Perché ho scelto il self-publishing (parte 1)


Mi sono riproposta di inaugurare la serie di post dedicata alla mia avventura nel mondo dell'editoria fai-da-te raccontandovi come sono arrivata alla decisione di fare a meno degli editori e imboccare questa strada alternativa.

Tuttavia, mi sto accorgendo che non è affatto facile scrivere questo post. Sono consapevole che si tratta di un argomento delicato e un po' infido, perché il self-publishing suscita sempre molte prese di posizione, facendo schierare le persone in modo radicale da una parte o dall'altra, o dando luogo a polemiche infinite.

Inoltre, non sono affatto sicura di riuscire a spiegare qualcosa che ha molte sfaccettature anche per me stessa, e ne consegue anche il timore di venire fraintesa.
Sarei tentata, insomma, di saltare questa parte, dando ascolto alle parole di Elbert Hubbard: “Non dare mai spiegazioni: i tuoi amici non ne hanno bisogno e i tuoi nemici non ci crederanno comunque”.

Ma voglio ugualmente provare a condividere con voi le mie motivazioni, con la speranza che abbiate la pazienza di leggermi fino in fondo.

Dieci anni fa

Ricordo molto bene una conversazione avvenuta circa dieci anni fa tra me e una mia amica (che conosco nella vita reale). Nel confrontarci sulla comune passione per la scrittura, parlavamo di Lulu, che a quel tempo era ancora poco conosciuto in Italia. Sentivamo per la prima volta di questo fenomeno di pubblicazione senza editore ed entrambe concordammo che non faceva al nostro caso: volevamo pubblicare con una casa editrice e coltivavamo il sogno di vedere i nostri romanzi in bella vista sugli scaffali delle librerie più importanti della città. Ricordo come se fosse stato ieri che io dissi queste parole: “Voglio pubblicare con un editore vero”.

Da quel giorno le cose sono molto cambiate per me, ma non per la mia amica. Lei infatti è rimasta ancorata all'idea di non bruciare la sua storia finché un editore di quelli importanti non accetta di pubblicarla. Ha contattato agenzie, editor e direttori editoriali di un certo peso (è di sicuro molto più intraprendente di me), ma tutti le hanno detto che “non è un buon momento per il suo romanzo” (una frase che si sente spesso di questi tempi, vero?). Quindi, ha preso una decisione drastica: non pubblicare fino a quando non troverà l'editore giusto. E per giusto intende qualcuno che la porterà nelle librerie. Ma sono passati dieci anni e il suo sogno nel frattempo è stato (giustamente) sostituito da altre cose.

Sette anni fa

Il mio destino è invece stato un altro. Ho accettato la prima offerta free che mi è capitata, convinta che il male assoluto fosse l’editoria a pagamento. Ma esistono altre forme più insidiose di scelte sbagliate. In definitiva, la mia esperienza non è stata positiva, ma di questo oggi non voglio parlare, perché è una situazione ancora troppo fresca. Posso però riassumervi come sono andate le cose con una frase che ho letto quest’estate sul saggio di Giuseppe Culicchia E così vorresti fare lo scrittore, (riflessioni ironico-amare sul mondo dell'editoria):
“In quanto inedito, puoi permetterti il lusso di scrivere con innocenza. Un’innocenza che sei destinato a perdere con la pubblicazione. Perché una volta che sarai pubblicato, cambierà tutto”.
Ed è proprio così: dopo il primo libro avviene un cambiamento, si perde l'innocenza. Nel migliore dei casi si acquista una maggiore consapevolezza della realtà, nel peggiore si abbandonano sogni e illusioni, e qualche volta perfino la scrittura. C'è chi dopo il primo libro decide di chiudere ogni progetto, chi riparte più preparato. Certo, è anche possibile che non cambi nulla, che l'esperienza della pubblicazione non vi scuota più di tanto.

Due anni fa

Per quanto mi riguarda, molto è cambiato. In un primo tempo ho deciso di scegliere con molta più cura gli editori e per un po' ho vagheggiato di una casa editrice ideale. Ho fatto molte ricerche, compilato elenchi, ho inviato sinossi, manoscritti o richieste di informazioni a una ristretta cerchia di editori, che si avvicinavano almeno in teoria alla mia idea di CE giusta.

Il risultato è stata una (1!) risposta, ovviamente negativa, da parte di un'agenzia. Il resto è stato silenzio, il più assoluto e frustante silenzio. Il cambiamento rispetto a dieci anni fa è stato subito evidente. Infatti, quando ho cominciato a mandare in giro manoscritti, la percentuale delle risposte (spesso persino personalizzate) era dell'80%, contro l'attuale 1%.

A questo poi si è aggiunto un altro evento che ha definitivamente distrutto la mia fiducia nell'editoria, e cioè la chiusura di un'esperienza lavorativa in una casa editrice, durata ben tredici anni. Tante certezze sono svanite in modo brusco, ma soprattutto ho preso coscienza in modo diretto della crisi del settore, una crisi della quale molti aspiranti scrittori sanno solo per sentito dire o se vengono lanciate campagne per rendere l'opinione pubblica consapevole del mancato pagamento degli stipendi agli addetti ai lavori o agli autori. Questa crisi è però una realtà molto concreta e ha un notevole impatto su chi vuole farsi pubblicare “seriamente”.

La verità di cui ho preso coscienza a un certo punto è stata che pubblicare oggi con un piccolo editore potrebbe equivalere a non aver pubblicato affatto, perché il più delle volte il tuo libro ha diffusione zero nelle librerie e in certi casi non esiste neppure negli store di libri digitali. La distribuzione è il tallone di Achille di moltissimi editori. Inoltre, nella migliore delle ipotesi (quando non ci sono dietro motivazioni disoneste) le case editrici non hanno i fondi per promuoverti e si dimenticano del tuo libro subito dopo averlo pubblicato. E questo accade spesso anche con editori medi e talvolta persino con quelli al top. Chiaramente non si può generalizzare, ma è comunque una realtà con cui fare i conti.

Un anno fa...

Quando un anno fa ho ripreso in mano il romanzo che pubblicherò a breve, ero fortemente demotivata e scoraggiata. L'idea di iniziare il lavoro di riscrittura e revisione senza un futuro certo non mi piaceva affatto. Cosa avrei fatto una volta finito? Avrei ricominciato quella trafila frustrante dell'invio dei manoscritti, quella ricerca affannosa e per lo più inutile di una casa editrice che soddisfacesse i miei canoni? Avrei ripiegato su un piccolo editore, con tutto ciò che questa scelta comporta? O avrei tenuto il romanzo in un cassetto, terrorizzata al pensiero di fare scelte sbagliate?

