Dimmi che lavoro fai e ti dirò che scrittore sei (meme)

Qualche giorno fa, tra i commenti al post sul finale di un romanzo, si parlava  di come il lavoro “ufficiale”, insomma quello che facciamo per vivere, influenzi il nostro approccio alla scrittura, di come per esempio chi si occupa di questioni tecniche finisca per portare questa forma mentale anche nel suo creare storie. Barbara Businaro ne ha fatto un meme, a cui ho deciso di partecipare.

In realtà, è da parecchio tempo che non ho più un'occupazione “ufficiale”, ma aver lavorato per oltre quindici anni nell'ambito giornalistico ha lasciato senz'altro un'impronta su di me, con conseguenze anche sulla mia scrittura. Rifletterci è stato un esercizio interessante che voglio condividere con voi.

Ho lavorato in due tipi di redazioni: quotidiano e rivista specialistica. Anche se le modalità e i tempi erano diversi e svolgevo anche attività collaterali, per entrambe scrivevo articoli e revisionavo quelli dei miei colleghi. Quindi, si potrebbe pensare che il mio lavoro “vero” e quello per hobby abbiano molto in comune, visto che pur sempre di scrittura si tratta. Eppure, la scrittura giornalistica e la narrativa hanno poco da spartire, e per certi versi scrivere storie mi ha obbligata a rivedere un po' la mia scrittura e a volte anche dimenticarmi di certi aspetti e dello stile giornalistico.

Cosa mi sono portata dietro dal mio lavoro


Mania per la revisione

Aver riletto e corretto tanti testi non miei (una attività che odiavo profondamente, detto per inciso) mi condiziona ancora oggi, tanto che tendo a scrivere e revisionare sempre in contemporanea. Cerco sempre di rileggere i testi in modo ipercritico e riscrivo moltissime volte. Affinare i testi è ovviamente essenziale se sei un giornalista, soprattutto quando hai dei vincoli precisi sulla lunghezza di un articolo.

Cercare informazioni e verificare le fonti

Una grande parte del lavoro giornalistico consiste nella ricerca di materiale per gli articoli. Ho conservato quest'abitudine anche riguardo alla narrativa, sia per gli ambiti che conosco che per quelli che non conosco. Svolgo moltissime ricerche, su libri o internet, per farmi un'idea generale di qualcosa o per poter inserire i dettagli giusti e dare un'idea di realismo.

Curiosità giornalistica

A volte mi viene spontaneo fare domande alle persone per sapere di più di loro o delle situazioni che vivono, per poterle inserire in seguito in qualche storia, proprio come si intervistano le persone quando c'è da scrivere un articolo. Le antennine scattano soprattutto quando sento raccontare storie bizzarre o interessanti.

Prendere appunti preliminari

Carta e penna sono ancora alleati fondamentali per la fase di prewriting, così come lo erano per il mio lavoro. L'esigenza di fissare le idee nero su bianco, magari facendo uno schema preliminare prima di svilupparle, è fondamentale quando si butta giù la bozza di un articolo. E lo è ancora oggi, anche se qualche volta mi lascio andare all'ispirazione e tralascio questa fase.

Chiedersi: cosa vuole sapere il lettore?

Questo è un punto delicato, perché se lavori per un organo di informazione, non sei mai libero al 100% di scrivere quello che pensi o di descrivere la pura verità. Ci sono sempre dei confini che devi mettere ai contenuti che stai diffondendo. Devi pensare bene a cosa stai comunicando al lettore e al linguaggio da usare. Questo discorso vale sia per gli articoli di cronaca, che per i pezzi di approfondimento. Di fatto chi legge vuole un certo tipo di approccio, se lo aspetta. Nella narrativa, non sempre si fa questo ragionamento, si racconta una storia e il lettore spesso passa in secondo piano.

Schematizzare

Scrivere un articolo comporta una grande dose di schematizzazione. D'altra parte lo vediamo anche quando scriviamo un post. Si tratta di dare una forma al testo in modo che le informazioni siano raggruppate in modo efficace e logico. Nella narrativa esistono altri tipi di schemi e regole. Ma comunque provare a organizzare i contenuti (informazioni in un caso, trama nell'altro) in modo da ottenere il maggiore impatto su chi legge è un principio valido per entrambi i settori. Una sfida non facile, in entrambi i casi!

Il mio approccio alla scrittura è sempre stato una via di mezzo tra creatività e razionalizzazione. E indubbiamente ho avuto modo di coltivare molto nel mio lavoro quest'ultimo aspetto.

