Beta-reader… quasi editor di narrativa (parte 1)

Jean Honoré Fragonard,
La lettera d'amore (1769) 
Si torna a parlare di beta-reader e di editor con questo articolo scritto da una mia ospite, Cristina M. Cavaliere, che coniuga entrambe le figure. Nel leggere della sua esperienza troverete molti consigli utili sia sul lavoro che potremo trovarci a svolgere come lettori, sia per comprendere meglio come lavorano gli editor professionisti alla “ristrutturazione di un romanzo.

Innanzitutto ringrazio la padrona di casa che mi ha dato l’opportunità di preparare questo nuovo guest-post che stavolta parlerà di narrativa. Sciolgo dunque il piccolo mistero – qualcuno direbbe, il segreto di Pulcinella – confermando che l’editor Alice del precedente guest-post sul mondo della scolastica sono proprio io. Tra l’altro ho invitato molti colleghi, grafici e illustratori a leggere i post, e si sono fatti delle matte risate nel riconoscersi in alcuni ritratti, soggiungendo che sperano di rientrare nelle categorie appartenenti alle vie di mezzo, e non a quelle delle teste dure. Ora che gli animi sono meno surriscaldati, e i libri si avviano alla loro naturale conclusione, cioè a finire nelle mani degli stampatori, procedo dunque in maniera più serena.

Inizialmente pensavo di parlarvi qui come editor di narrativa… in realtà, ripensandoci, non posso spacciarmi come tale, perché non ho mai svolto tale professione. Più che altro posso scrivervi dal punto di vista di una beta-reader (preferisco questo termine, anche se più modaiolo, a lettore-cavia, che mi fa un po’ impressione), con qualche asso nella manica: lavorare appunto come editor di scolastica, essere una lettrice “forte”, e avere io stessa la passione della scrittura. Questi tre fattori non rendono infallibili i miei giudizi come i pronunciamenti della Sibilla Cumana, peraltro oscuri, ma penso che siano comunque un valore aggiunto nel valutare l’opera di un amico di penna, alla ricerca di consigli per migliorare un romanzo. Siccome non posso citare specifici lavori delle mie conoscenze per una questione di correttezza, farò invece degli esempi di autori che molti di voi hanno letto o sentito nominare, sia del passato sia del presente, e anche esempi personali.

Comincio dunque nel dire che, secondo me, esistono alcuni criteri di fondo per valutare un manoscritto in maniera utile. Ecco dunque le mie…

Linee guida


A) Argomentare in maniera costruttiva le nostre obiezioni. Non ha senso una critica come: “bella la storia, ma il romanzo è un po’ lungo,” perché la domanda successiva che ronza nella mente di un autore è “lungo rispetto a che cosa? Einstein ha scoperto la formula della relatività da gran tempo,” e ha ragione da vendere. Se si ritiene che il romanzo sia lungo, bisogna segnalare in quali punti si è allungato inutilmente. Stessa cosa se il romanzo è “un po’ corto”, come dire. Quando mi sono sentita dire che un mio romanzo era “carino” senza aggiungere altro, è stato peggio che se mi avessero dato una coltellata. Una volta mi è capitato persino di aver parlato con una persona che non aveva letto nemmeno una pagina del romanzo, e che contestava le mie scelte sulla questione del punto di vista, il tutto perché non rientrava nella sua ottica di scrittura. Una critica del genere non ha alcun fondamento: prima si legge e poi si critica. Quando in scolastica si discute con gli autori dei cambi da apportare, bisogna essere ben sicuri di quanto si va dicendo, altrimenti l’operazione è inutile, e l’editor perde di credibilità. Alla riunione successiva, l’editor viene fatto a brandelli come Orfeo dalle Baccanti infuriate.

