La realtà attraverso gli occhi dello scrittore

Quando leggo voglio guardare
la realtà con occhi diversi... e voi?
Quando mi immergo nella lettura di un romanzo voglio evadere dalla realtà di tutti i giorni, voglio viaggiare senza la seccatura dei bagagli, parafrasando Salgari.
Non so se sia così per tutti, ma personalmente tendo a evitare quella narrativa che ha un sapore troppo realistico, che si propone di mostrare le brutture della vita, della gente o di un Paese. Allo stesso modo non trovo nulla di allettante in una storia che si limiti a raccontarmi la quotidianità, la vita di una qualsiasi persona in un posto qualsiasi. Voglio conoscere qualcosa di straordinario.
Lo stesso vale per la scrittura: mi piacerebbe arrivare a mostrare la realtà in modo nuovo, portare il lettore a vedere aspetti che non aveva mai visto o a fargli conoscere qualcosa di diverso.

Una scrittura efficace è realistica


Anche la narrativa considerata come intrattenimento, però, non può prescindere dal realismo. Oltre che svagarci, infatti, come lettori vogliamo anche credere alla storia raccontata, vogliamo immedesimarci nei personaggi ed emozionarci con loro. Questo non è possibile se non c'è niente che ci riconduce alla realtà che conosciamo. Il mondo in cui ci immergiamo come lettori può anche essere lontano nello spazio o nel tempo da quello che viviamo, o addirittura essere frutto di fantasia, ma deve contenere elementi attinti alla nostra realtà. Infatti, una scrittura efficace poggia sui dettagli che trasmettono un senso di verità e concretezza. Per questo gli stereotipi e i cliché danno tanto fastidio, non riconducono più a qualcosa di vero, li riconosciamo subito come falsi.

Il realismo può essere uno strumento molto forte nelle nostre mani di scrittori. Ci permette di rassicurare il lettore, è come se gli dicessimo: quello che ti sto raccontando è vero, vedi quanti particolari che lo sostengono?
Però è anche possibile mostrare la realtà di tutti i giorni in modo diverso, lo fanno tanti autori e molto bene.

Tempo fa lessi che ci sono due tipi fondamentali di storie, quelle che riguardano persone comuni in circostanze particolari e quelle che riguardano persone particolari in circostanze comuni. Penso che questo concetto sia valido anche più in generale, nel senso che si può portare qualcosa di non comune in un ambito ordinario e viceversa portare il realismo in un ambito non comune.

Portare il realismo nello straordinario


Cosa ne sappiamo noi di come percepiscono gli animali il mondo intorno a loro? Jack London di certo non poteva saperlo, ma facendo un abile uso di dettagli molto realistici ci porta a vedere il mondo con gli occhi del "lupacchiotto grigio". Ci sono molti termini sensoriali in questo brano che aiutano a identificarci con il personaggio, sebbene non sia neppure umano:

Da poco si erano schiusi gli occhi del lupacchiotto grigio, e già egli era in grado di vedere con assoluta chiarezza. E quando ancora i suoi occhi erano chiusi, aveva sentito, aveva gustato, aveva annusato. Conosceva benissimo i due fratelli e le due sorelle. Aveva cominciato a ruzzare con loro con movimenti lenti e goffi, aveva cominciato perfino ad azzuffarsi con loro e si eccitava sempre di più nella sua collera, mentre la piccola gola tremava, emettendo uno strano suono raschiante, il suono precursore del ringhio. E molto prima che i suoi occhi si schiudessero, aveva imparato a conoscere, al tatto, al gusto, al fiuto la madre, fonte di calore, di nutrimento e di tenerezza. Aveva, la madre, una lingua morbida e carezzevole che, quando lambiva il suo tenero corpicino, gli infondeva una sensazione di calma e lo spingeva a rannicchiarsi contro di lei e a sonnecchiare.

Portare lo straordinario nella realtà


La protagonista di "Rebecca, la prima moglie" di Daphne du Maurier è una donna molto comune, tanto è che non conosceremo mai il suo nome. La scelta di mantenerla anonima mi colpì molto, quando lessi questo romanzo molti anni fa, ed è funzionale a mostrare il contrasto con la prima moglie dalla personalità brillante.
Questa scena che riporto è tratta dalla quotidianità, mostra una stanza da letto con oggetti comuni (per l'epoca, ovviamente), ma il modo in cui la protagonista si collega a essi è del tutto speciale, perché ci comunica qualcosa di molto lontano dalla realtà di tutti i giorni e un crescente senso di ansia.
Per la prima volta da che ero lì m'accorsi che mi tremavano le gambe. Le sentivo
deboli come fuscelli di paglia. E il cuore non mi batteva più così agitato. Ero
diventata d'una pesantezza plumbea. Mi guardavo d'attorno come intontita. Sì, era una stanza veramente bella. La signora Danvers non aveva esagerato, quella prima sera. Era la più bella stanza di tutta la casa. Quel gioiello di caminetto, il soffitto, il letto scolpito e i tendaggi, persino la pendola alla parete e i candelabri sulla pettiniera, erano cose che avrei amato, quasi adorato se fossero state mie. Ma non erano mie, no. Appartenevano a un'altra donna. Tesi la mano, a toccar le spazzole. Una era più consunta della compagna. Spesso accade così; ce n'è sempre una che si adopera di più. A volte ci si dimentica di usar l'altra, e quando si mandano a lavare, ce n'è una ancora pulita...