Devo lasciarvi con questo cliffhanger (macché, tanto già sapete come va a finire la storia...) perché mi accorgo di aver scritto tanto, forse troppo, ma ho ancora molto da dire. Quindi non mi resta che rimandarvi alla prossima puntata!

Commenti

  1. Penso che conosci il mio pensiero sul self publishing.
    Nell’articolo tra le righe intravedo una leggera malinconia, tristezza. Capisco. Il sogno di 10 anni fa, le delusioni dell’aver toccato con mano il mondo editoriale.
    Sui limiti dell’editoria affronti dei temi che amplierò nel mio futuro blog.
    In questa scelta è vero, non ci sarà papà editore a occuparsi di tutto. Questa è una nuova strada, un’avventura che richiede coraggio, convinzione, passione.
    Nei miei studi oggi ho fatto due calcoli. Due editori medi ma buoni.
    Fazi ha in catalogo 657 scrittori.
    Minimum Fax 454 scrittori.
    Purtroppo in una realtà evidente, l’autore dentro una casa editrice è solo uno dei tanti, un filino di business in qualcosa chiamato libro.
    Senza papà editore sembra tutto più difficile. Lo scrittore pubblicato si affida ciecamente alla sorte che l’editore solcherà per lui. Una grande promozione? Un flop? Il libro ritirato dagli scaffali dopo un mese? Tutto è affidato nelle mani di papà.
    Lo scrittore Indie si emancipa dalla passività. Si tira fuori dal sistema e determina il proprio sistema. Sembra solo, ma in realtà lo scrittore indipendente non è solo.
    Tu hai il tuo blog, i tuoi lettori, la possibilità di scegliere senza imposizioni. Ma soprattutto emancipandoti possiedi la più grande ricchezza possibile, te stessa. ;)

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    1. Grazie, Marco. Riesci sempre a rincuorarmi con le tue parole, sarà perché credi davvero in questa possibilità del self e trasmetti questa convinzione.
      E' vero che c'è una certa malinconia nelle mie parole. Indubbiamente rinunciare al sogno che avevo dieci anni fa (e anche prima) è stata dura. Ma se le cose non fossero andate come sono andate, non avrei mai trovato il coraggio di abbracciare quest'indipendenza, che sento calzarmi molto di più, per una questione di temperamento. Io sono per natura uno spirito indipendente, quindi viva la libertà, pure con la solitudine (e le ansie) che comporta :)

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  2. Bell'articolo e bello anche il commento di Marco.
    Sebbene sia ancora molto lontana dalla conclusione dell'opera, anche io sono orientata verso l'autoproduzione. Tu sai com'è la mia vita e sai che faccio un lavoro dipendente: ebbene, non voglio che anche la mia scrittura sia inquadrata nel sistema. Io voglio che sia fuori, dal sistema. Almeno lì, posso essere libera.
    Ovviamente ogni decisione definitiva sarà presa al momento giusto.
    Ma questo è attualmente il mio pensiero.

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    1. Capisco benissimo il tuo pensiero. Essere inquadrati nel sistema ha vantaggi e svantaggi, ma se si è consapevoli di quello che comporta tirarsene fuori e soprattutto se ci fa sentire bene... allora è la scelta giusta.
      Al momento di decidere, saprai qual è la tua strada :)

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    2. Sai, io mi domando perché per tutta la vita debba rimettere le mie scelte al giudizio di qualcuno. Faccio un lavoro che non mi piace, perché è stato stabilito che io sia idonea anche se non c'entra niente con le mie aspirazioni. Al contrario, ho ricevuto tante porte in faccia a colloqui per lavori che mi interessavano davvero. Perché per il romanzo devo aspettare che qualcuno decida se vada bene o no? Posso per una volta in tutta la vita dire "adesso decido io"? Bah.. sono in una fase un po' anarchica. Chissà se in futuro la penserò ancora così.

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    3. Sai, a me non preoccupa tanto il discorso che qualcuno debba giudicare il mio lavoro. Non ci sarebbe nulla di sbagliato se vivessimo in un mondo giusto, dove il parere di chi ne sa più di te è equo e viene tenuto in giusta considerazione. In pratica, se venissero pubblicati solo libri di valore. Ma come sappiamo non funziona così. Quindi alla fine la vedo come te: ma perché devo aspettare anni per ottenere la convalida di un piccolo editore che magari non sa neppure fare il suo lavoro? E perché devo pagare un'agenzia per far arrivare il mio libro a un editore più importante? In tutto questo io non ci vedo nulla di "giusto". Vedo solo una realtà malata della quale non voglio più far parte.

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    4. Esatto. è quello che penso io. Siamo vittime di un sistema che stabilisce cosa sia accettabile e cosa no. Noi dobbiamo adeguarci e, a testa china, supplicare che qualcuno ci apra la porta. Se vogliamo essere outsider, dobbiamo esserlo fino in fondo! :-D

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  3. Una cosa che non capisco è a cosa serva pubblicare un libro, che pure ha dei costi, per poi "dimenticarsene", come dici tu. Cioè, non dubito che avvenga; me ne chiedo solo il senso...

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    1. Ci sono molte risposte, tutte pessime. Eccone tre:
      - Un autore che pubblica a raffica (ovviamente senza curare minimamente il manoscritto) potrebbe concentrarsi solo sulle nuove uscite
      - Si confida che l'autore acquisti un bel po' di copie
      - Non si paga l'autore se il libro non vende un tot di copie (quindi l'onere della vendita viene ribaltato sullo scrittore stesso)

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    2. Capisco, ma dovrai metterci a lavorare delle persone, anche se a tempo perso; ne dovrai stampare delle copie; ci saranno state delle telefonate tra l'autore e la casa editrice; ci sarà stato un contratto da firmare, quindi un avvocato da pagare... Tutto questo, per poi dimenticarsene? Boh...

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    3. In parte questa passività resta un mistero anche per me. Però c'è da dire che molti editori hanno tanti autori di cui occuparsi. Marco nel suo commento ha fatto due esempi.
      Poi ci sono le ragioni che ha detto Andrea. A ciò si aggiunge che molte CE contano quasi esclusivamente sulle vendite che gli procura l'autore stesso. Infatti oggi non si guarda solo al valore dell'opera da pubblicare, ma anche e soprattutto a quanto ampio è il giro dell'autore, alla sua capacità di autopromuoversi, ecc.