B) Non farsi trasportare da giudizi di tipo soggettivo. Quando si va sul gusto personale, ci si infila in un vicolo cieco. Vi ricordate quando raccontavo dei bagni di sangue nel valutare un progetto grafico, in cui spesso intervengono criteri di tipo soggettivo? La stessa cosa può avvenire con un romanzo; anzi, avviene più spesso qui, in narrativa, dove c’è maggiore libertà. Ad esempio, un conto è mostrare di gradire o meno la resa di un personaggio, un conto è insistere nel cambiargli il carattere perché ci è antipatico. Il grado di antipatia di un protagonista non dovrebbe in alcun modo influenzare un beta-reader o editor. L’unico compito di un personaggio è di essere funzionale alla storia, e che abbia una sua giusta collocazione e un corretto sviluppo; tutto il resto non serve. Don Rodrigo è un libidinoso, prepotente malvagio quando insidia Lucia ne I promessi sposi? Nel romanzo-fiume I pilastri della terra di Ken Follett il vescovo Waleran Bigod è sufficientemente odioso ai nostri occhi? Va bene così, non dobbiamo certo andarci a mangiare il risotto insieme, come dicono a Milano. Possiamo anche descrivere uno psicopatico, ma, se lo rendiamo credibile, avremo fatto un buon lavoro.

C) Rispettare lo stile dell’autore. Qualsiasi beta-reader o editor dovrebbe rispettare lo stile dell’autore, ammesso che ne abbia uno. Se a me non piace lo stile di Hemingway – e confesso che non mi piace – e m’imbatto in un novello Ernest dallo stile secco e cinematografico, non posso pretendere che scriva come Virginia Woolf. A ciascuno la sua voce, diamo a Cesare quel che è di Cesare. Anzi, lo stile dovrebbe essere proprio la cifra con cui si riconosce l’autore, e mi piace ritrovare, nei romanzi di alcune amiche, il medesimo “canto”: c’è chi scrive in maniera quasi seduttiva, con pagine ricche di gamme cromatiche, chi introducendo elementi surreali e onirici, chi lavorando attorno all’elemento colto, come all’interno dell’ostrica in cui si fabbrica la perla, altre con una vivacità da cui traspare la persona stessa. A dire il vero, quando un’amica che stimo come persona e autrice mi dice che sta lavorando a un nuovo romanzo, sono contenta come se lo stessi scrivendo io, e non vedo l’ora di leggerlo.

Passiamo quindi alla fase concreta, cioè al mio personalissimo e discutibile metodo composto dalla:

FASE UNO


In questa fase c’è una prima lettura, in cui cerco di sospendere ogni forma di giudizio, come se fossi un lettore qualunque. So che sembrerà frutto di una scissione dell’io, ma è importante valutare un lavoro cercando di dimenticare chi è l’autore, di solito una persona con cui si è in buoni rapporti, e quindi accantonare tutte quelle forme di istintiva benevolenza che fanno capolino a ogni passaggio zoppicante o sbagliato. Un lavoro, in questo caso narrativo, è altra cosa dalla persona, e spesso le due cose rischiano di confondersi. Molti autori, appunto, esattamente come accade nella scolastica, considerano qualsiasi critica alla loro opera come un attacco personale. Capisco che non è facile passare sotto le forche caudine di alcuni giudizi – io stessa ci sono passata, e sentirmi dire che un certo passaggio era come la “minestra riscaldata” non mi aveva fatto certo fatto brillare gli occhi di felicità – e ci vogliono anni di esperienza per fortificare il proprio animo e prepararlo alle bordate dei lettori. Si tratta di un vero e proprio scoglio che non tutti superano, ma che porta grandi benefici se questo accade.

Quindi, in qualità di beta-reader, leggo una prima volta il manoscritto da cima a fondo per farmene un’idea complessiva e farmi trasportare o meno dalla storia. Come avrete già capito, preferisco leggere il lavoro per intero. Non ho mai letto capitolo per capitolo, rimandando indietro i commenti (cosa che si fa sempre nella scolastica, che prevede un piano dell’opera preliminare), quindi non so dire se questo metodo, con me, possa funzionare. Penso dipenda molto anche dal modo di procedere dell’autore e se preferisce aggiustare eventualmente il tiro durante o a posteriori.