Insomma, che si tratti di ordinario o di straordinario, il realismo è importante, ma allo stesso tempo credo sia necessario saper andare al di là di esso per suscitare un qualche interesse.
Altrimenti che gusto c'è a leggere?

Voi cosa ne pensate?

Commenti

  1. Hai detto bene, il punto è essere realistici (anche se io avrei usato il temine: credibili) senza essere "veristi" (e faccio riferimento alla narrativa di Verga apposta). Riuscire a tirare fuori lo straordinario dall'ordinario è un'operazione da vero grande autore. Secondo me, ma ne parlerò in seguito, tutto sta nell’eliminare tutti quei dettagli strausati e troppo caratterizzanti (come il mafioso in Sicilia, o la pizza a Napoli; per fare due esempi stupidi) e arricchire il romanzo di dettagli, pur sempre realistici con il contesto, ma nuovi. Sbaglio?

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    1. La credibilità e il realismo dopo tutto sono la faccia della stessa medaglia. Sono d'accordo con te che la scelta dei dettagli è fondamentale, sono quelli che ci fanno percepire la realtà mostrata dallo scrittore come banale oppure interessante. Allora aspetto il tuo post :)

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  2. Ho letto anche il post di Salvatore, e sono d'accordo su tutta la linea.

    Istintivamente mi tengo lontana dai romanzi ambientati in Italia, ma non sempre: ad esempio ho letto anch'io spesso Camilleri e non mi perdo un romanzo di Malvaldi perché i vecchietti del BarLume mi fanno rovesciare dalle risate. Ma quando leggo non voglio deprimermi con storie ambientate in Italia infarcite di cliché: mi è sufficiente la realtà che mi circonda.

    Voglio compiere un viaggio su una macchina del tempo, che mi stupisca e mi diverta, ma che sia anche "nutriente" per la mente e lo spirito.

    P.S. A me piacerebbe leggere anche l'autobiografia di Jack London, che a quanto pare fece una vita incredibile.

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    1. Devo ammettere che romanzi ambientati in Italia ne ho letti proprio pochi e ancora non mi sono decisa a leggere nulla di Camilleri, pur apprezzando molto le sue storie in tv. Secondo me c'è modo e modo di descrivere le cose, a prescindere dal luogo.
      A proposito di macchine del tempo, ho letto alcuni mesi fa un romanzo di fantascienza che si svolgeva a Firenze, che in realtà poteva essere ambientato ovunque per quanto era scarna l'ambientazione. Neanche quello secondo me va bene, perché a quel punto è meglio inventarsi di sana pianta il posto.

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    2. Ti confermo, Cristina, che la vita di Jack London, che conosco a menadito, è stata straordinaria. Ti chiedi solo come sia stato capace di sopportare quello che ha sopportato. Però più che i suoi scritti autobiografici, che non sono proprio alla lettera, ti consiglio una biografia.

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  3. Sono assolutamente d'accordo con quanto scrivi.

    Una delle questioni che mi sono posta di recente riguardava la necessità di arricchire la trama, perché l'aderenza al quotidiano in certi punti era troppa. Non intendo scrivere un documentario, ma un romanzo.

    Ho trovato la risposta proprio nel concetto che tu hai menzionato al punto 2 e che rispecchia perfettamente ciò che intendo fare: portare lo straordinario nella realtà. E per straordinario non intendo il paranormale, ma eventi e situazioni che possano costituire un importante motore per le vicende, trasportandole in una dimensione di sogno.

    Staccandomi dalla mia situazione contingente, quando ho fatto la mia prima tesi laurea, ho analizzato il concetto di "realismo emozionale": anche quando le vicende sono inverosimili e le ambientazioni completamente inventate, le emozioni sono reali. è in nome di questo concetto che Beautiful è in tv da venti e passa anni. Questo è un altro aspetto su cui ci si può focalizzare per dare solidità e struttura alle proprie storie... :)

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    1. L'aderenza al quotidiano secondo me va bilanciata, un po' è necessaria proprio per il discorso del realismo, però se è troppa suona ridicola perché il romanzo diventa un reality :)
      Interessante questo concetto di realismo emozionale! Dovresti farci un post.

