Modi lenti e dolorosi di uccidere la suspense #1

Scena tratta dal film di Hichcock Io ti salverò (1945)

Questa settimana faccio una pausa rispetto alla guida a CreateSpace che sto scrivendo, per parlarvi di un altro argomento.
Alcune ultime letture, infatti, mi hanno portato a riflettere sulla suspense e a come sia facile commettere errori in questo ambito, perfino quando c'è l'evidente intento di utilizzare in un romanzo alcune tecniche che sono state ideate proprio al fine di tenere alta la tensione.

Magari state pensando che la suspense sia una cosa che riguardi i thriller o storie simili, ma in realtà è un elemento che entra in ballo (o almeno dovrebbe) in qualsiasi tipo di narrazione.
D'altra parte lo dice pure Google, se cerco la parola suspense...

Stato di tensione ansiosa con cui si assiste al succedersi di fatti complicati dei quali non si riesce a prevedere l'esito ( part., quello in cui viene a trovarsi lo spettatore di determinati film o storie).

Non è dunque auspicabile che il lettore sia tenuto sempre in questo stato? O se non proprio sempre, almeno spesso?

Qui però lasciamo da parte le teorie, voglio fare degli esempi concreti, tratti appunto dalle mie ultime letture.

I cliffhanger: un'arma a doppio taglio


Il primo esempio che voglio farvi è relativo al romanzo La trappola, un thriller psicologico di Melanie Raabe, pubblicato da Corbaccio per la collana Top Thriller.
Questa la trama:
Autrice di bestseller, Linda Conrads, trentott'anni, è un mistero per i suoi fan e per la stampa. Da undici anni non mette piede fuori di casa, una villa sul lago di Starnberg. Solo pochissime persone sanno che dietro al successo straordinario della scrittrice si cela un terribile segreto. Molti anni prima, Linda, entrando in casa della sorella Anna, l'ha trovata riversa a terra, brutalmente assassinata e ha intravisto l'omicida che si dava alla fuga e che non è mai stato identificato. “Perché Anna è dovuta morire?” è la domanda che tormenta Linda da allora, così come il volto dell'assassino tormenta ogni notte i suoi sogni. Finché un giorno, casualmente, Linda si ritrova a fissare scioccata la televisione dove compare quel viso, il viso dell'assassino. È la spinta che le serve per uscire finalmente di casa: servendosi dell'unica arma che ha a disposizione, ovvero la sua capacità di scrivere, Linda pianifica nei minimi dettagli una trappola ma, nel momento in cui sta per scattare, la realtà si capovolge, fatti e fantasie si mescolano e Linda non sa nemmeno più se l'uomo che ha di fronte è veramente il mostro che cercava...
L'intero romanzo è strutturato con una doppia linea narrativa: da una parte c'è la storia vera e propria con la protagonista Linda Conrads; dall'altra ci sono degli estratti dal libro che ha scritto, una sorta di romanzo nel romanzo. La soluzione sembra in apparenza originale e accattivante, ma... c'è un grosso “ma”.

Prima di tutto bisogna dire che l'autrice fa ampio uso della tecnica dei cliffhanger, ovvero il modo di agganciare il lettore con una sospensione alla fine del capitolo, in modo da creare una forte incertezza: la scena viene spezzata sul più bello, così che siamo portati a continuare a leggere, spinti dalla curiosità (ne ho parlato brevemente anche nei  post Come risvegliare l'interesse del lettore e Revisionare un romanzo #10).
Un approccio che cerco di usare anche io quando scrivo.

Abusare di questi ganci però potrebbe essere una scelta poco saggia. Come lettrice trovo estenuante che le scene si interrompano in continuazione o che i colpi di scena siano così frequenti da non concedermi mai tregua.