Spero che parteciperete anche voi al meme, in modo da confrontarci e poterci conoscere più a fondo.

Commenti

  1. Anche io qualche mese fa avevo pensato di scrivere un post del genere, quando Mattia L aveva scritto un guest-post che mostrava le affinità fra la scrittura e il gestire una gelateria. Alla fine avevo rinunciato perché, nel cercare di capire in che modo il mio lavoro influenzasse la scrittura, mi venivano in mente solo limitazioni.

    Innanzi tutto, il mio lavoro non stimola la mia creatività: è talmente meccanico e impersonale che, quando torno a casa, ho serie difficoltà a rientrare nel flusso.

    In secondo luogo, ruba tempo alla scrittura. Non sarebbe così, se ci si limitasse a rispettare l'orario canonico e ci si accontentasse di avere un collaboratore anziché un servitore.

    In terzo luogo, la pignoleria maniacale del mio capo mi si appiccica addosso e mi porta a rallentare la stesura perché più volte per abitudine mi sono trovata ad assumere un atteggiamento cavilloso anche quando non era necessario.

    Infine, ho a che fare con persone che usano un linguaggio obsoleto e si appoggiano a formule ormai in disuso ritenute corrette. Io mi trovo a dover aggiungere le "d" eufoniche ai miei testi, impreco ma rischio di fare la stessa cosa una volta a casa. Scrivere per lavoro, con il ritmo cantilenante che i Kapò desiderano nei miei testi, non migliora la mia scrittura ma la peggiora, la ingabbia.

    Insomma: se scrivessi un post del genere direi peste e corna di tutto e tutti rischiando il licenziamento, però prometto che cercherò anche qualche lato positivo. :-D

    P.S. sono in ritardo con la risposta alla mail perché ho avuto qualche problema, ma fra oggi e domani ti scrivo.

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    1. Se cominciavo a scrivere dei capi e dei clienti, passati e presenti, non lo finivo più quel post!! Che dire dei colleghi che confondono "a posto" con "apposto"? o degli acronimi che in informatica spuntano come funghi anche quando non serve?
      No, diciamo che l'idea di base è quanto l'organizzazione del nostro lavoro impatti nella scrittura, ma è chiaro che certi ambienti non sono così per merito/causa delle singole persone ma perchè lo richiede il mercato del lavoro stesso. Il medico è portato a scrivere in una determinata maniera, un avvocato è "inquadrato" dentro certi schemi che funzionano da un secolo almeno, un commerciale sviluppa maggiormente il sensazionalismo sul cliente (esempi superficiali, eh).

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    2. Quando c'è un meme, la persona lo declina come meglio crede. Non escludo di poter trovare, scavando nei lavori svolti in passato, insegnamenti preziosi: anche io ho fatto la giornalista, la prof e la copywriter. Tuttavia, se devo rimanere circoscritta al lavoro attuale, vedo solo ostacoli alla mia attività da scrittrice, anche (o forse soprattutto) per il metodo di lavoro che sono costretta ad adottare e che non lascia alcuno spazio alla libera iniziativa e alla creatività: anche per le email, esistono degli standard...
      In generale tutta questa pedanteria mi ha danneggiato. Te lo giuro: nel risponderti mi sono SFORZATA di cercare aspetti positivi, ma nulla. Sarà per questo che mi sembra di avere due vite? :)

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    3. Infatti non è detto che il lavoro influenzi sempre in positivo la scrittura, anzi. A ben pensarci, poi non è detto che i punti che io ho trovato siano necessariamente qualcosa di buono, sono solo conseguenze, nel bene e nel male.
      Purtroppo un lavoro che non ci piace ci condiziona sempre in senso negativo (beato chi è pagato per qualcosa che ama fare). Il lavoro che facevo a me piaceva, ma c'era tutto un contorno che odiavo profondamente, e anche quello me lo porto dietro in qualche modo, anche se qui ho preferito concentrarmi su altro.
      Da quello che racconti, il tuo lavoro ha condizionato molto la tua scrittura, quindi sei una buona candidata per questo meme :)

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    4. Grazie per la citazione, Chiara ^_^ .