Vittorio Matteo Corco, Dreams (1896)
Si procede dunque con la:

FASE DUE

Nella Fase due c’è una seconda lettura di tipo più razionale, in cui considero due macroaspetti del romanzo, e prendo degli appunti a margine (che mi serviranno per la Fase tre):

1. La struttura. Proprio come la Statua della Libertà possiede una gabbia d’acciaio interna che la sorregge, ogni romanzo che si rispetti deve possedere una sua geometria intrinseca. Come ho già scritto, a livello razionale un lettore potrebbe non avvertirlo, ma il suo inconscio lo percepisce e ne prende nota. Le tipologie di strutture possono essere tante quante sono le idee in circolazione, o i capelli che l’autore ha in testa. Nessuno obbliga a seguire schemi rigidi o, peggio, preconfezionati, ma più il romanzo ha una sua armonia più l’insieme delle scene risulta coerente. Ci sono strutture con parti che si rispecchiano l’una nell’altra, altre con un andirivieni tra passato e presente, altre con inserimenti di paragrafi con punti di vista in terza, poi in prima persona, altre con capitoli lineari e consequenziali anche dal punto di vista temporale, che però alla fine rovesciano le carte in tavola e gettano una luce diversissima su quello che avete già letto (come avviene ne L’assassino cieco di Margaret Atwood, che ritengo un autentico capolavoro). Insomma, ci si può sbizzarrire.

Per farvi un altro esempio tra i più originali, nella struttura del romanzo La donna in bianco di Wilkie Collins, considerato il padre del romanzo giallo, c’è un tempo apparentemente lineare ma una scansione a “punti di vista”. Il romanzo procede aggiungendo sempre nuovi tasselli alla storia, grazie ai personaggi che, a turno, prendono la parola e rendono la loro testimonianza proprio come in un’inchiesta. Non è un caso che i romanzi di Collins di solito uscivano a puntate, e proprio in questo romanzo, di particolare corposità, l’autore rosola il lettore a fuoco lento, godendo dei suoi tormenti capitolo dopo capitolo. Eppure è una storia che tiene incollati dall’inizio fino alla fine delle sue seicento pagine, e quando il lettore chiude il libro ha la sensazione di aver fatto la migliore abbuffata della sua vita, e va a dormire contento.

Di solito chiedo all’autore se per caso non ha fatto uno schema, anche semplice, della struttura. Se non ha pensato di farlo, lo preparo io per verificare alcune cose, ad esempio se spostando avanti o indietro una sezione il romanzo possa acquistare in chiarezza, o anticipando l’entrata in scena di alcuni personaggi non guadagni quel briciolo di vivacità in più.

2. Il cuore, ovvero il significato profondo. Qual è il messaggio del romanzo? Sì, perché a qualsiasi genere appartenga e per qualsiasi pubblico sia stato scritto, un romanzo deve avere un suo perché, e non ondeggiare qua e là come un barchetta alla deriva sulle correnti. Banalmente, il romanzo d’avventura deve essere… avventuroso. Il romanzo giallo deve intrigarmi e magari anche far funzionare le rotelline del mio cervello, sorprendermi per quanto sia stato bravo l’autore nel condurmi fuori strada. Il romanzo d’amore deve indurmi a partecipare alle gioie e alle pene dei protagonisti (e non è il genere banale che tutti disprezzano: è uno dei più difficili in assoluto, proprio per la sovrabbondanza della materia… come la poesia che si ritiene facile ed è invece ardua). Il romanzo storico mi deve trasportare in un’epoca lontana, non necessariamente istruirmi… non è male quando accade, ma la narrazione non deve essere troppo didascalica. Il romanzo horror mi deve far venire gli incubi, come ad esempio Dolores Claibourne di Stephen King. Avevo visto prima il film L’ultima eclisse con la bravissima Kathy Bates, e quindi sapevo che cosa aspettarmi. Di solito a livello visivo si prova più paura, eppure vi assicuro che dopo aver letto il romanzo mi sono rigirata nel letto terrorizzata e sentendo nelle orecchie (SPOILER) il lungo, strozzato gemito del marito di lei, agonizzante in fondo al pozzo, che la invocava con la schiena spezzata. (FINE SPOILER)

