificarsi e pensare che ciò che è capitato a loro può capitare a chiunque di noi.
Sono storie dure, dove non ci sono miracoli o un deus ex machina che risolve tutto, non c'è un mistero svelato, c'è solo un processo di accettazione. L'autore sembra dirci che la vita non fa sconti a nessuno, ma che esiste dentro di noi una forza per riuscire a convivere con serenità con quello che succede. Gente che lotta per restare a galla. Una realtà dove anche nel buio più completo c'è qualcosa a cui aggrapparsi, per cui vale la pena di vivere.
Ogni storia è raccontata senza giudizio, ma con un senso di vicinanza, con una costante attenzione ai piccoli gesti, alle parole dette, ai sentimenti, piccoli o grandi che siano. Ti sembra davvero di avere davanti ogni scena, ti sembra di sentire parlare i personaggi. A ciò si aggiunge un tipo di scrittura pulita e fluida, che rende la lettura molto scorrevole, leggera, e allo stesso tempo incisiva. Un binomio direi di semplicità e complessità.
Una lettura che consiglio perché lascia una scia profonda, ti fa mettere in discussione, ti fa pensare. E non sono molti gli autori a farlo oggigiorno.
Ed è anche per questo che sono molto contenta di poter approfondire con l'autore, che qualcuno di voi sicuramente già conosce come blogger del sito Marco Freccero.
1) Ciao Marco, benvenuto. Comincio con qualche piccola curiosità che forse può aiutare a inquadrare meglio la tua raccolta. Prima di tutto il titolo, che è anche quello di un racconto: perché Non hai mai capito niente? E perché sono 12 + 1 racconti?
Ciao Maria Teresa. Innanzitutto ti ringrazio per lo spazio che mi regali sul tuo blog. L’idea del titolo della mia raccolta di racconti nasce, innanzitutto, da… Un racconto che ho intitolato in quella maniera. Lì c’è un marito e una moglie che sono già alla rottura, eppure sono passati pochi mesi dal matrimonio: sarà la fine? E quello che l’uomo racconta, è solo uno stratagemma per rimettere a posto i cocci, e tirare a campare ancora un po’? Oppure è davvero l’inizio di qualcosa di diverso?
A “non capire niente” non è soltanto il protagonista di quel racconto (e chissà se avrà davvero capito qualcosa…). Direi che in generale, siamo noi a capire molto poco. Desidero raccontare storie che ricordano a ciascuno quanto l’essere umano sia insondabile. Incomprensibile. Un mistero insomma. È per questo che ho dato quel titolo alla mia raccolta. Siamo pieni di esperti, e di tecnologia e scienza che ci garantiscono che tutto è riconducibile a precise categorie che possono essere comprese facilmente. Ciò che sfugge ancora a esse, può essere ugualmente spiegato, e se al momento non è ancora possibile, basta pazientare un po’. Io al contrario, provo a mettere in mostra uomini e donne che si trovano in una situazione critica, e devono provare a fare qualcosa. Lo faranno? O no? Qualunque sia la risposta, è essenziale, a mio parere, rendersi conto che l’animale uomo non sarà mai comprensibile, né potrà mai rientrare in categorie. È un abisso: io provo solo a ricordarlo, e a indicare il ciglio di quell’abisso.
I racconti sono 12+1 perché un racconto di Leonardo Sciascia è intitolato 1912+1 (e già lui aveva “copiato” da Gabriele D’Annunzio che non amava il numero tredici, e nell’intestazione delle sue lettere usava questo stratagemma). È un mio modo per rendere omaggio a un grande autore italiano, ma mi rendo conto che è un omaggio un po’ maldestro.
2) Le vicende che hai narrato colpiscono dritto al cuore, costringono a riflettere e lo fanno con una levità tale che quando cominci a leggere non saprai che accadrà. Ci sono degli autori che fanno lo stesso effetto a te e a cui, anche inconsciamente, ti sei ispirato?