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    4. Le risorse da dedicare al marketing non sono infinite in una casa editrice, anzi, sono parecchio limitate. E difficili da gestire anche, non a caso qualcuno - non ricordo chi - dice: "il marketing è quella cosa che funziona al 50%, solo che non sai qual è la metà che funziona :P . Il marketing è così impegnativo che le strategie delle CE per affidarlo a qualcun altro si moltiplicano. La strada più semplice è far scrivere romanzi o saggi a qualcuno che un seguito ce l'ha già. O pubblicare autori stra-conosciuti che vendono anche la lista della spesa, basta che ci sia il loto nome sopra. Fa niente se poi magari fanno cilecca, come capita a tutti, e non si ripagano nemmeno il cospicuo anticipo. La CE va in perdita. Un'altra perdita. Un'altra strategia, che sta prendendo sempre più piede negli Stati Uniti, è lasciar perdere la lista dei manoscritti pervenuti in modo tradizionale - che faticaccia leggerli e trovare quello che potrebbe andare bene! Più facile fare scouting su Amazon: si cerca nella lista dei bestseller un self che sta vendendo e gli si fa un'offerta. Qualche volta costa pure poco: se l'autore sente il bisogno dell'avallo della casa editrice, si accontenta di due soldi.
      Risorse limitate, quindi, la prima ragione per cui le CE non riescono a fare marketing al meglio. Un'altra ragione è che i cataloghi si gonfiano perché una CE deve pubblicare novità. Sono sempre alla ricerca del botto, quello che - se va tutto bene - ripaga i "buchi" lasciati dai titoli che non vanno o vanno poco (che sono la maggior parte).
      Un libro pubblicato da un autore Indie, invece, tende ad andare meglio con il passare del tempo. Perché dietro c'è un autore che gli dedica la passione che merita. Cambia le keywords, rivede la copertina, corregge, testa e modifica la descrizione, inventa promozioni. Se il libro si posiziona bene, le vendite aumentano col tempo, e il libro invece che scomparire al macero diventa una fonte di reddito e promozione per gli altri titoli dello stesso autore.

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    5. @Salvatore: per gli esordienti sono tutti contratti standard, e le spese di startup (stampa (con la stampa digitale puoi stampare poche copie senza un grande investimento iniziale), eventuale creazione eBook (fatto alla CDC basta un quarto d'ora)) te le rifai con i soldi che ti dà l'autore acquistando le sue copie e/o con i soldi che non gli dai per le vendite sotto la soglia minima (quando p.es. devono vendere 250 copie (non sono pochissime) prima di pagare le royalties).

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  4. Bellissimo post! Io posso condividere la mia esperienza e dirti che con il self publishing ho finalmente trovato la giusta disposizione anche per scrivere.
    Dopo aver inviato il mio manoscritto a diverse case editrici senza aver ricevuto risposta alcuna mi sono stancata e ho deciso di fare da sola. Mi ero posta un termine entro il quale, se non avessi ricevuto risposta dall’ultima CE interpellata, avrei proceduto con l’autopubblicazione. Quindi scaduto il termine, mi sono dedicata alla revisione del mio primo romanzo e poi ho fatto una ricerca delle piattaforme di self publishing esistenti e ho scelto Narcissus (ora streetlib) perché mi è sembrata la piattaforma migliore, infatti mi sono trovata molto bene. Grazie a questo ha visto la luce anche il mio secondo romanzo, proprio perché ho potuto scrivere con uno scopo e non con l’incerta speranza di pubblicare un giorno forse, o chissà. È tutto nelle mie mani ma così mi sembra di aver preso in mano anche la mia vita. in bocca al lupo!

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    1. Grazie, Giulia. Hai centrato in pieno il discorso, parlando di sentimenti che provo anche io. Probabilmente lo spiegherò meglio nella seconda parte del post, però anche io ho ritrovato la serenità di scrivere da quando ho preso la decisione di pubblicarmi da sola. E' come sentirsi liberi da un'enorme preoccupazione, quella di cercare l'editore.

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  5. Personalmente non vedo di buon occhio il selfpublishing perché "grandi poteri comportano grandi responsabilità" ma non tutti sono novelli Spiderman ;-)

    Questo non toglie che se un autore che conosco e apprezzo fa una "selfata" la cosa possa interessarmi, quindi non è una "bocciatura" alla categoria in toto... di fatto, però, un bravo scrittore difficilmente può essere anche un bravo editor, ecco perché la casa editrice è utile: fornisce gratuitamente servizi fondamentali che un autore da solo probabilmente non si potrebbe permettere... di contro certe case editrici pretendono che il manoscritto sia già pubblicabile, e con questa scusa escono romanzi pieni di errori che anche il correttore di Word avrebbe segnalato (ne ho letto giusto uno recentemente. Peccato per il trattamento, perché il libro era buono!).
    Quindi va scelta con attenzione anche le casa editrice alla quale affidarsi, una non vale l'altra :-)

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    1. "Grandi responsabilità"... già, hai ragione. Infatti l'ansia non mi manca!
      Per il resto, condivido quello che dici sui servizi fondamentali che un editore fornisce, o meglio dovrebbe fornire. Resto anche io convinta che un buon editore (quello che in un altro post ho definito l'editore dei miei sogni) sia insostituibile. Purtroppo questi tipi non si trovano dietro l'angolo. E allora come dice il proverbio "meglio soli che male accompagnati" :)

      PS Questa mattina ho lasciato un commento in un tuo post ma il blog si è mangiato tutto... dove ho sbagliato?

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    2. Per l'editing come ti regoli? Hai cercato se c'è qualcuno che può fartelo... pagando il giusto (sinceramente ho sempre visto prezzi tendenti alla follia *_* )?

      Per il tuo commento nessun errore, è comparso correttamente e trovi già la risposta :-)

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    3. Del mio editing parlerò in uno dei prossimi post, soprattutto perché è ancora in progress... :)
      Anche sulla questione degli editor e dei prezzi ci sarebbe da fare un lungo discorso, magari più in là!