Un romanzo che mi aveva sconcertato, perché si avvertiva con chiarezza che l’autore era partito in un modo e s’era infilato in un tunnel da cui non sapeva più come uscire, è stato Il gioco dell’angelo di Zafón. Avendo letto il romanzo precedente, L’ombra del vento e, essendomi piaciuto molto, ero colma di aspettative specie perché il titolo è davvero accattivante… invece mi sono trovata di fronte a un pasticcio illeggibile. Anche se non appartiene ad alcun genere specifico, come nel caso del romanzo di questo scrittore spagnolo, la storia mi deve sempre comunicare qualcosa. Che cosa ha voluto dirmi l’autore, in sostanza? Nella monumentale opera di Proust, il significato è contenuto nel titolo stesso: Alla ricerca del tempo perduto, e in questo caso il contenuto è adeguato al titolo. Bisognerebbe provare a inventarsi uno slogan per il romanzo. Solo in questo modo si sfronda il ramo di tutte le foglie secche ed emerge quello che è il legno nudo: il significante, il cuore, ed essere onesti con se stessi.
(continua...)
Cristina M. Cavaliere

L'AUTORE DI QUESTO GUEST POST Cristina M. Cavaliere (Milano, 1963), pseudonimo di Cristina Rossi, lavora come editor e ricercatrice iconografica nelle redazioni dell’editoria scolastica di lingue straniere. Dal 1990 ha pubblicato una serie di romanzi storici, fra i quali Una Storia Fiorentina, ambientato nella Firenze medicea di fine 1400 e Il Pittore degli Angeli, che ha come protagonista il pittore veneziano Tiziano Vecellio. Nel 2012 è apparso La Colomba e i Leoni – I La Terra del Tramonto, ambientato nel periodo storico della Prima Crociata, pubblicato poi nel 2014 da Silele edizioni. Nel 2016 verrà pubblicato il seguito, La Colomba e i Leoni – II Le Strade dei Pellegrini. Ha appena terminato la stesura del dramma storico teatrale Il Diavolo nella Torre, che ruota attorno alla figura di Bernabò Visconti, e che verrà rappresentato a Trezzo sull’Adda. Blogger e appassionata di letteratura, gestisce anche il blog Il Manoscritto del Cavaliere, riguardante tecniche di scrittura e recensioni di romanzi, ma anche tutte quelle arti visive che contribuiscono ad arricchire ogni forma di narrazione.

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Commenti

  1. Come valutatore mi limito ad una lettura (il tempo è un tiranno implacabile) ma d'altro canto a me è solo richiesto un parere, positivo o negativo, non dei consigli (che comunque molto spesso provo a dare).
    Un aspetto che mi piacerebbe approfondire è quello sulla struttura, nel mio piccolo mi rendo conto che magari il romanzo non è ben bilanciato fra le parti, ma se dovessi spiegarne il perchè non saprei, vado ancora molto a sensazioni.
    Con l'ultimo punto invece citi quella domadna che ogni autore dovrebbe porsi prima di farl leggere qualsiasi cosa a qualcuno, molto spesso no hanno una risposta :(

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    1. Grazie mille per il tuo commento. :-)

      Secondo me la struttura è molto importante in un romanzo, ma quasi nessun lettore o autore vi si sofferma abbastanza a lungo. Se hai ben chiara la struttura, eviti di perdere meno tempo dopo con scritture e riscritture... e il tempo, come ben dici, è tiranno. Naturalmente l'imponderabile è sempre in agguato, ma almeno il libro non ti evapora tra le mani strada facendo.

      Altrettanto importante è il cuore di un romanzo, proprio il nocciolo del discorso o, se preferisci, la meta verso cui lettore e autore si dirigono insieme. Può essere collocato in punto qualsiasi della storia, ma, essendo un organo vitale, lo devi proprio cogliere con chiarezza quando hai chiuso il libro.

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    2. Ma da lettore, diciamo così, attento, cosa dovrei guardare per individuare la truttura? Lo schema che dici di farti come lo imposti?
      Grazie :)

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    3. Grazie a te della domanda. La cosa più semplice è partire dai capitoli, perché ogni romanzo ha comunque delle suddivisioni interne, lunghe o corte che siano. All'interno dei capitoli, poi, individuo le scene e scrivo una frase per definirla in maniera rapida.

      Questo lavoro lo faccio in Word, con uno schema molto semplice a colonne. Però si può organizzare come si vuole. E' molto interessante vedere che cosa viene fuori, in quanto ogni romanzo secondo me ha un suo meccanismo interno.