Raymond Carver! Per me è stata una rivelazione. D’un tratto, ho capito cosa dovevo fare, cosa dovevo scrivere. Mi ha liberato da tutte le sciocchezze che avevo in testa a proposito della scrittura. Le persone, le persone: sono loro, non le idee, che devono essere protagoniste delle storie. Il che non significa che io non abbia opinioni, o idee: ma che occorre ascoltare quello che il protagonista ha da dire, invece di usarlo come megafono per le proprie idee. Credo che Carver in questo sia stato per me di un’importanza enorme. Non so se riesco, o riuscirò, a fare qualcosa di buono. Almeno però, posso affermare di conoscere che cosa deve fare la narrativa. Celebrare il mistero dell’essere umano, e questo me lo ha insegnato Raymond Carver.
3) Nelle tue storie, ti cali nei panni dei personaggi più diversi, entrando nella testa di una varietà di tipologie di persone molto ampia, per età, sesso, situazioni di vita, carattere. Certo, si può dire che lo facciano tutti gli scrittori, ma la mia impressione è che tu riesca a identificarti e a scavare molto a fondo. È così, oppure ti senti più un “verista”, che analizza con distacco i personaggi, quasi in modo scientifico?
Non è facile rispondere. La genesi delle mie storie è semplice: ecco una donna che sta davanti a uno specchio, mentre sente il pianto di un bambino nell’altra stanza. Oppure, un imprenditore fallito che si muove nel magazzino della propria azienda ormai chiusa. A quel punto cerco solo di seguirli, di tenere il becco chiuso. C’è ancora la tentazione di “pontificare”, ma spero prima o poi di liberarmene in maniera definitiva. Io credo che raccontare storie significhi tacere e ascoltare. Non è facile perché chi racconta storie è presuntuoso, altrimenti leggerebbe, e basta. Ma prima della propria presunzione, occorre servire la storia, la parola. Quindi mi metto da parte e ascolto, osservo quello che succede. Cosa fa l’imprenditore? E la madre sola? Ma non mi posso limitare a fare il notaio, che prende nota. La faccenda è più complessa: in realtà si tratta spesso di una specie di caccia. Devo inseguire il protagonista, so che lui non ha voglia di parlare. In fondo, è una persona in difficoltà, e nessuno desidera parlare della sua situazione critica. Come diceva Raymond Carver: sono persone che ci provano. Ma, aggiungo io, sono persone che non vogliono mostrarsi deboli. O in difficoltà. Hanno rabbia, rancore, forse. Immagino che solo tacendo la mia scrittura riesca a conseguire qualche risultato.
4) Scommetto che sei un grande osservatore di ciò che ti circonda. Si vede dai dettagli che mostri quando racconti, dai gesti che evidenzi, dalle sensazioni che catturi. La scrittura per te deve essere sempre aderente alla realtà?
A mio parere sì, deve essere aderente alla realtà. Ovviamente ci sono poi migliaia, milioni di altre persone che la penseranno in maniera differente. Anche perché un po’ tutti si domanderanno: “E che ci sarà mai da raccontare? Non è abbastanza tragica la realtà? Non è meglio scrivere qualcosa di lieve e allegro?”. Ognuno legge quello che vuole, ognuno scrive quello che vuole. Tuttavia, io scrivo in questa maniera perché quello che le persone vedono è uno strato superficiale. Piatto come lo schermo televisivo. Dietro a quello schermo, ci sono parecchi sensi, significati, che sono nascosti, o negati. Non so se riesco davvero a conseguire il mio obiettivo, ma ho la presunzione di conoscere la posta in gioco. Che non è solo riportare i fatti, ma prendere quei fatti come occasione per mostrare, a me stesso in primo luogo, la vastità dell’essere umano.