      Avevo dato il mio commento per disperso, ma forse avevo un problema con il tuo sito perché a un certo punto era sparito anche il post... Vado a leggere la tua risposta, grazie :)

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  6. Sulle piccole case editrici hai ragione, se pubblichi e poi non trovi il libro da nessuna parte, a che serve aver pubblicato?
    Da questo tuo post nasce un consiglio nuovo: prima di spedire un manoscritto, fatti un giro per le più grandi librerie della città e vedi se ci sono libri di quell'editore. Se non ne vedi, chiedi alla librerie se arrivano e in quanto tempo. E poi decidi :)

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    1. Ottimo suggerimento. Anch'io ho fatto così :-) Puoi anche controllare su Amazon in quanto tempo spediscono un libro

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    2. Vero, è importante verificare di persona la distribuzione. Anche Amazon va tenuto d'occhio, così come i tempi di spedizione di Ibs. Se sono troppo lunghi, c'è qualcosa che non va.

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  7. Quanto ti capisco! Ma non so se il self sia comunque la soluzione. In fondo devi autopromuoverti sempre e comunque e forse in due ( tu e l'editore) si ottiene di più e devi pur sempre recarti nelle librerie con il libro in mano e chiedere se te lo vendono; le stesse librerie che ti schifano solo perché il tuo editore non ha quel distributore!

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    1. Se sei solo, sei anche più motivato e più libero di muoverti. Tutto poi dipende dall'editore che trovi, mi rendo conto che non si dovrebbe generalizzare. Se hai trovato qualcuno che ti supporta, allora sei molto avvantaggiata in questo lavoro.
      Inoltre, tu parli soprattutto di libri cartacei, ma ci sono anche gli ebook. Alcuni editori non li considerano neppure, ma sbagliano perché così facendo tagliano fuori una grossa fetta di mercato.

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    2. L'editore ha previsto anche una versione e-book, ma non mi sembra che abbia soppiantato il cartaceo. Forse per l'e-book ci vuole una promozione ad hoc, che né l'editore né io siamo in grado ancora di fare...

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    3. Lo dovresti far mettere su Amazon. Oggi tutti gli ebook passano da lì.

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  8. L'articolo e i commenti che lo corredano sono molto interessanti e mi riguardano da vicino. Io ho avuto la fortuna di esordire con il mio primo libro pubblicato da una CE piccola ma molto rigorosa nell'editing e nella cura tipografica; ahimè, ingenua delle ingenue, pensavo di aver raggiunto un traguardo ma non avevo fatto i conti con la "distribuzione", con il fatto che le librerie sono talmente stracolme di nuove pubblicazioni da non riuscire a metterle tutte in evidenza, con il fatto che dopo un mese il libro è già in scadenza come un formaggino e con la terribile constatazione che anche il libro è merce e necessita di vigorose campagne pubblicitarie.Un disastro, anche se sono fiera di quel primo risultato, fiera ma ormai disincantata: insomma, come dici giustamente, avevo perso l'innocenza. Aspetto il tuo prossimo articolo per procede pure io con una seconda puntata... Buone letture a tutti!

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    1. Grazie, Nadia. Purtroppo quando si è alla prima pubblicazione non si è sempre consapevoli della realtà. Resta comunque, secondo me, un'esperienza importante che sono contenta di aver fatto. Se così non fosse stato, sarei ancora immersa in mille dubbi e illusioni. Essere disincantati ha dei vantaggi :)

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  9. Ma quanto mi è piaciuto questo post!
    Una cosa che spesso non è tenuta in considerazione è che se non riesci a farti notare da una casa editrice, il self publishing è l'unico strumento che hai per capire se "scrivere per farti leggere" è qualcosa per cui vale la pena combattere. A mio parere, sapere se hai la stoffa, se piaci, se le tue storie funzionano, è fondamentale, e l’unico modo che hai per saperlo è “farti leggere”.
    Ho messo abbastanza "virgolette"? :D

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    1. Grazie, Monica! Hai detto una cosa giustissima: poter arrivare ai lettori è importante per capire se quello che scrivi può piacere o meno. In teoria possono passare anni e anni prima che una CE ti risponda, e nel frattempo ti passa del tutto la voglia di scrivere, oppure continui a scrivere come prima, senza sapere se la tua passione ha un futuro o se stai sbagliando qualcosa.

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  10. Anche a me è piaciuto questo post, che trasuda consapevolezza (e, come ha evidenziato qualcuno, malinconia). Come sai io continuo ostinata a seguire la via della pubblicazione tradizionale perché mi rendo conto che non avrei il tempo per pianificare in toto la promozione. Sono convinta che sia necessario promuoversi, ma che lo scrittore debba prima di tutto scrivere e, se ha bisogno di un altro lavoro per campare, meglio togliersi delle grane. Per il momento sono stata fortunata. I miei libri esistono nelle librerie (non in tutte, certo, ma esistono) e Delos sopratutto continua a darmi visibilità. Ma non tutto è rosa e fiori, anzi. La crisi editoriale è un cappio che toglie aria a tutti. Se il testo non è "giusto" se non è già perfettamente inquadrabile in una strategia di marketing viene inesorabilmente bocciato.
    Ho appena finito la stesura di un romanzo a cui tengo immensamente e sono terrorizzata. Non riesco io per prima a inquadrarlo in una precisa linea editoriale. Del resto so che se lo autopubblicassi non riuscirei a darli la giusta attenzione. Al momento rimango nel dilemma.

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    1. Le esperienze che si fanno nel mondo editoriale hanno un peso notevole, quindi forse al tuo posto anche io continuerei a battere la strada dell'editoria tradizionale. Su di me pesano molto certe situazioni vissute, in cui il "cappio al collo" è stato decisivo per dire da ora in poi "no, grazie" agli editori.
      Aggiungo che fare tutto da soli non è una passeggiata, me ne sto rendendo in pieno in questo periodo. Però ha degli aspetti positivi enormi, ne parlerò nel prossimo post :)

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    2. "Ho appena finito la stesura di un romanzo a cui tengo immensamente e sono terrorizzata". Sono parole che avrebbe potuto scrivere una grandissima come Virginia Woolf, che notoriamente aveva mille dubbi prima di dare alle stampe i suoi manoscritti. Comprendo questa paura, credo che dovrò viverla anch'io nel momento in cui dovrò affrontare questo passo.

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  11. Cara <3 La cosa che mi piace di più del tuo post non è, ovviamente, che ti veda spostarti su delle posizioni che sostengo e cerco di diffondere. Mi piace tanto il modo in cui ci sei arrivata, un po' alla volta e soffrendo anche un pochino. Sono le scelte più consapevoli. Adesso non mi resta che sostenerti con un tifo da stadio e augurarti tantissimo successo.