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  2. Però, cara, hai un sacco di bel materiale che puoi utilizzare nei tuoi scritti. Sicuramente già lo fai. Il tuo capo, poi, mi sembra già un bel personaggio. :)

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  3. Anch'io penso che parteciperò al meme di Barbara per quanto sia difficile per me trovare un'unica connessione tra lavoro e scrittura, visto che ho cambiato molti lavori.
    Da quello che racconti, penso che tu abbia avuto la capacità di crearti un metodo di lavoro e di applicarlo nel lavoro come nella scrittura. E' vero che il giornalismo di per sé ha molto a che vedere con la scrittura, ma non è così scontato che chi fa giornalismo si sappia porre le domande e gli obiettivi che tu poni tu. In fondo saper far bene un mestiere, qualunque esso sia, richiede la stessa cura e attenzione che richiede la buona scrittura.

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    1. Credo che tu abbia ragione, e cioè che il metodo sta a monte rispetto al campo di applicazione. Come ha sottolineato molto bene Barbara nel suo post, molto dipende da che tipi siamo, da come ci rapportiamo alle cose. Agiamo di conseguenza, a prescindere dall'attività.
      Il brutto forse è quando siamo costretti per vari motivi a un lavoro che necessita di un approccio radicalmente diverso a quello che usiamo abitualmente, o che ci tarpa le ali.

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  4. Interessante questo meme, sicuramente avrei parecchio da scrivere, anche se forse potrei cascare nel medesimo problema di Chiara...

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    1. comunque l'esperienza da giornalista non è affatto banale, secondo me questa tua formazione traspare molto bene anche dalla cura del tuo blog

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    2. Grazie Giulia. Credo in effetti che queste "impronte" lasciate dal mio lavoro siano più evidenti nel blog, che è un campo più vicino al giornalismo della narrativa.
      Dai, partecipa al meme!

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  5. Grazie della citazione e di aver partecipato al meme. L'ho inserito nell'elenco dei partecipanti.
    Quindici anni in ambito giornalistico sono sicuramente un'esperienza importante e sì, devo dire che non conoscendo il settore, avrei pensato che i due ambiti avessero molto in comune. Invece come spieghi il focus di ciò che si scrive è diverso. Anche se ciò che ti sei portata dietro non mi sembra affatto male, sei abbastanza organizzata anche tu.
    Scrivere revisionando è anche un mio difetto. Lavoro doppio dicono. Che ci sia una maniera per guarire?? :(

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    1. Mi conforta sapere che non ho solo io questo problema! Sì, è un lavoro doppio in un certo senso, oltre a essere piuttosto limitante, perché è come se una parte di noi fosse sempre concentrata a migliorare/correggere e non si lasciasse mai andare al flusso creativo. Non so come si guarisce, combatto da una vita contro la mia doppia natura :(
      Penso comunque che questo meme non sia affatto facile come può sembrare a una prima occhiata, perché i fattori da mettere in campo sono tanti ed è difficile stabilire un confine tra quello che siamo per natura e quello che ci ha trasmesso un certo tipo di lavoro. Comunque sicuramente sono riflessioni interessanti :)

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  6. La tua formazione giornalistica ti permette di affrontare la narrativa con un punto di vista razionale che rende la tua scrittura più professionale.
    La revisione maniacale e l'attenzione al lettore ti danno sicuramente una marcia in più.
    L'importante è che quando scrivi la prima stesura tu sia in grado di lasciare quella prospettiva in un cassetto e lasciare campo libero alla fantasia.

    Per quanto mi riguarda, la mia formazione universitaria mi aiuta nel creare personaggi, perché da brava psicologa ho passato anni a studiare i pattern di azione-reazione che creano e modificano il carattere della gente.
    Il mio vagare, invece, che è stata la mia "professione" per anni, mi ha regalato un'infinità di storie colorate che ora si mischiano nella mia memoria ed escono ad arcobaleno sulla pagina scritta.

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    1. Purtroppo non è affatto facile per me lasciare da parte la razionalità durante la prima stesura, anzi. Avere un metodo aiuta, ma ci sono delle fasi dove è necessario liberarsi di tutti gli schemi e delle manie di controllo, altrimenti non si fa un solo passo in avanti. Insomma è una grossa sfida.
      Invece penso che avere una formazione psicologica come la tua sia un dono prezioso per la scrittura, così come le "avventure" che hai vissuto. Un bel baule pieno di materiale a cui attingere per storie e personaggi!

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  7. Che bel post e che bel bagaglio di competenze che ti sei portata dietro!
    Io non saprei. Ho lavorato (poco) come storica e poi come insegnate, in entrambi i casi si raccontano storie, ma mi è difficile fare un parallelismo. Di certo nelle mie storie tornano spesso gli adolescenti, anche come vittime, ma questa mi sa che è più una questione di sfogo personale (che a volte ci vuole)...