      Come autrice di romanzi storici, oltre a progettare la struttura, faccio quello che personalmente chiamo la mappatura delle scene, cioè qualcosa di più dettagliato della struttura. Siccome scrivo romanzi corposi, mi serve per tenere sotto controllo tutto il libro e vedere se, ad esempio, non ho ripetuto una scena oppure l'ho anticipata. O anche per capire se non ho tirato troppo a lungo con una sezione.

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    4. Col prossimo romanzo che mi arriva in lettura voglio provare, grazie ;)

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  2. Grazie!! Ho "assoldato" 3 beta-readers cui far leggere quello che scrivo: passerò loro questo post, così avranno qualche dritta! :)
    Chiara.

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    1. Ottimo, mi fa piacere che questo post possa essere utile. :-) Per curiosità, hai passato ai beta-reader l'intero manoscritto oppure ti muovi con loro capitolo per capitolo?

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    2. i racconti brevi ovviamente li passo così come sono. Per il racconto lungo su cui sto lavorando (chiamarlo "romanzo" mi sembra troppo :) ), penso che lo passerò loro una volta completata la prima stesura, secondo me ha più senso.

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    3. Grazie di aver risposto alla mia domanda. Anch'io preferisco leggere il romanzo nella sua forma completa, questo per due motivi:

      - mi piace avere il colpo d'occhio dall'inizio fino alla fine sull'opera;
      - commentare capitolo per capitolo mi riporterebbe al mio lavoro, e quindi mi verrebbe un attacco di orticaria!

      Scherzi a parte, ci sono due scuole di pensiero sulla questione. Come lettrice e come autrice, non penso che mi troverei bene lavorando capitolo per capitolo. Però capisco anche che ognuno ha un suo metodo, si tratta di capire quale sia più efficace.

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  3. Interessante come post. Sono critico soltanto sul punto "non lasciarsi trasportare da giudizi soggettivi"
    Ho avuto modo di vedere, anche a contatto con editor professionisti e che lavorano per grandi case editrici, che il giudizio, quello finale è sempre velato da un fattore soggettivo. Il testo piace oppure no e questo, al di la di come è scritto, è un fattore unicamente soggettivo. Per il resto mi trovo perfettamente d'accordo sugli altri punti.

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    1. Concordo con la tua osservazione (quanti critici letterari si lasciano andare a giudizi di parte e stroncano o esaltano a seconda!), e l'ho sperimentato anche in prima persona. Sono un'editor nel settore della scolastica, e nel mio campo le peggiori battaglie sono proprio quelle che si combattono per far trionfare il proprio gusto personale, che va dal progetto grafico alle foto allo stile delle illustrazioni.

      Del resto siamo tutti esseri umani, e quando leggiamo i manoscritti di un'amica o di un amico è facile essere indulgenti... Però bisognerebbe provare a essere più obiettivi, se si vuole fare un buon lavoro.

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  4. Potrei testimoniare parola per parola questo articolo illuminante e luminoso per chiarezza in quanto ho beneficiato personalmente dei consigli preziosi della mia (Eta?) Beta reader e amica Cristina. Brava come sempre.

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    1. Sei generosa come al solito, Nadia. Mi piace pensare, però, che ho contribuito anche di poco a migliorare un romanzo. Salutami la tua ultima nata, la misteriosa Mariotta. ;-)

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  5. Ma questo è un vero e proprio manuale per lettori beta!
    WoWWW

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  6. Sì, ma la vera domanda è: chi saranno mai i lettori alfa? ;-)

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    1. Io voglio fare il lettore alfa, non voglio arrivare secondo :D :D :D

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    2. Bravissimo, questo è il vero spirito battagliero!