Nel romanzo La trappola, i cliffhanger sono una costante. Quasi ogni capitolo si interrompe lasciando il dubbio sulla continuazione. L'attesa è prolungata dal fatto che alla narrazione si frappongono spesso dei capitoli con i frammenti del romanzo scritto dalla protagonista. Questa soluzione, che in un primo momento sembra utile al prolungamento dell'attesa, dopo un po' risulta snervante. Perché? Soprattutto perché a noi interessa la linea narrativa principale, non proviamo coinvolgimento verso quella dichiaratamente fiction. Dunque, i continui estratti del romanzo finiscono con l'appesantire la lettura.

Ancora peggio poi è quando la tecnica dei cliffhanger viene usata in modo tale da determinare l'effetto opposto a quello voluto. In questo romanzo, infatti, i ganci si manifestano quasi sempre del tutto spropositati, esagerati. Facendo un riferimento al famoso consiglio di Čechov, è come dire che nella scena entra una pistola, ma poi questa pistola spara solo un colpo a salve.

Esempio.

Apro la porta. Di fronte a me c’è un uomo.

Questa è la frase conclusiva del capitolo 3. A questo punto siamo molto curiosi di voltare pagina per conoscere chi c'era dietro la porta chiusa. Ci aspettiamo come minimo una grossa sorpresa.
[Alert spoiler]  E invece (dopo un capitolo intermedio) scopriamo che dietro la porta non c'era che l'amichevole editore. Niente di speciale. [Fine spoiler]

Altro esempio.

Mi precipito in sala da pranzo, penso di averlo mancato di nuovo, corro a spalancare la finestra... e me lo vedo davanti.

Questa è la frase conclusiva del capitolo 26. L'attesa è qui frustrata da un lungo capitolo di intermezzo, con un brano del tutto inutile della storia che la protagonista sta scrivendo. Beh, pazienza, ci diciamo.
[Alert spoiler] Tuttavia, quando finalmente arriva il momento di sapere chi c'era oltre la finestra, scopriamo che c'è... solo l'innocuo giardiniere. E ci sentiamo di nuovo traditi. [Fine spoiler]

E lo stesso accade in molti altri punti. Una sproporzionata enfasi posta alla fine del capitolo, per poi venire a sapere che c'era ben poco di rilevante.

Forse bisognerebbe chiedersi: ho un buon motivo per far aspettare il lettore? Lo sto tenendo davvero sulle spine o metto a dura prova la sua pazienza? I cliffhanger possono diventare un arma a doppio taglio se vengono usati come escamotage di basso livello per costringere il lettore a girare pagina. E distruggono completamente la suspense. Mai gridare al lupo, al lupo senza una ragione ben fondata.

Ciò nonostante, questo romanzo si è rivelato una piacevole lettura, soprattutto per i risvolti psicologici. Non mi sento tuttavia di affermare che meriti un posto d'onore tra i thriller, sia per i difetti che ho evidenziato, sia per la prosa che tutto sommato è piuttosto ordinaria.

E voi come vi rapportate ai cliffhanger, come lettori? E come scrittori ne fate uso?

Commenti

  1. Non sapevo si chiamassero così ... Comunque sì, io li utilizzo molto spesso. E' come la fatidica domanda di Maurizio Costanzo: "Cosa c'è dietro l'angolo ?"
    Ebbene dietro l'angolo c'è sempre qualcosa per cui bisogna andare a vedere di persona.
    Personalmente credo che un libro debba avere degli elementi che spingono il lettore a proseguire nella lettura. Ho iniziato molti libri che ho interrotto dopo le prime tre pagine proprio perché non c'era nessun elemento che mi spingesse a proseguire. Certo se si abusa di questa tecnica può anche venir voglia di rintracciare l'autore e chiedergli i soldi indietro (scherzo ...)
    Comunque credo sia necessario fornire una certa aspettativa che ti invogli a voltare le pagine.

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    1. Incuriosire il lettore è fondamentale, sono d'accordo. Fin dalle prime pagine una storia dovrebbe suscitare domande, ma credo sia anche importante non farlo in modo troppo palese, perché il rischio di scadere nell'artificioso è sempre alto. A volte si passa da un eccesso all'altro...

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  2. Penso che, come per ogni altra tecnica narrativa, bisogna imparare a padroneggiarla, e, come per ogni altro espediente, bisogna evitarne l'abuso, altrimenti l'effetto si diluisce.