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    1. Grazie Tenar :)
      Mi hai fatto riflettere sul fatto che possa esserci anche un parallelismo tra lavoro e scrittura a livello di argomenti, anche se non sempre ne siamo consapevoli. Nella scrittura finiscono tante cose... E gli sfoghi personali sono più che leciti. Io penso che come insegnante sarei impazzita!

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  8. Che non ti piace correggere e rileggere i testi degli altri è un gran peccato. Sicuramente se ne gioverebbero. E perché mai poi codesta avversione?

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    1. Sai che non ne ho proprio idea? Forse la verità è che non sono brava a rispettare il testo altrui, ho la tendenza a modificarlo secondo il mio gusto e stile. Penso che questo sia un pessimo punto di partenza, sia per chi viene revisionato che per me stessa.

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  9. Difficile dire se i vari lavori che ho cambiato hanno influenzato il mio modo di scrivere... Devo pensarci su.

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    1. Allora aspettiamo le tue riflessioni. Sì, non è facile come sembra, sia nel caso di lavori attinenti alla scrittura sia di quelli molto diversi.

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  10. Condivido le prime tre, mentre mi sono quasi completamente estranee le seconde tre.

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    1. Credo in effetti che gli ultimi tre punti riguardino soprattutto il metodo, che varia molto anche per chi scrive articoli. Tra l'altro, all'inizio io creavo direttamente al computer, senza prendere appunti preliminari, poi ho verificato che scribacchiare su carta mi permette di lasciarmi andare di più alla fantasia. Invece ci sono colleghi giornalisti che addirittura hanno bisogno di scrivere il testo interamente sulla carta prima di riportarlo al pc.

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    2. Io scrivo su carta la prima stesura degli scritti non destinati al blog. Credo che dipenda però dall'essere nato e cresciuto nell'era predigitale.

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  11. Bel post e complimenti per il prezioso bagaglio! :D
    Personalmente mi ritrovo a fare l'impiegata per uno studio professionale e non so ancora per quanto, cosa che mi penzola sul capo come una scure affilata da tre mesi almeno...
    Il mio lavoro influisce sul mio metodo di scrittura? Credo di no. Sento che più che il lavoro, influisce il mio carattere, perché scrivo proprio per estraniarmi dalla mia situazione, per esprimere ciò che il mio lavoro schematico non mi permette di esprimere.
    Quando a causa del poco lavoro mi è stato ridotto l'orario, la prima cosa che ho fatto è stata aprirmi un blog e iniziare ad apprendere quante più cose possibili sulla scrittura narrativa, con la pazza idea di buttare giù qualcosa, prima o poi. Ho liberato la tigre, come si suol dire. E la tigre era rimasta in gabbia, sedata, per anni.
    Niente, o comunque gran poco, del mio lavoro c'è nella mia scrittura, quindi. Si può dire che, invece, è presente tutto ciò che non c'è tra quelle quattro mura dello studio.

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    1. Grazie ^_^
      Comprendo bene quello che hai raccontato, perché in parte anche per me è stato lo stesso. Non sempre il lavoro riesce a soddisfare le nostre esigenze creative, anzi più spesso le limita. E così viene naturale cercare altrove questa realizzazione. Poi avere un lavoro precario, con una spada di Damocle sulla testa, non aiuta sicuramente. Avere una specie di doppia vita a quel punto diventa l'unica soluzione :)

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  12. Direi che è abbastanza vero!
    Di mio faccio il programmatore e mi accorgo di come certi temi che tratto - primo fra tutti l'intelligenza artificiale - siano preponderanti rispetto ad altri.
    Di sicuro la formazione professionale influisce non poco, e anche...nello stile di scrittura, direi. Lo dico perché mi accorgo che in confronto ad altri autori io sono più "stringato", essenziale, e appunto era il tema di uno dei miei ultimi articoli.
    Del resto anche Terry Brooks, che faceva l'avvocato, scrive...di un avvocato: il personaggio principale della saga di Landover.
    E penso che per quanto uno si sforzi sia abbastanza difficile tagliare ogni collegamento con riferimenti alla propria vita.
    Ma non è necessariamente un male: si posssono trovare moltissimi spunti proprio da questo per sviluppare una storia.

    ciao!