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  7. Ben ritrovata, Cristina.
    Davvero completo questo post e dettagliato, dunque stra-utile. Sono una lettrice-beta novella e mi piacciono i tre punti che consideri come presupposti per fare un buon lavoro: argomentare le obiezioni, no ai giudizi soggettivi, rispetto dello stile dell'autore. Credo che, d'istinto, mi venga naturale dare dell'opera un giudizio personale, ma il gioco mi viene facile perché leggo cose scritte nelle mie corde, dunque non devo astrarmi troppo. A dire la verità, avrei qualche timore a fare da cavia per una lettura, per esempio, fantascientifica (un genere con cui proprio non so essere in sintonia). Per ora sto visionando, capitolo per capitolo, un romanzo che ha un suo bel perché, ma un percorso un po' tortuoso (l'autrice ne sta venendo a capo egregiamente!): mi limito a dare consigli quando richiesti, a sottolineare cose poco chiare e a registrare le mie reazioni emotive di fronte alla storia. È coinvolgente? Cattura abbastanza? Poi refusi e piccole inesattezze sono attenzioni che, secondo me, vanno considerate in seconda battuta, quando l'opera è completa nella sua trama e struttura. Dico bene?

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  8. Ben ritrovata anche a te, Marina, sono davvero felice che le nostre strade si incrocino nuovamente. Grazie per il tuo commento così articolato.

    Per quanto riguarda il giudizio, è uno scoglio davvero arduo da superare sia da parte dell'autore che del lettore. Solitamente, poi, noi svolgiamo la nostra attività di beta-reader per amici e conoscenti, e quindi si ha sempre il timore di offendere. Di rado ho trovato persone così al di sopra della propria opera da accettare qualsiasi critica o stroncatura, anche se ben motivate. Questo vale anche per le recensioni sul mio blog: se le faccio significa che sono pienamente convinta di ciò che scrivo. Se non scrivo nulla, molto probabilmente il libro non mi è piaciuto; però comunico i miei motivi all'autore in separata sede, se lo desidera, per non scoraggiarlo con una critica pubblica.

    Rispondendo alla tua domanda finale, hai detto benissimo. Infatti refusi e inesattezze sono da considerarsi proprio come ultima cosa... e ne parlerò in un'altra puntata del guest-post.

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  9. La cura che metti nelle cose che fai traspare tutta da questo post. :) Io, meno paziente e precisa, quando devo esprimere un parere sul lavoro di qualcuno che conosco sono sempre consapevole delle mie carenze (se non conosco l'autore, preferisco rifiutare). Esprimere un'opinione è e deve essere un vero lavoro, perché si ha tra le mani qualcosa di prezioso e delicato, che può influire sull'autore al di là delle nostre intenzioni.

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    1. Ciao Grazia! Infatti non leggo i manoscritti di chi non conosco, o di chi so che non accetta critiche, perché si tratta di un impegno notevole. Solo il fatto che io legga per due volte lo stesso manoscritto moltiplica per due la lettura.

      Come hai detto giustamente, avverto molto la responsabilità delle mie valutazioni, perché da un lato non vorrei scoraggiare e dall'altro, quando c'è qualcosa che non funziona, è meglio che sia detto con chiarezza. E alle volte sono stupita io stessa quando l'autore apporta i cambiamenti suggeriti!

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  10. Ciao Cristina, ho apprezzato molto questo tuo articolo e concordo con le tue osservazioni e i tre punti cardine da rispettare.

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    1. Buongiorno, Giulia, grazie per il tuo apprezzamento all'articolo. Naturalmente questo è il mio metodo personale, ce ne saranno senz'altro altri molto più validi.

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  11. Innanzitutto lascia che ti esprima il mio stupore per questa "agnizione" molto ma molto teatrale... Alice eri tu! Questo aggiunge un tassello molto importante alla mia conoscenza di te.
    Bellissimo l'articolo che chiarisce, già in questa prima parte, i punti fondamentali dell'essere un vero beta-reader.
    Mi è capitato di essere lettrice-cavia del romanzo di un amico, che ha pubblicato a pagamento, per altro, con un editore che neanche ricordo. Era un horror che sconfinava nello splatter, le immagini, le ambientazioni non erano originali ma "rifacevano" le atmosfere dei B-movie, che detesto. Mi dispiacque perché il suo stile non era per nulla poco interessante, anzi. Gli dissi la verità, ovviamente, e spero che abbia colto il senso della mia critica non del tutto negativa, giacché non mancava di esaltare le sue innegabili doti.
    Capita spesso che ci siano scrittori con un potenziale ma privi di fantasia quanto ad ambientazioni e personaggi? Sembra un paradosso, ma posso garantire che esiste questo tipo di "writer".