5) So che non ami parlare di te, quindi non ti farò l'odiosa domanda se c'è qualcosa di autobiografico nei tuoi racconti. Mi piacerebbe però sapere a quale dei personaggi di questa prima raccolta ti senti più vicino o semplicemente hai amato di più.
Risponderò comunque. Io sono una persona banale, che conduce una vita banale con degli interessi banali. Ecco perché non parlo di me: non ho niente da dire e non ho mai fatto niente di straordinario o che meriti di essere raccontato. E poi sono riservato, ma questo è dovuto alla natura scontrosa dei liguri.
Non c’è nulla di autobiografico, o quasi, nelle mie storie, anche se ho lavorato, e credo si capisca, nei magazzini, nel commercio. E di tanto in tanto ecco che dentro qualche racconto ci infilo qualcosa di quei tempi. Ma la tua domanda era però un’altra: se c’è qualcuno che ho amato di più. Non mi sono mai posto la questione. Ma forse Rachele, la ragazzina che da tempo ha capito che in questo mondo, ci vogliono spalle larghe, e se sei una donna, quelle spalle devono essere ancora più larghe.
6) “Prima la storia, poi il lettore” recita lo slogan del tuo sito. Cosa intendi?
Da anni si dice che se vuoi scrivere, devi per forza pensare a una storia che piaccia al lettore. E che devi scrivere con in testa i suoi gusti, le sue inclinazioni. Non funziona così, o meglio: funziona per certa narrativa. Per la mia narrativa, o per la narrativa che piace a me, non è possibile essere sempre in accordo col lettore, anche se sarebbe bello. E non per snobismo, semmai il contrario.
Esiste l’idea che la narrativa debba essere intrattenimento, sempre e comunque. E che debba far sognare le persone. Siccome so che chi scrive (in un certo modo), ha i piedi ben piantati per terra, che anzi è più pratico e concreto di un sacco di gente che si crede pratica e concreta, accade che l’incomprensione spesso circondi l’opera di un autore. Perché dice come stanno le cose, svela livelli e piani, nella realtà, che per quieto vivere, o pigrizia, si ignorano. Mi viene in mente Hermann Melville, ma lui è solo uno dei tanti. Se è vero che vendere tanto non è sinonimo di cattiva qualità, è altrettanto vero che poche vendite non significano scarsa qualità della storia.
Io quindi metto al centro la storia, cerco di scriverla al meglio delle mie possibilità; non penso al lettore. So che scrivo storie che a un sacco di gente non piacciono, ma non importa. Però, mettendo al centro la storia, io di fatto rendo omaggio proprio al lettore, che crede di sapere cosa vuole, ma si sbaglia; glielo devo dire io. E come? Non pensando a lui, ma alla storia. Alla piccola realtà che certe storie svelano.
7) Non hai mai capito niente è il primo capitolo, diciamo così, di una serie di tre raccolte che hai chiamato Trilogia delle Erbacce. Il secondo è Cardiologia, il terzo è in arrivo. Ti va di dirci di più di questo progetto e del significato della parola erbacce in questo contesto?
Quando viaggiamo in automobile, restiamo ammaliati dai giardini fioriti, ma non prestiamo mai attenzione alle erbacce che vivono lungo la strada. Sono brutte, sono tante, non sembrano degne di attenzione. Sono invisibili, in un certo senso. Io concentro la mia attenzione proprio su di esse. Vale a dire, su persone che non hanno nulla di eroico, che cercano solo di arrivare al giorno dopo. Non hanno grandi sogni, a parte quello di vivere, o sopravvivere. Celebro la loro esistenza, o ci provo, senza accusare niente o nessuno; ma immagino che il solo esistere, a qualcuno potrebbe dare fastidio. Per esempio, qualche lettore potrebbe pensare: “Ma perché non si ribellano alla loro situazione?”. Non ne ho idea, né mi interessa saperlo. Credo solo che osservare con rispetto queste vite senza valore sia importante. Mentre criticarle o disprezzarle perché non sono “corrette”, non si ribellano, è uno sport che non mi interessa praticare, e credo anzi sia indice di una voglia totalitaria pericolosa.