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    1. Certo, penso anche io che il proprio lavoro possa offrire molti spunti e materiale per le storie. Di esempi famosi in questo senso ce ne sono parecchi.
      Quando hai parlato della stringatezza da programmatore mi è venuto da sorridere perché anche mio marito è programmatore e se dobbiamo scrivere qualcosa insieme abbiamo sempre un sacco di contrasti: quello che io direi in 100 parole lui lo riduce a 10 :D

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  13. Io sono sicuramente influenzata dal lavoro che faccio, e di cui ho ampiamente parlato in occasione di un guest-post.

    Dover tenere sotto controllo un lavoro estremamente sfaccettato mi ha permesso di migliorare anche la visione complessiva del romanzo. Non dico che non mi sfugga niente, ma certe tecniche sono utili anche nel maneggiare materiale instabile come la Storia unita alla narrativa, che a volte sembra nitroglicerina.

    Anche interagire con diverse persone (referenti in case editrici, disegnatori, ricercatori iconografici, correttori di bozze, grafici...) è stata una buona palestra dal punto di vista umano... per capire meglio i personaggi stessi, sebbene siano di carta.

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    1. Infatti ho subito pensato al tuo post facendo questo meme!
      Al di là delle peculiarità del tuo lavoro, che ti hanno permesso sicuramente di crescere come scrittrice, è interessante anche l'ultimo punto che hai sottolineato, e che forse si sottovaluta. Ovvero il fatto che molti lavori permettono di entrare in relazione con persone diverse da noi, che non frequenteremmo normalmente. Quanto a questo, direi di aver messo da parte un buona buona quantità di materiale che prima o poi userò :D

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  14. Come ha scritto già Chiara sopra, il guest-post che ho pubblicato da lei era su un argomento simile, anche se non identico. Lì parlavo di come l'attività di uno scrittore e quella di un negoziante fossero simili: si deve puntare alla qualità, curare la promozione, e via dicendo.

    Se dovessi fare invece un post in cui parlo di come il mio lavoro influenza la mia scrittura, non so se sarebbe positivo. Quasi non ci sono influenze positive, visto che i due tipi di lavoro sono completamente opposti. Uno è molto manuale, richiede poco pensiero e molto contatto col pubblico; l'altro invece è molto di concetto, ha bisogno di concentrazione e di "solitudine". In compenso, ci sono molti lati negativi: la gelateria mi toglie tempo per scrivere e a volte mi stanca anche troppo per farlo. Di sicuro, potessi far altro lo farei: del resto non sempre uno può fare il lavoro che vuole (anzi, la mia esperienza mi ha insegnato che ciò non succede quasi mai).

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    1. Purtroppo è raro fare il lavoro dei nostri sogni e quindi ci tocca adattarci. Avere a che fare con la gente non deve aiutare molto la scrittura, immagino. In compenso forse ti dà modo di incontrare tante persone diverse, osservarle con gli occhi di uno scrittore e magari in futuro utilizzare il materiale per arricchire le tue storie.
      Ricordo il tuo guest post, era pieno di spunti interessanti :)

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  15. Che bell'argomento. Ci ho riflettuto tanto e per tanto tempo, quando facevo un lavoro che mi opprimeva. Dai! Che in fin dei conti ti serve per scrivere.
    Mi serviva? In un certo senso sì: tutto serve e da tutto si impara, anche dalle esperienze negative.
    Ma perché? Perché dietro c'ero io. Infatti mi sono accorta che era più che altro vero il contrario: cioè che di fatto piegavo il mio lavoro al mio essere "una che scrive". Con grandissimi sforzi, ovviamente. E da qui la dissonanza di fondo che mi faceva star male.
    Quindi il lavoro che uno fa condiziona come uno scrive? Sempre, ma soprattutto se il lavoro che uno fa gli piace e gli appartiene. Perché la "piega" va sempre in quella direzione: l'appartenenza/identificazione tra il nostro "fare" e il nostro "essere".
    È lo stesso discorso per cui, secondo me, da come scriviamo traspare il nostro carattere e, credo, anche se siamo uomini o donne (in senso lato e includendo tutte le possibili etichette di genere).
    Sbaglierò, ma secondo me si nota.