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    1. Grazie, Serena :D
      Sì, è stata una decisione maturata con lentezza e sicuramente sofferta. Di certo non avrei potuto scegliere questa strada una decina di anni fa, proprio per la mancanza di consapevolezza di cui parli. Vada come vada, almeno avrò sbagliato in piena coscienza :)

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  12. Il mondo dell'editoria, quello italiano, è perverso. Basti pensare a una sola cosa: ci sono oltre 5000 case editrici ma poco più di 50 distributori. Cosa vuol dire questo ? Che la maggior parte delle case editrici non ha distribuzione, non arriva nelle librerie. Una legge che apparentemente ha semplificato la normativa sull'editoria consentendo a tutti o quasi di diventare editori in realtà ha solo complicato le cose. I grossi gruppi hanno in mano la distribuzione e fanno il bello e il cattivo tempo (più il cattivo, a dire il vero se guardiamo ciò che pubblicano).
    Io penso che siano giusti entrambi i punti di vista, ovvero sia aspettare di pubblicare con un buon editore e sia di lanciarsi con l'autopubblicazione. Credo però che pubblicarsi in proprio richieda molta capacità di auto-promozione e cioè che bisogna avere una propria rete di contatti ma del resto anche il grosso gruppo editoriale richiede la stessa cosa. Nemmeno Mondadori, salvo rari casi, ha il potere di creare il personaggio e il best-seller. Molti che hanno pubblicato anche con grosse case editrici sono scomparsi comunque. In definitiva sono entrambe le strade imprevedibili e ci vuole quel qualcosa che sempre aiuta nella vita: ci vuole molta fortuna. Ma l fortuna, si sa, aiuta gli audaci :-)

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    1. Rimango dell'idea che la differenza la faccia il distributore. Ci sono libri che meriterebbero solo il macero, ma te li trovi ovunque, in libreria, in edicola, al supermercato, all'autogrill, ecc. e vende parecchio!

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    2. Sì, è proprio così. Inoltre i distributori più importanti a livello nazionale appartengono agli stessi gruppi finanziari che hanno la maggioranza nelle azioni dei gruppi editoriali. La legge a cui mi riferisco è quella che ha semplificato le norme sull'editoria (oggi basta aprire una partita iva per essere editori). Ma il valore di questa legge è nullo se si pensa appunto che consente agli editori di "possedere" anche il distributore. Ed a volte anche la libreria.

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    3. Il numero degli editori esistenti in Italia infatti è spaventoso. Certo, esistono veri professionisti, persone che conoscono il loro lavoro e cercano di farlo al meglio. Ma quanti invece cercano di cavalcare solo l'onda, senza alcuna vera competenza e soprattutto senza una distribuzione appropriata a sostenerli?
      A volte le persone restano di stucco quando dici che il tuo libro non si trova in libreria. Non dovrebbe essere la norma? Un libro pubblicato non dovrebbe trovarsi in libreria?
      E' vero che la distribuzione fa la differenza, come dice Kinsy, ma fino a un certo punto. Ho conosciuto degli autori di CE ben distribuite che al secondo libro hanno fatto un passo indietro, scegliendo il self, perché non avevano avuto comunque dei buoni risultati in termine di vendite. Puoi anche finire in libreria, ma se sei sull'ultimo scaffale in alto, serve comunque a poco.

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  13. Perdonami la schiettezza, ma non ti è mai venuto il dubbio che il tuo libro sia... Non pubblicabile? Per vari motivi, non solo per la qualità della storia o della scrittura.
    Nessuno mi toglierà mai dalla testa che l'editore, un buon editore, sia fondamentale per filtrare ciò che merita di esser pubblicato da ciò che merita di rimanere un manoscritto.
    Ti auguro di fare il percorso inverso: che il successo della tua auto pubblicazione ti faccia trovare un editore.

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    1. Perdona la mia di schiettezza, Martino, ma con questo tipo di ragionamenti...
      Il primo volume di "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust fu rifiutato perché giudicato non pubblicabile. Proust ha rimediato con il self-publishing.
      "Tropico del cancro" di Henry Miller, respinto dagli editori, fu pubblicato a spese dell'amica scrittrice Anais Nin.
      "Johnny Panic e la bibbia dei sogni" di Sylvia Plath, oggi considerato uno dei più bei racconti del Novecento, respinto degli editori e uscito postumo.
      L'elenco sarebbe pressoché infinito e la dice lunga sulla capacità di filtro degli editori.

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    2. @Martino
      La domanda, me la sono posta, eccome. Due anni fa, a fronte del silenzio degli editori ho ripreso in mano i due romanzi che avevo inviato (in tempi diversi) e mi sono chiesta se fossero "pubblicabili". La risposta che mi sono data è stata che potevo fare di più, forse così com'erano non erano all'altezza di una pubblicazione. E quindi li ho rivoltati come calzini, ho cercato il parere di persone competenti, uno l'ho riscritto da zero, l'altro l'ho sottoposto a una revisione approfondita.
      Arrivata alla fine di questo lavoro per uno dei due (quello che pubblicherò a breve) mi sono resa conto che non ho nessuna voglia di affidarlo a un editore. O meglio, lo farei se l'editore fosse quello giusto, come ho spiegato anche nel post. Forse un piccolo editore disposto a pubblicarlo lo troverei, ma non è quello che voglio, preferisco gestire le cose da sola.

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    3. @Ivano
      Hai messo in luce un altro aspetto importante. Io ovviamente non sono minimamente paragonabile a uno dei grandi autori che hai citato, però ora come ora non sento più di fidarmi del mondo dell'editoria tradizionale come di un "giusto filtro". Tra l'altro gli esempi che fai non sono neppure recenti, c'è da pensare che le cose siano andate sempre in un certo modo... che tristezza.

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  14. Forse con i prossimi post su questo tema avrò le mie risposte, ma in questo momento, a differenza di ciò che leggo nei post/commenti di Serena e Marco convintissimi del self, da te trovo un sottofondo di rinuncia, di "occhei accettiamo il piano B", di ahimè ripiego. E ti dico nonostante esperienze mie davvero brutte co piccoli editori free che, come dici giustamente tu, l'EAP non è il male assoluto dell'editoria, be' io non ho mollo, insomma, chiamatemi illusa, ma con il romanzo di Natallia ci voglio provare, poi il mio caso è diverso, perchè con goWare mi sono trovata molto bene, per cui alla peggio resterò lì. Bacio Sandra

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    1. Hai ragione, in un primo momento ho pensato al piano B come un ripiego, ma poi è subentrato anche altro. Prima di tutto, si è radicata una certa disaffezione per l'editoria tradizionale, e questo ha a che fare con le situazione vissute negli ultimi tempi, a cui ho solo potuto accennare.
      Poi ho capito anche che l'idea dell'autonomia mi piaceva molto, che ho davvero voglia di fare quest'esperienza, di provare a mettermi in gioco senza intermediari. Insomma, è vero che ho il rimpianto di un sogno infranto, ma è anche vero che ora sono molto più serena di un anno fa.