Il mio progetto è quello di ridare un po’ di spazio e luce a queste persone: l’imprenditore fallito, il ragazzo che si ritrova da solo a mandare avanti la famiglia, la giovane donna che prova a ripartire lontano da casa… Queste sono le persone che adesso mi interessano, e alle quali ho desiderato costruire un ambiente, uno spazio, un luogo, dove stare. Magari per tirare il fiato, e ripartire per la battaglia quotidiana. Nella speranza che chi legge possa capire qualcosa della vita, e soprattutto ricordarsi che, a volte, basta davvero poco per diventare un’erbaccia.
* * *
Ringrazio Marco per averci dato l'opportunità di conoscere più a fondo il suo libro e auguro tanta fortuna ai suoi racconti, perché lo meritano davvero.
Non so cosa si fa in questi casi. Si commenta subito? Non si commenta? Si attende? Ma si attende che cosa? O chi?
RispondiEliminaMaria Teresa l'ho già ringraziata e farlo ancora mi sembra di scivolare nei salamelecchi; però come fare a non ringraziarla?
Di certo posso garantire questo: non sapevo di aver combinato questo "guaio" con le mie storie (intendo dire: colpire nel profondo chi legge); tutto è successo a mia insaputa. Ne sono felice, e un po' preoccupato. Se tutto accade a mia insaputa... Come faccio a ripetermi?
Grazie ancora, Maria Teresa! Adesso però, stop ai ringraziamenti! :)
E' stato un piacere, figurati.
EliminaQuanto agli effetti collaterali scatenati dai tuoi racconti, sono abbastanza sicura che tu sappia ripeterti, ma lo verificherò presto con Cardiologia!
Secondo me, se uno scrittore suscita emozioni impreviste è il segno che si trova sulla strada giusta :)
Complimenti Marco. L'ho già detto in altre occasioni ma te lo meriti. Per la qualità delle tue storie, per il tuo comunicare pacato, per la dignità che sai imporre al tuo modo di concepire la scrittura.
RispondiEliminaHai la mia stima incondizionata.
Sono pienamente d'accordo, un autore di qualità al 100% :)
EliminaIo sono una pessima fan. Ci sono poco, leggo poco, ma sono una fan dei racconti di Marco. Lasciano un po' di magone ma sono tra le cose migliori che io abbia trovato in giro ultimamente. Ecco, ci tenevo a dirlo qui dove so che passerà un po' di gente. Li consiglio a chi non cerca per forza un intrattenimento facile. A chi ha un po' di coraggio, ecco. :)
RispondiEliminaGrazie per aver lasciato la tua opinione, Serena :) Sì, sono racconti duri, che non hanno niente a che fare come dici tu con l'intrattenimento facile. Si leggono comunque con piacere, per il modo in cui sono scritti e perché c'è una visione di fondo positiva, non cinica.
EliminaIo invece, per adesso, sono una lettrice solo potenziale, ma non c'è bisogno di aggiungere che presto sarò una lettrice... reale? Effettuale?
RispondiEliminaComplimenti!
Penso che non rimarrai delusa :)
EliminaIo ho letto entrambe le raccolte e ho sempre colto ogni occasione per dire quanto mi siano piaciute e quanta bravura trovassi nella scrittura non semplice di Marco. Questa è l'ennesima in cui ribadisco il mio giudizio positivo. Lo seguo anche su youtube, perché lo sapete che viene a dirci qualcosa di interessante anche da quelle parti, no? :)
RispondiEliminaHai ragione, non avevo pensato a mettere il link a youtube, ora rimedio subito, brava che ce l'hai ricordato!