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    1. Vero, è un discorso valido per tutte le tecniche narrative. Ho notato che molti romanzi oggi fanno ampio uso di questi escamotage per tenere vincolato il lettore, quasi gli autori non si fidassero del tutto della loro capacità di raccontare.

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  3. Articolo molto interessante, Maria Teresa...grazie! Personalmente ritengo che quella tensione emotiva e psicologica che ti tiene incollato/a alle pagine (ma non solo), e che tu hai giustamente richiamato, è fondamentale in ogni tipo di narrazione (narrazione appunto di ogni genere, anche cinematografica...visto che hai parlato di Cliffhanger ;-) uno su tutti mi viene in mente Hitchcock)

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    1. Ciao Giulio, grazie a te e benvenuto! Sì, il senso di attesa dovrebbe imprimersi in qualsiasi storia, altrimenti dopo un po' passa la voglia di leggere! E in effetti non a caso ho messo un'immagine tratta da un film di Hitchcock, che la sapeva lunga su come tenere incollato lo spettatore alla sedia :)

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  4. E come dice giustamente Grilloz...non si deve abusare...è proprio un gioco psico-emotivo di compressione e decompressione dello stato di tensione...se no poi il lettore/spettatore ad un certo punto esplode! ;-))

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    1. Proprio così. Come lettrice, trovo stancante essere in continuazione in uno stato d'ansia. Mi è capitato a volte di leggere un romanzo a spezzoni proprio per questo motivo. Quando si legge ci vorrebbe anche rilassare ogni tanto :)

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  5. Non lo uso tantissimo in verità. L'ho usato con metodo solo in "Romanzo sensazionale" perché era fondamentale ai fini della struttura narrativa, ma normalmente scrivo racconti autoconclusivi in cui la suspence non ha bisogno di cliffhanger proprio per la brevità della narrazione che si può leggere facilmente in un'unica soluzione.

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    1. Immagino che nei racconti il discorso sia diverso, perché non c'è bisogno di trattenere il lettore.

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  6. Assolutamente d'accordo. A volte si può creare tensione per poi smorzarla, ma il troppo stroppia, alla terza volta io abbandonerei il libro.

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    1. Infatti dopo un po' non ci credi più. Poi quest'autrice secondo me, oltre ad abusare della tecnica, scrive capitoli molto corti, per cui c'è un continuo spezzare le scene... troppo, sì.

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  7. Usati in quella maniera, i cliffhanger sono proprio un colpo basso e Raabe dovrebbe vergognarsene.
    Posso raccontarti, invece, un esempio virtuoso che affronta i cliffhanger in modo diverso.
    Ho da poco terminato Pilgrim di Terry Hayes e mi ha molto colpito anche per la capacità dell'autore di tenere il lettore in sospeso, ma usa una tecnica diversa che preferisco e che ho cercato di usare anche nel mio primo romanzo. Questa tecnica consiste nel non spezzare l'azione o il momento decisivo, bensì narrarlo come se fosse il preludio a qualcosa di più grande e rivelatore. Se prendiamo la scena tipica da cui il cliffhanger prende il nome, un paragrafo non dovrebbe finire con l'eroe appeso alla montagna, bensì dovrebbe narrare difficoltà e fatica che l'eroe affronta fino a riguadagnare la cima ma una volta lì lo vedi solo, in mezzo alla tempesta e senza cibo o attrezzature. In questo punto il paragrafo si conclude e il lettore dovrebbe essere portato a girare pagina per sapere come il protagonista affronterà la discesa fra la tempesta e senza mezzi.

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    1. Molto interessante! In effetti così si tiene alta la tensione e si ottiene anche un crescendo, che invece viene a mancare se esasperi il lettore con continue "finte". Grazie Renato per avercene parlato.
      Mi piacerebbe approfondire :)

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    2. Prego, figurati.
      Pilgrim in effetti offre molti spunti di discussione, ma azinché dilungarmi qui, ti scrivo un messaggio diretto.