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    1. Ciao Stefania, grazie per il tuo contributo :)
      Sono d'accordo con te, tutto quello che proviamo/viviamo/siamo traspare nei nostri scritti. A volte io mi stupisco rileggendo vecchi testi di cosa ci avevo messo dentro senza esserne minimamente consapevole. E purtroppo se viviamo una dissonanza forte come quella che hai descritto, la scrittura ne risente. Un lavoro oppressivo ti rovina pure la vita :(

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  16. Boh, io non credo di essere influenzato poi così tanto dal lavoro (già poi che purtroppo lavoro anche poco...), al massimo più dagli studi, che spesso sfrutto per infilarci qualche contenuto.
    Per me l'influenza massima sta nei libri che ho letto, che mi hanno formato in un certo modo e con determinati stili e idee. Con gli anni si sono andati a miscelare nel calderone dentro la mia testa, tanto che a volte ritrovo nei miei racconto idee, spunti, stili, che ci vuole un po' a far tornare alla fonte di formazione originale, e a volte non me ne accorgo nemmeno io.

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    1. Un punto di vista interessante, su cui c'è da riflettere. Studi e libri ci influenzano molto, hai ragione. C'è anche da dire che è un'influenza che abbiamo accolto più o meno volontariamente, mentre purtroppo non sempre il lavoro è quello che vorremmo, più spesso lo subiamo.
      Buon per te se la tua professione non ti fagocita (discorso economico a parte).

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  17. Non mi annovero fra gli scrittori ma tento anch'io una risposta.
    Insegno Lettere alla scuola secondaria di primo grado (scuola media per dirla in termini più semplici) e credo che il mio desiderio di scrivere, il modo in cui scrivo, le scelte che compio in campo sintattico, abbiano a che vedere col mestiere che faccio ma solo in parte. Mi capita di leggere verbali e scritti vari di insegnanti e noto spesso uno stile "istituzionale" che francamente non mi appartiene. Mi è capitato di verbalizzare un anno i consigli di classe (capita poco perché noi insegnanti di Lettere per la maggior parte ne siamo presidenti e svolgiamo essenzialmente questa funzione)e di usare un linguaggio molto veloce e diretto, mi si disse "giornalistico". Non riesco a irrigidirmi dietro convenzioni e abitudini accreditate.

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    1. Nel tuo caso si potrebbe dire che non è il lavoro a influenzarti ma che sei tu con il tuo modo di essere a importi su di lui. Hai tutta la mia ammirazione se riesci a non farti irrigidire dalle convenzioni :)

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  18. Le tue esperienze come giornalista ti hanno lasciato un retaggio molto utile, secondo me, anche se scrivere narrativa è sicuramente diverso. Condivido in pieno l'avversione per la revisione dei testi altrui!

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    1. Menomale che mi capisci :)
      Sì, la narrativa è un campo di scrittura molto diverso e lo preferisco al 100%!

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  19. Il mio lavoro è arrivato per caso, essendo quello che pagava di più e che fossi in grado di beccare (dopo averne fatti altri, comunque), perciò io non penso che debba per forza influenzare la maniera in cui uno scrive.

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    1. Ciao Bruno! No, hai ragione, non è detto che il lavoro influenzi per forza la scrittura. Sarebbe più giusto dire forse che in entrambe le attività si riversa spesso il nostro essere e il nostro approccio generale alle cose.
      Grazie per la visita da queste parti :)

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  20. Io sono un traduttore alle prime armi (non di narrativa, ahimè, almeno per ora) quindi direi proprio che lavoro e scittura sono due facce della stessa medaglia, al punto che non capisco più quale dei due influenzi l'altro :) Ovviamente le analogie sono moltissime, e diverse comuni a quelle che elenchi relativamente alla professione giornalistica, come la mania per la revisione, la necessità di documentarsi e la curiosità in generale. Anche nella traduzione è molto utile dividere il lavoro in prima stesura e revisione, lasciando le rifiniture di forma e formattazione a quest'ultima fase. E poi devo dire che tradurre mi fa spesso diventare allergico agli stili linguistici molto barocchi e astratti (che a volte tendo a usare scrivendo), soprattutto quando devo tradurre verso l'inglese, che è una lingua molto più schematica e meno prolissa della nostra. Diciamo che ci sono testi che ti fanno davvero venire voglia di urlare "Ma parla come mangi!"
    Stefano

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    Risposte
    1. Interessante la tua esperienza. In effetti tradurre è un po' come scrivere, anche se da quello che racconti a volte ci si scontra con uno stile che non sentiamo nostro.
      Io ho cominciato da poco con mio marito un piccolo progetto di traduzione del mio romanzo e mi sono resa conto che è un lavoro davvero enorme! Non solo per le difficoltà oggettive di chi come noi non conosce benissimo la lingua straniera, ma soprattutto perché rendere certe particolarità dell'italiano è una vera impresa.
      Comunque penso tu faccia un lavoro molto stimolante :)

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