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  15. Come sai io non ho mai avuto dubbi sulla scelta del self-publishing. Come ho scritto di recente nel post di Romina sono davvero convinto della validità del vecchio detto "Chi fa da sé fa per tre". E oggi che è definitivamente tramontata l'era dell'editoria tradizionale questo è vero più che mai.
    Buona avventura :)

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    1. Grazie, Ivano, ricambio il "buona avventura" :)
      La libertà è una gran cosa, pure con tutti contro che non mancano. Poi so che anche tu hai lavorato nell'editoria, quindi conosci tutti i "dietro le quinte". Nel tuo caso magari non è stata una decisione sofferta, ma di sicuro non è stata presa alla leggera.

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  16. Ho avuto un percorso simile al tuo, ma nel mio caso non c'è stata neppure la pubblicazione, solo alcune risposte attestanti che il mio manoscritto aveva "dei meriti" ma era inadatto alla pubblicazione per varie ragioni, etc.
    Alla fine mi sono detto: il self-publishing danneggia qualcuno, a parte (forse) l'autore stesso? No. E allora via coi vari lulu, ilmiolibro e amazon, e devo dire che con amazon mi sono tolto alcune soddisfazioni che dubito avrei mai potuto appagare pubblicando con un piccolo editore, per le ragioni che tu stessa hai ben esposto.

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    1. Dal mio punto di vista hai preso la decisione giusta :)
      Le soddisfazioni (piccole o grandi che siano) sono importanti, ci danno fiducia e voglia di proseguire. Nell'aspettare per troppo tempo l'occasione giusta si rischia di non capire mai se quello che scriviamo vale qualcosa.

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  17. Non c'è una formula vincente, un algoritmo applicabile a qualsiasi scritto che lo faccia raggiungere l'olimpo dei primi 10 venduti della settimana. Non c'è.
    Partendo da questo assioma, ognuno deve trovare la sua strada.
    Anni fa un amico mi disse: pubblico il mio primo libro. Gli diedi un parere spassionato, l'avevo letto, mi era piaciuto davvero. Ma le vicende che seguirono disincantarono sia me che lui. In realtà era incappato nell'EAP. Investì se non ricordo male 3000 euro (metà del costo di stampa). Gli imposero una copertina orrida, lui secondo me sbagliò anche a mettere già il "cattivo" in copertina, togliendo il mistero della lettura. Distribuzione? Zero. Introvabile, nè nelle librerie normali, nè online. Ricordo che IBS mi rispose che non riuscivano a reperirlo in magazzino. Scrissi io, come utente acquirente, all'editore, il quale rispose che si poteva comperare sul suo sito. Ma in giro nessuno sapeva nulla di questo libro. Dissi al mio amico di aprire un suo sito personale, da scrittore. Ma gli mancava spirito imprenditoriale, un minimo di organizzazione e qualche conoscenza informatica.
    Il sito è andato chiuso. Il libro è arrivato in ristampa solo perchè ha cominciato a girare lui personalmente le librerie della provincia.
    Pubblico il mio secondo libro, mi dice, questa volta va direttamente in ebook con una nuova casa editrice. Un bella storia, raccontata in maniera diversa. Bella copertina, un buon editing, zero costi per lui. Peccato che l'editore è poco conosciuto, ha appena aperto. Dopo qualche tempo, ci accorgiamo che pubblicano libri rosa e "diversamente" rosa. Solo che il suo titolo lì in mezzo ci sta come i cavoli a merenda. E quindi non va. L'hanno messo anche su Amazon, si può anche comperare una copia cartacea, ma lui non s'è preoccupato nemmeno di mettere una sinossi o una sua biografia, o di auto-recensirsi.
    Pubblico il mio terzo libro, dice entusiasta. Questa volta vado totalmente in self publishing. Non mi ricordo che piattaforma ha scelto. L'ho letto, è scritto ottimamente per il pubblico a cui si rivolge. Mi ha inviato in anteprima la copertina, scelta da lui. Orrrrenda. Micidiale. Quello che dovrebbe essere un romanzo, sembra uno di quei libricini pallosi di qualche conferenza medica. Il target dovrebbe essere adolescenziale. Non ci siamo proprio! Marketing? Zero. Non ha un sito, non ha nemmeno aperto una pagina facebook (gli avevo suggerito almeno quella).
    Morale della favola: c'è chi, inevitabilmente, non è in grado di affidarsi al self publishing perchè richiede aver voglia e tempo di acquisire nuove competenze (grafica, editing, marketing).
    D'altro canto se non si ha il tempo per tutto questo, è il caso di cercare dei professionisti ed affidarsi a loro (un editor, un'agenzia, un grafico, uno sviluppatore per il sito e, si spera, una casa editrice).
    Al momento io non ho ancora esattamente scelto, navigo a vista. L'ultima idea, di cui sto valutando l'affidabilità, è di preparare qualcosa in formato ebook, anche gratuito, con cui creare l'autore. Nel frattempo, portare il malloppone ad un editor professionista, a pagamento. Mi costerà un botto? Beh, per come la vedo io, mi darà sicuramente più soddisfazione del denaro speso in dottori ed ospedali degli ultimi tre anni.

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    1. L'esperienza che ci hai raccontato mette in luce che nessuna strada è facile da percorrere e che non basta un bel libro per spiccare il volo. La concorrenza è tale che farsi notare è già di per sé un'impresa, figuriamoci poi se ci mancano anche gli strumenti. Sono d'accordo con te che se non hai il sostegno di un editore, hai bisogno di imparare nuove competenze oppure affidarti a chi ne sa più di te.
      La tua idea di farti conoscere con un ebook gratuito è sicuramente ottima.

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  18. Una strada molto dissestata... ma che continui a percorrere con tenacia.
    Post interessante, e i commenti sono altrettanto istruttivi, grazie.
    Non ho capito bene la storia della casa editrice chiusa dopo 13 anni, collaboravi con loro? O è la casa editrice che ti ha pubblicato che è fallita?