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  8. Sono sostanzialmente d'accordo con la maggior parte dei post che mi hanno preceduto. La tensione non dovrebbe essere una costante, ma da lettore mi piacerebbe un andamento da montagne russe, una alternanza di vita normale e a seguire i colpi di scena che non dovrebbero avere il medesimo inizio dei precedenti e di quelli seguenti. Un intervallarsi a seconda della trama ma sicuramente mai regolari.
    Complimenti Maria Teresa per aver scelto un argomento, a mio parere, molto interessante. Uno strumento, quello della suspense, che ogni racconta o storia dovrebbe contenere se sapientemente adoperato. Come di consueto si affaccia, nella stesura di una storia, il bilancino del farmacista a dosare gli ingredienti per tenere incollato il lettore alle pagine del racconto.
    Grazie.
    Rosario

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    1. Grazie Rosario, il discorso della suspense per me è fondamentale, anche se non è un tema facile. Hai ragione sul fatto che occorre molto equilibrio, dosare gli elementi per evitare di cadere in un eccesso o nell'altro. L'ideale sarebbe appunto ottenere un ritmo alternato tra momenti di calma e picchi di tensione. Ogni tanto bisognerà pure rilassarsi quando si legge... :)

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  9. Io uso i cliffhanger ma non sapevo si chiamassero così! Li uso però con parsimonia, almeno credo, mi piace lasciare qualcosa di sospeso alla fine di un capitolo, ma non lo faccio in assoluto alla fine di tutti i capitoli, cerco di dosare suspense e fiction, questo è quello che credo di aver fatto soprattutto in Fine dell'estate, ma ora ti chiedo Maria Teresa, tu che l'hai letto, ho ottenuto un risultato adeguato oppure no? Come lettore i cliffhanger mi piacciono, ma sempre con il mix giusto...

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    1. Da quello che mi ricordo, ne facevi un uso molto equilibrato. E comunque, dati i fatti che raccontavi, lo stato di tensione era adeguato alla situazione. Di certo non c'erano finte sorprese :)
      Sì, un cliffhanger alla fine di ogni capitolo può essere eccessivo.

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    2. Grazie, un risultato adeguato mi sembra soddisfacente:-)

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  10. Articolo interessante, ed esaminato da un'angolazione molto originale, complimenti.Comunque li si voglia chiamare in italiano potremmo definirli "dei colpi di scena che devono tenere il lettore come in sospeso, suscitando la sua curiosità a tal punto da indurlo quasi obbligatoriamente a proseguire la lettura per sapere come andrà a finire quella determinata situazione o quel determinato episodio". E tutto questo induce il lettore a leggere il paragrafo successivo, a girare pagina, a leggere il capitolo seguente o l'intero libro. Questa tecnica "per agganciare il lettore" e farlo proseguire nella lettura è molto usata. A dire il vero "si è sempre usata" almeno i grandi Autori l'hanno fatto e anche quelli moderni lo fanno.Ne abusano? A volte certi scrittori lo fanno in modo ottimale e stuzzicante quanto basta per essere piacevole e rilassante, invece altri autori può sembrarci che lo facciano in modo sproporzionato o in modo poco simpatico verso il lettore. Tutto dipende da quello che scrivono. Senza dilungarmi sui molti generi letterari che usano questa tecnica narrativa, mi soffermerò sul genere a cui appartiene "la trappola" vale a dire il "thriller". Pensare di leggere un romanzo tale senza "colpi di scena o un'ansiosa curiosità per quello che succede dopo ogni capitolo" non è possibile, perché se non vi sono tali elementi suscitati da un'attenta e mirata narrazione che deve produrre tali risultati allora vuol dire che non è un thriller. Io personalmente pretendo tali sensazioni leggendo un thriller, altrimenti dopo una trentina di pagine dove "non succede nulla che susciti attesa o curiosità in me" lo getto via perché lo ritengo un inutile imbroglio e basta. Non pretendo le stesse sensazioni se invece leggo un romando di amore, di avventura o di altro genere diciamo "più tranquillo". Quindi tutto sta "nel genere letterario che si legge". A volte come tu hai accennato qualche scrittore o scrittrice abusa a dismisura di tali tecniche e la cosa può sembrare un po pesante o antipatica, ma questo può capitare. Ho letto poco fa in rete alcune pagine di anteprima del libro "La trappola", quindi non posso fare una valutazione oggettiva del romanzo, però, almeno da queste poche pagine , mi è parso che la scrittrice scriva in modo eccellente la sua narrazione, e quindi la lettura è stata molto piacevole. Comunque sia in un thriller che si rispetti i colpi di scena ci devono essere e anche in più occasioni, senza abusarne in modo improprio o in un modo scorretto. Ma questo dipende dell'abilità dello scrittore e anche della sua onestà narrativa. In ogni aspetto della narrazione ci deve essere un certo equilibrio, l'uso è consentito, ma l'abuso dovrebbe essere evitato, per ogni tecnica che si usi per tenere avvinghiato il lettore alla prossima pagina da leggere. Se si esagera il libro potrebbe finire nella pattumiera. Solo bisogna prima informarsi, riguardo al lettore, su che genere andrà a trattare il romanzo. Così non sarà deluso da ciò che troverà leggendolo. Se uno o una non amano le sensazioni forti forse i thriller non sono adatti per loro, dovranno cercare "un genere più tranquillo". Forse solo avventuroso o di altro genere. Vi saluto.