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    1. "Capita spesso che ci siano scrittori con un potenziale ma privi di fantasia quanto ad ambientazioni e personaggi? Sembra un paradosso, ma posso garantire che esiste questo tipo di "writer"."

      No, non è un paradosso, anzi, sono tanti, un limite penso che sia che debbano leggere di più, osservare di più il mondo, guardarsi attorno con più attenzione, e poi dovrebbero porsi più domande (in questo li si può aiutare) e poi credo dovrebbero evitare di cercare di dimostrare qualcosa, a volte l'originalità cercata a tutti i costi suona falsa e innaturale.

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    2. @Luz, sì, il mio è stato un vero e proprio coup de théâtre, come si dice in gergo! Come hai intuito, mi piace essere imprevedibile sia nella vita che nelle storie che scrivo, e ribaltare le carte in tavola.

      Dalla tua esperienza di beta-reader, mi confermi ancora una volta che è difficilissimo dare un'opinione spassionata sui lavori di persone appartenenti alla propria cerchia. Comunque, di recente ho avuto la conferma che dire la verità è sempre la cosa migliore: non solo le mie critiche non hanno offeso ma, anzi, sono state molto apprezzate. Poi metterle in pratica è un altro paio di maniche.

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    3. @Luz e Grilloz: l'altro punto che avete toccato è cruciale: ci sono persone che hanno bellissime storie per le mani, ma non sanno scriverle. Viceversa, ci sono persone che sarebbero in grado di scriverle, ma non hanno molta fantasia. Come dice il proverbio, spesso chi ha il pane non ha i denti, e chi ha i denti non ha il pane.

      Mi è venuto in mente uno storico e medievista - bravissimo nel suo campo - che si era cimentato nella scrittura di un romanzo storico anni fa. Tanto lui è piacevole nello scrivere i suoi saggi tanto il suo romanzo era di una noia mortale. Infatti l'avevo abbandonato dopo poche pagine.

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    4. Io ho un romanzo mio nel proverbiale cassetto. Prima o poi dovrò fare un buon editing e tentare la pubblicazione. Un lavoro immane, costruito in anni di documentazioni che servirono per la mia tesi di laurea sulla donna fra i nativi americani, trasformando le stesse fonti per il romanzo. Ecco, ebbi la pretesa di scrivere un romanzo storico e di formazione. Chissà se varrà qualcosa. Dovrò dedicarci un post.

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    5. Mi sembra davvero che valga la pena di tentare, anche solo in considerazione di tutto il lavoro di documentazione impiegato! Interessante, poi, l'argomento. Anni fa avevo fatto anch'io delle ricerche sui nativi americani, concentrandomi sui Lenape, per un mio romanzo che sarebbe anche pronto per la pubblicazione.

      Poi se lo "senti" molto tuo... sì, dovresti proprio pianificare come muoverti in tal senso.

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    6. Devo, assolutamente devo metterci mano.
      Fra teatro e scuola il tempo è ridotto al minimo, ahimé.

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    7. A chi lo dici... ora sto appena appena cominciando a tirare il fiato... in attesa della nuova valanga, però!

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  12. Molto interessante. Io direi che non c'è una ricetta metodologica sempre valida, ognuno usa la sua, l'importante secondo me è essere sistematici. Ho il timore poi che molti editor si lascino molto guidare dalla soggettività e non rispettino lo stile dell'autore, come hai giustamente posto il problema.
    L'unica volta che ho avuto a che fare con un editor, mi ha smontato il racconto punto per punto (non a torto, devo ammettere), ma in maniera poco rispettosa e alla fine mi ha detto di scriverne un altro, che non è lo scopo dell'editing.
    Quando invece mi sono trovato dall'altra parte, ho fornito consulenza su temi scientifici nella narrativa, e lì c'era davvero da mettersi le mani nei capelli per le cose che ho visto e sentito.

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    1. Grazie per il tuo commento, Marco. Hai assolutamente ragione, infatti ribadisco che questo è il mio metodo, ma non è detto che vada bene per tutti. E' un po' come accade nella revisione di un proprio romanzo: ognuno ha un sistema con cui si trova più a suo agio. Del resto, per valutare i lavori degli altri bisognerebbe essere in grado di fare autocritica sui propri, o almeno provare.