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    1. Una strada dissestata, è vero, e non mi aspetto che da ora in poi lo sia di meno. Ma per il momento non mi arrendo :)
      La CE di cui parlavo è quella in cui ho lavorato per tredici anni, non quella con cui ho pubblicato.

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  19. Vedo che l'argomento accende gli animi, e ho letto con partecipazione il tuo post, e con molto interesse anche i commenti. Come sai ho percorso entrambe le strade - editoria tradizionale e self-publishing e, ora, di nuovo editoria tradizionale - e posso confermarti che si è aperto un abisso tra il mio primo romanzo pubblicato anni fa e quello pubblicato oggi. L'abisso è misurabile in termini di crisi, disinteresse e cambiamenti editoriali, inteso anche come avvento dei formati digitali e, appunto, il fenomeno dell'autopubblicazione. Di fronte all'enorme offerta - per cui tutti pubblicano, o autopubblicano - purtroppo in Italia si legge sempre poco, e quei pochi fanno fatica a districarsi nella giungla delle pubblicazioni.

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    1. Già, possiamo discutere per giorni sulle strade per pubblicare, sui loro vantaggi e svantaggi, ma alla fine il problema grosso resta quello che hai giustamente sottolineato: si legge poco. C'è troppa offerta e poca domanda... non se ne esce. Il disinteresse è duro da combattere e nel nostro piccolo possiamo fare poco.

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  20. Mi sono gustata questa discussione e mi sono ritrovata nel commento di molti. Sai, però, cosa penso sul serio? Una cosa che tra le righe e qualche volta anche direttamente ho scritto a proposito del self-publishing: io sono passata all'auto pubblicazione perché volevo continuare a dare opportunità al libro che ho scritto (dopo la fine del rapporto con la CE), eppure questa è una strada apparentemente più sbrigativa, perché ti butti nella mischia e devi sbracciare tanto per farti notare; devi essere tenace, non mollare, perché il tuo nome fra tanti può rimanere tale se non convinci più persone con una buona promozione, costante e giusta (che non vuol dire rompere l'anima su tutti i social, o forse sì!). E poi c'è sempre il fattore "pregiudizio" per chi si autopubblica: la gente non ha fiducia nel prodotto pubblicato dal suo autore direttamente, pensa di trovare solo schifezze, raramente trova la perla, ma per trovarla deve prima cercarla e purtroppo non tutti lo fanno. Forse, ma questo non so dirtelo per certo, se dovessi scrivere un nuovo libro per pubblicarlo mi rivolgerei sempre prima ai canali tradizionali.
    (Io - e di sicuro non mi fa onore dirlo - sono fra quelli che vivono il pregiudizio sulla validità del self-publishing).

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  21. Marina sai che adoro il tuo pregiudizio sul self ;)
    Lo dico sul serio e lungi da me dal volerti far cambiare idea.
    Però il tuo commento mi ha ispirato un punto.
    Tu dici che chi si butta nel self publishing deve sbracciare tanto per farsi notare. Ed è vero. Questo non si mette in dubbio, è difficile emergere. Però al rovescio, detto così, ci si ritrova a pensare che l’editoria sia l’Eldorato, toh l’editore mi pubblica, è fatta.
    Il primo articolo del mio blog si intitolerà: “Editoria tradizionale contro Self Publishing: chi vince.”
    Un post monumentale in due puntate. Perché bisogna fare attenzione che il mito dell’editoria è solo un mito. Una grande illusione. Non bisogna guardare ai casi di successo, ma al 90% e oltre dei casi di insuccesso.
    I piccoli e medi editori che non riescono a pubblicare, tranne rare eccezioni, in libreria. Promozione del libro da parte dell’editore spesso latitante. E quando magari la promozione c’è nella maggior parte dei casi è inefficace.
    Ti sarà capitato di vedere l’autore sconosciuto che presenta il suo libro in libreria e parla a 4 gatti: ovvero io, la zia, il nipote e il passante che si rovista il naso.
    La maggior parte degli scrittori con editore vende qualche decina di copie. Qualcuno arriva a centinaia. Gli editori più in gamba riescono a farti arrivare a qualche migliaio. Chi arriva a 3 mila fa il botto. Ma 3 mila significa comunque anonimato assoluto al grande pubblico dei lettori. Questa è la sorte per la quasi totalità degli scrittori esordienti, o per gli scrittori di lungo corso che non sono riusciti a emergere. L’anonimato. Lo scrittore ottiene la stima, il seguito di pochi attenti lettori, ma finisce lì. Anche perché il punto nodale dell’editoria, è che l’editore segue e promuove il libro per i primi mesi del lancio. Poi stacca la spina, quel che si è venduto si è venduto. Perché stacca la spina? Perché gli agganci promozionali che possiede si esauriscono in fretta, ma soprattutto perché alle spalle ha i nuovi autori da pubblicare. Il mio commento iniziale a Maria Teresa intendeva anche questo. Quanti sono gli autori in catalogo? L’editore deve seguire e promuovere le nuove pubblicazioni a ruota.
    Gli scrittori che passano dal sistema editoriale e vogliono tenersi in vita, dopo pochi mesi dell’uscita devono caricarsi sulle spalle la promozione. Tanti amici blogger che seguiamo, e hanno pubblicato con l’editore, bene o male, sono loro stessi a rendersi vivi. Dov’è l’editore dopo due anni, ma non esageriamo, dopo un anno? Gli autori che pensano che l’editoria sia la Mecca e non possiedono nemmeno un blog, passano dalla pubblicazione all’oblio in mezza stagione calcistica. In editoria si pubblicano troppi titoli, è una ruota che gira troppo in fretta per aspettare che un autore emerga sul serio.
    E quindi? Non siamo allo stesso punto di partenza?
    Chi fa self publishing deve sbracciare e tanto per farsi notare.
    Anche gli scrittori pubblicati, se vogliono restare in vita devono sbracciarsi e ingegnarsi. Gli scrittori Indie nascono da questo presupposto. Ma con una immensa differenza. L’approccio mentale. Mentre l’autore pubblicato ha un approccio mentale di delega, il grosso spetta all’editore, cosa c’entro io con la promozione, lo scrittore Indie inizia e prosegue un percorso a lunga scadenza. Sa in partenza che il destino dipende dalla sue mani.
    Mi dispiace aver sintetizzato, l'argomento è interessante. Nel post potrò essere più esaustivo. Perché il punto cruciale non è il self che vediamo oggi in Italia. Ma i modelli di scrittori Indie che si sono sviluppati in America da pionieri, e che i tempi hanno reso maturi per diffondersi anche in sistemi più arretrati come quello italiano. ;)