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    1. Ciao Pietro, hai fatto una giusta osservazione: questa tecnica non è affatto moderna, anzi la usavano anche gli scrittori del passato. Basti pensare alle storie che venivano pubblicate sui giornali, dove era "obbligatorio" suscitare curiosità verso la puntata successiva. Dunque, tutto sta a farne un uso saggio.
      Molto dipende dal genere, dici. Vero. Penso però che anche un thriller non debba esagerare con i colpi di scena, per non lasciare in chi legge un senso di artificiosità. Inserire alcuni momenti in cui la tensione cala non può fare che bene alla narrazione. Ma certo questo è solo un parere da lettrice, ognuno ha le sue preferenze.
      Ogni abuso è da evitare, su questo siamo pienamente d'accordo.

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  11. Questo è il tipico esempio in cui l'eccesso di tecnica uccide l'entusiasmo. Come se qualcuno ti portasse in uno stato di fibrillazione e poi ti sgonfiasse ogni aspettativa. Mi sembra anche un po' banale come espediente, a giudicare dagli espedienti citati. Con un secondo romanzo io, come lettrice, sarei molto più cauta nella lettura; e sicuramente non lo acquisterei a scatola chiusa.

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    1. Oggi c'è la tendenza a fare ampio uso (soprattutto nei thriller) di questi trucchetti, forse pensando che i lettori abbiano poca pazienza, non lo so. Considerato che ho letto recensioni entusiaste di questo romanzo, hanno anche un buon effetto.

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  12. Secondo me questi sono cliffhanger fasulli, ed è il motivo perchè oltre a tenere stretto il lettore alla pagina, lo indispettiscono anche. Faccio un confronto con altri autori, che usano la stessa tecnica del "capitolo sospeso" (io li chiamo così ;) ) Il primo che mi viene in mente e che ne fa un uso sistematico è Dan Brown, che può piacere o meno, ma qui ragioniamo sulla tecnica: lui non scriverebbe che fuori dalla porta c'è un uomo e fine lì; piuttosto al contrario il protagonista apre la porta credendo che sia il postino e invece è un agente CIA con tanto di pistola in mano. Ok, magari è una questione di genere, certo Dan Brown ha più materiale su cui lavorare, tra codici, simboli, complotti e sette segrete. Prendiamo un altro esempio, Diana Gabaldon di Outlander. Lei i cliffhanger li crea in due modi: l'uomo alla porta è il tuo peggior nemico e te lo dice subito, e magari proprio il tuo peggior nemico ti chiede aiuto (e non vai a vedere cosa vuole, proprio da te?); oppure li semina per flashback, lasciandoti intendere che è successa una tal cosa, ma il protagonista ancora non ne parla e a un certo punto te lo trovi rivelato in flashback (nel frattempo tu hai continuato a leggere per cercare cosa davvero era accaduto).
    Però aprire la porta e dopo trovarsi il cane che scodinzola... mi sentirei preso in giro come lettore. :(