EliminaMarco Freccero è uno dei primi blog che ho iniziato a seguire e ho comprato la sua raccolta di racconti 12+1 Non hai mai capito niente quasi subito. I racconti di Marco sono belli, sono forti come un pugno nello stomaco e fanno riflettere e, qualche volta mi hanno fatto piangere. Molto belli anche i racconti di Cardiologia, anzi li ho trovati ancora più toccanti. Bravo anche su You tube, dove ovviamente mi sono iscritta *_*
RispondiEliminaAnche io ho versato qualche lacrima, inaspettatamente. L'effetto pugno nello stomaco l'ho provato soprattutto per un racconto (ora non ricordo il titolo) che mi ha lasciato un po' male alla fine. Presto attaccherò Cardiologia, perché sono molto curiosa.
EliminaProprio in questi giorni mi sto muovendo verso altri blog. Grazie alla pausa estiva di alcuni, riesco a approfondirne altri, anche commentare (per evitare di scrivere idiozie, resto spettatore per un po', a volte anche anonimo). Non ho ancora letto tutto di Marco, per le raccolte ho letto gli estratti (dal momento che ancora non sono ebook addicted): ho sentito un tono amaro in Non hai mai capito niente, che forse si è trasformato in un fievole lumicino di speranza in Cardiologia. L'evoluzione sembra esserci anche nei colori delle due copertine.
RispondiEliminaSulle erbacce...
Le stavo giusto giusto osservando l'altro giorno, imbottigliata in tangenziale. Chiamarle erbacce a volte è fuorviante. In mezzo al mucchio ce ne'era una il cui fiore assomigliava terribilmente al cardo scozzese. E un'altra di un violetto così acceso che mi sembra ingiusto trovarla lì e non nel mio giardino...
Dove tra l'altro mi cresce spontanea la rucola, quest'anno un'invasione assurda!
Altro che erbacce!
In effetti mi sono interrogata anche io sulle copertine, se ci fosse un'evoluzione. Volevo chiedere a Marco se la scelta del bianco e nero della prima racconta fosse "simbolica"... se passa di qua, magari ci dirà di più.
EliminaSulle erbacce hai ragione, ci sono piante selvatiche molto belle. Ma che fortuna avere la rucola spontanea! La mangi?
Ho il freezer pieno di vasetti di pesto alla rucola, che oramai preferisco a quello al basilico. Per non parlare della classica piada rucola-squacquerone ;)
EliminaLe copertine? Non ricordo perché ho scelto la prima, né la seconda. Mi piacevano, e di certo c'era qualche motivo "sotterraneo" che mi ha spinto a scegliere il bianco e nero per la prima raccolta, e i colori per la seconda.
EliminaLa terza avrà i colori (anche se non ho ancora trovato quella giusta) :)
grazie, l'intervista all'autore mi ha molto incuriosita. Infatti ho appena acquistato il libro in formato e-book su Amazon :)
RispondiEliminaNe sono molto felice ^_^
EliminaGrazie comunque della fiducia. :)
RispondiEliminaGrazie a entrambi per il bel post e per la bella intervista, che ho letto proprio volentieri.
RispondiEliminaMarco ha citato Raymond Carver non a caso, e so da tempo quanto sia un riferimento per la sua scrittura. "Sottrarre" nella scrittura è l'operazione più difficile in assoluto. Ci sono scritture apparentemente semplici, che sono il risultato di un processo di distillazione lunghissimo e sofferto. Basti pensare a quanto diverso possa essere lo stesso racconto se messo nelle mani di due autori.
La tentazione di pontificare, poi, purtroppo è sempre dietro l'angolo - specialmente se si narrano storie contemporanee, ci si arrabbia eccome - ma è un errore. Bisogna mostrare le cose come stanno, poi sta al lettore trarre le sue conclusioni. Questo vale per qualsiasi genere si tratti.
Mi puoi annoverare tra i tuoi prossimi lettori! :-)
Grazie! :)
EliminaGrazie!
RispondiElimina