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    1. Allora sai cosa farò? Verrò a commentare il tuo primo articolo sul tuo blog! ;)

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    2. Ormai Marco ha detto tutto, quindi che dire?... :D
      Marina, quando parli di pregiudizi io lo capisco bene, perché anche io ne ho nei confronti di chi si pubblica da solo. Però in questi anni ho avuto modo di vedere che la gente comune ha pregiudizi anche nei confronti di chi si pubblica con un piccolo editore. Quando io ho pubblicato sei anni fa, un amico ha dato per scontato che avessi acquistato delle copie perché aveva sentito dire che "gli esordienti fanno tutti così". Non solo, quando ho chiesto a un blogger una recensione, ho dovuto assicurargli che non avessi acquistato delle copie, perché lui "non faceva recensioni a delle Eap".
      Io non ho pagato un centesimo, ma la gente aveva lo stesso il sospetto che avessi pagato, perché i pregiudizi esistono anche con i piccoli editori e in generali per gli esordienti.
      Anche la diffidenza verso chi si autopubblica è un fatto. Dovrò farci i conti, ma mettendo le cose sul piatto della bilancia almeno il self mi dà qualcosa che un piccolo editore non mi dà: la libertà. Dopo il tanto sangue amaro che mi sono fatta in questi anni (e non ti racconto i dettagli, se vuoi posso farlo in privato), questa libertà è un vero toccasana, credimi.

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    3. Mi piacerebbe sì! Se ti va, quando hai tempo, puoi scrivermi in privato e raccontarmi. La mia esperienza con la CE minore che ha pubblicato il mio libro è stata fallimentare, dunque capisco alla perfezione il tuo discorso.

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    4. Marina sarebbe un grande piacere. Avresti piena facoltà di contestare, insultarmi e al bisogno, pure picchiarmi, ma quest'ultima la considererei solo come opzione. ;)

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  22. Ciao, Anima di carta! Quanti commenti, che suonano come dei "mi piace".
    "Mi piace pure a me". Così sei passata col nemico... Scherzo.
    Ondeggio tra l'uno e l'altro. Come sicuramente avranno sottolineato altri interventi la situazione è tragica, quindi comica. Credo che pubblicare con una casa editrice piccola, con tempi biblici sia la stessa cosa che pubblicare in self e non fare marketing. La visibilità "naturare" è inesistente. Si parla al massimo di 200-300 copie. I guadagni da pizza al trancio. A questo punto meglio il sef, almeno tutto il guadagno è tuo e anche il destino del tuo libro. Il peggio che può capitarti è che confermi quei numeri. Ma se quelli sono i numeri almeno ci si arriva in tempi stretti.
    Sono sicuro che andrai ben oltre questa soglia. Però è strano che si parta dall'editoria e si arrivi razionalmente a evitarla, questo è triste. Una sconfitta.
    Staremo a vedere. La tua analisi e scelta mi pare lucida, perciò condivisibile.

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    1. Hai centrato bene il punto: pubblicare con una casa editrice piccola o farlo da soli potrebbe dare gli stessi risultati. E' quello che penso anche io e che mi ha dato la spinta finale verso questa decisione.
      La mia speranza è che l'editoria possa uscire rinnovata da questa crisi, mettendo in discussione ciò che non funziona e rivedendo alcune posizioni. Non credo che continuando così possa finire bene... Al momento vedo molto "arroccamento" dietro vecchi modi di pensare che oggi non sono più in linea con i tempi.

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  23. Credo che un libro valga per quello che è, punto e basta, che sia edito da una casa editrice o che sia auto prodotto non importa. La qualità è qualità. Deciderà il tempo, la storia, il pubblico. Nessuna preclusione. Ti auguro ogni bene Maria Teresa. Tira dritto e persevera. Io usque ad finem me lo sono tatuato sulla carne. Non farti condizionare da nessuno, vale sempre la regola che chi non sa fare insegna. Bisogna mettersi in gioco, sempre. L'importante è non scimmiottare nessuno. Ho una storia da raccontare? Bene, la racconto. Voglio condividerla? La pubblico da solo oppure con una casa editrice interessata. Piacerà? Chi può dirlo. In ogni caso, per quanti apprezzeranno il tuo lavoro ci saranno altrettanti lettori che ti distruggeranno. Lancia in resta e vai avanti. Come disse qualcuno:" siamo tutti nel rigagnolo, ma alcuni con il volto a guardare le stelle".

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    1. Grazie, Massimiliano. Hai detto delle cose davvero belle, mi sono emozionata nel leggerle :)
      "Deciderà il tempo, la storia, il pubblico". Giustissimo. Andrà come andrà, per ora sono contenta di avere preso questa decisione senza troppi condizionamenti e paranoie. Sarà anche l'età, ma avevo bisogno di andare avanti! :)

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  24. Sono cose che sento. Per il resto, leggerò con piacere quello che pubblicherai. Per quello che mi riguarda non ho velleità particolari e so di non aver scritto il capolavoro della letteratura che tutti aspettano, ma è una bella storia, il tema è duro, per non farmi troppo male ho scelto la strada della decontestualizzazione e della narrazione leggera,ho dovuto, è alla fine un romanzo di intrattenimento, nonostante tutto.

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  25. @dadovestoscrivendo: "è strano che si parta dall'editoria e si arrivi razionalmente a evitarla, questo è triste"... io razionalmente arrivo alla conclusione che è consigliabile evitare le case editrici incapaci :-)

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  26. Ciao cara! Letto tutto, lo sai come la penso, ormai è anni che pubblico come self, ho i miei lettori che mi seguono, vendo ogni mese e sono contenta. Adesso sto pure organizzando una presentazione, finalmente. Ogni tanto provo a sentire qualche editore cartaceo di medie dimensioni (ma con distribuzione decente) proponendo un progetto ad hoc che so essere "inquadrabile nelle strategie di marketing"), ma finora non s'è fatto nulla e io continuo con i miei soliti canali. Quindi in bocca al lupo! Coraggio e vai avanti così!

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    1. Grazie di cuore, Elisabetta!
      Sono molto contenta che stai andando bene, segno che con il self si possono ottenere grandi soddisfazioni. Poi tu sei proprio l'esempio di chi non si è mai precluso delle strade. Sarà anche che ormai gli editori cercano precisi tipi di romanzi, e se non rientriamo in quella tipologia, meglio guardare altrove.

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