      Quello che mi racconti del comportamento di quell'editor succede più spesso di quanto si creda, anche a livello professionale (mi hanno raccontato...). L'editor nel campo della scolastica è avvantaggiato, perché ci sono dei criteri oggettivi per valutare, ad esempio, il funzionamento di un esercizio d'inglese. Nel settore della narrativa è più difficile, in quanto entra in gioco anche la componente emozionale.

      Interessante la tua esperienza sui temi scientifici nella narrativa! Io conosco una persona che fornisce consulenza sui romanzi storici, ed è specializzata nelle battaglie e nelle strategie per il periodo dell'antica Roma, e si trova a dover riscrivere intere scene perché completamente sbagliate.

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  13. Io sono una editor di romanzi freelance. Sono molto d’accordo con ciò che hai scritto. Avere le idee chiare sulla struttura, la trama, il punto di vista, i personaggi… è fondamentale! Per fare una bella e gustosa torta non deve mancare nemmeno un ingrediente. E magari è l’ingrediente segreto a fare la differenza. I romanzi sono complessi da creare. Ma se uno conosce tutte le competenze che servono per la loro stesura ha sicuramente più chance di farsi notare nel mondo editoriale.
    Quello che va sempre ricordato, a mio avviso, è che anche gli addetti ai lavori sono lettori prima che professionisti. Quando mi metto comoda per leggere una bozza inedita mi aspetto i fuochi d’artificio, le lacrime, le risate, l’empatia... e tutto questo è dato da una scrittura tecnica, ragionata, pensata e programmata. Non da una scrittura di getto, come insegnano di solito nei corsi di scrittura creativa.

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    1. Buongiorno, Stefania, ti ringrazio per il tuo contributo, tanto più prezioso in quanto sei proprio un'addetta ai lavori nel campo della narrativa. Non ho mai frequentato un corso di scrittura creativa, per cui non ho una mia opinione in proposito rispetto a quello che dici sulla scrittura di getto che viene insegnata.

      Quello che fa la differenza non è tanto seguire la tecnica e le regole (che sono importanti), quanto mettere quel qualcosa di diverso che altri non hanno, come dici tu stessa. Ed è precisamente quel "quid" che ti rende riconoscibile, al di là della pulizia nella narrazione. La cosa magica è che l'autore non lo fa di proposito, ma lo trasforma in una voce personalissima e inimitabile. Quando invece l'autore è affermato, e lo riproduce a tavolino, diventa manierismo.

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    2. Ciao Stefania, mi unisco a Cristina nel ringraziarti per il commento e la visita sul blog. Sono d'accordo con la tua visione, penso che un buon romanzo sia una riuscita combinazione tra una scrittura ragionata e la capacità di saper suscitare delle emozioni in chi legge. Cosa più facile a dirsi che a farsi...
      Neanche io ho mai frequentato un corso di scrittura creativa, e mi stupisce molto sapere che vi si insegna una scrittura di getto. Mi aspettavo l'esatto contrario!

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    3. Piacere di conoscervi e complimenti per il blog! Il confronto e la condivisione di idee sono a mio avviso fondamentali per crescere. Per rispondere a Maria Teresa, non in tutti i corsi di scrittura creativa: per carità, non voglio fare del qualunquismo! Quelli che ho avuto modo di analizzare io da addetta ai lavori spesso più che insegnare a scrivere, insistono sul potere dell'ispirazione, sottolineando che siamo tutti potenzialmente grandi scrittori. So che è più rincuorante sentirsi dire questo. Temo però che la realtà sia un tantino diversa. Non basta scrivere un tot al giorno in base alla furia creativa. A mio avviso dietro ci deve essere tutto un bagaglio culturale e un'idea chiara in testa. Ne basta una, ma deve essere coccolata e nutrita, fino a diventare un prodotto di cui andare fieri e che trovi una sua collocazione sul mercato editoriale. Non dimentichiamoci che si scrive per gli altri, non solo per noi stessi.

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    4. Non potrei essere più d'accordo con te :)

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