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    1. Sì, infatti la sensazione è proprio quella di essere presi in giro. Certo è vero che in un thriller dove c'è molta azione il materiale per creare una sospensione di grande impatto non manca, mentre in uno psicologico è più difficile, ma le forzature sono comunque fastidiose. Tra le varie possibilità io preferisco quella che hai detto a proposito di Diana Gabaldon, ovvero il seminare qua e là degli indizi che ti tengono in sospeso. Credo che sia un modo elegante di tenere il lettore in attesa.

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  13. Buongiorno, come in tutte le cose che riguardano la scrittura sostengo sia strettamente necessario non scollarsi mai da un obiettivo ben preciso: l'equilibrio nella narrazione. Tutto è utile purché goda di articolazioni calibrate. Una storia produce innegabilmente un movimento interiore che viene a sua volta sviscerato attraverso la rielaborazione dei temi trattati. Creare attimi di suspense permette all'immaginazione di varcare anche l'emotività alla quale noi tutti, lettori e scrittori, non possiamo in alcun modo rinunciare. Per tanto sostengo che osservare gli argomenti da diverse angolazioni, debba suggerire una condizione di equilibrio tale per cui ogni elemento sia al suo posto ed al momento giusto. Rileggere il testo a distanza di tempo ci permette di riassorbirne il ritmo e se per cliffhanger si intende un momento di sospensione, bene..sempre nel limite della non esagerazione. Grazie per l'ascolto.

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  14. Ho inserito i miei dati, sono "parolefritte.wordpress.com" ed ho appena pubblicato un commento.

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    1. Ciao, prima di tutto benvenuta. Ti ringrazio per il commento, hai ragione: perseguire l'equilibrio è essenziale in un romanzo. Gli elementi vanno dosati nel modo giusto e per farlo occorre esperienza e un giusto distacco. Io credo che conoscere certe tecniche sia utile, ma a patto di farne un uso oculato. Ogni esagerazione comporta il rischio di lasciare nel lettore un'impressione di artificiosità, sempre sgradevole.

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  15. Mi capita spesso di usare i cliffhanger, a volte per creare suspense, a volte per non lasciare ammosciare il capitolo in modo troppo graduale (non mi piace l'effetto batterie scariche!). Se però cerco la suspense, lo faccio quando c'è qualcosa di sugoso da lasciare in sospeso, e non riprendo l'azione nel capitolo immediatamente successivo, ma nel secondo o più avanti. Ho visto anche dei cliffhanger in cui l'azione prosegue nella facciata successiva, ma sinceramente non ne capisco il senso. Anche per i cliffhanger vale il principio di non eccedere, secondo me. E' fastidioso trovare in un romanzo che quasi tutti i finali di capitolo si somigliano.

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    1. In effetti con continui cliffhanger alla fine dei capitoli si crea una certa monotonia, che è proprio l'effetto che si voleva evitare! Il lettore sa cosa aspettarsi, quando c'è uno schema ripetitivo.
      A me invece è capitato ogni tanto di spezzare una scena e riprenderla il capitolo dopo, ma l'ho fatto soprattutto per evitare capitoli lunghissimi e quindi troppo pesanti.

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  16. A me piace sospendere i capitoli e cercare di dare un po' di suspense, però non si può fare tutte le volte. L'esempio che hai dato tu è lampante: creare suspense quando non ce n'è bisogno appesantisce la lettura e alla lunga annoia il lettore.

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    1. Ciao Emanuela, benvenuta da queste parti :) Hai ragione, non tutti i punti di una storia si prestano all'uso di certe tecniche di suspense, saper individuare i modi più appropriati per rendere la trama è parte secondo me della bravura (e della maturità) di chi scrive. Grazie per il tuo commento

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