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    2. Più che un reality un documentario... ancora più palloso! :)
      Infatti la nuova scaletta fatta nelle vacanze di natale tiene conto anche di questo, ma non sono ancora completamente soddisfatta.
      Rifletterò sull'eventualità di un post sul realismo emozionale. :)

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    3. Una bella lotta decidere se è più palloso un reality o un documentario :)

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  4. Il problema non è dove ambientiamo la storia, ma i cliché che ci mettiamo dentro. Se descriviamo con realismo un luogo e lo narriamo in modo originale, va bene anche il giardino dietro casa. Sta di fatto che per raccontare con realismo e in modo originale un luogo bisogna conoscerlo, averci viaggiato a lungo, almeno con la mente. Va conosciuto come il giardino di casa, anche se sta su un altro pianeta

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    1. Sì, sono d'accordo con quello che dici, ma secondo me si può scivolare nel banale anche conoscendo bene un posto, o più in generale qualsiasi altro elemento che introduciamo in un romanzo. Sicuramente un punto di partenza importante è quello che dici, poi bisogna andare oltre...

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  5. Io credo che il lettore percepisca se l'autore sia o meno in confidenza con le situazioni che descrive molto più di quanto uno scrittore sognatore possa pensare. Si può pure scrivere di un avvenimento al quale non si è mai assistito, lo si può inventare di sana pianta, ma il lettore si accorgerà se quell'evento è stato immaginato per bene, se l'autore l'ha - paradossalmente - vissuto effettivamente nella sua immaginazione. Circa il realismo, penso che la quotidianità possa essere un valido soggetto, ma solo se vista con determinati occhi, con un determinato sguardo, il proprio o quello di un personaggio, in modo da renderla unica. Una cosa che mi commuove è trovare uno scrittore che riesca a creare un personaggio ed entrarvi totalmente, facendo sì che quello stesso individuo agisca secondo la sua indole e "veda" il mondo senza filtri, senza conoscenze elaborate da altri e a lui donate, ma abbandonandosi alla meraviglia dei propri sensi. Secondo me, lo straordinario di cui parli e che anch'io cerco potrebbe pure sorgere da questo.

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    1. Mi sembra una buona osservazione. Per guardare con gli occhi di un determinato personaggio e trasmettere questa visione al lettore bisogna davvero calarsi a fondo nei suoi panni. Infatti una descrizione soggettiva ha un sapore completamente diverso da una oggettiva. E come dici, chi legge riesce a cogliere se abbiamo "vissuto" anche solo con l'immaginazione la scena.

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  6. Purtroppo però con la scusa dell'ambientazione lontana, per fare in qualche modo sognare, evadere, ci sono in giro una miriade di romanzi ambientati a Parigi, Londra, senza un minimo di criterio. Si enuncia di essere a Londra e poi sembra il quartiere Lotto vicino a casa mia, zero riferimenti seri, vissuti, non è che se ci piazzi in una scena il Cambio della guardia diventa Londra con tutte le sue sfaccettature e fascino e vero modo londinese di vivere. Il luogo dell'azione è, per me, un elemento di seconda o anche terza importanza nella scelta di cosa leggere. Sullo scrivere vado sul sicuro Milano e qualche gita fuori porta. Talvolta invento luoghi che non esistono, ma con chiari riferimenti che lo caratterizzano es. Borgosole località di mare nel sud Italia. Bacio Sandra

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    1. Per come la vedo, è meglio ambientare un romanzo in un posto noto ma dandogli una connotazione molto personale, rispetto a scelte esotiche come quelle che dici, senza saperne niente. Ormai quando scrivo sono per le località inventate di sana pianta, ma sempre ancorate al realismo!

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  7. Sono assolutamente d'accordo, e condivido l'antipatia per le storie che mostrano solo la "nuda realtà" (di solito si dice quando è una realtà orribile, come se quella fosse la norma...). Mi serve una luce diversa, una prospettiva... lo straordinario di cui parli tu. Il realismo, o la credibilità, è solo una base per arrivare più in alto. Deve essere una base di qualità, comunque. :)

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    1. Mi piace l'idea del realismo come base di partenza. Forse qui siamo anche nel campo dei gusti, però quello che cerco nei romanzi è proprio il porsi un gradino più alto rispetto alla "nuda realtà".

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  8. Io come lettore apprezzo anche la scrittura realista, ma come autore non riesco a prescindere dall'elemento fantastico. Le mie ambientazioni comunque sono italiane, anzi addirittura toscane.

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    1. Per come la vedo, nel caso di storie come le tue dove il fantastico è un elemento fondamentale, è necessario fornire al lettore anche dei punti fermi, come per esempio un luogo noto. L'ho fatto anche io nel mio primo romanzo.

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  9. Io quando leggo voglio uscire dalla mia (noiosa) realtà, quindi possibilmente anche dall'Italia, che reputo un paese noioso. Ecco perché difficilmente leggo autori italiani. I classici italiani sì, perché comunque rappresentano un'Italia passata, che a me piace più della presente. Ma non leggerei mai una storia ambientata in Italia nei nostri giorni, perché ne ho proprio le scatole piene di questa realtà e leggere un romanzo del genere significa non leggere affatto per me, non uscire, non divagarsi, non distrarsi.

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    1. Condivido in pieno. I romanzi contemporanei ambientati in Italia che mi sono piaciuti si contano con le dita, ma per i classici il discorso è decisamente diverso. Spero che in futuro qualcuno mi faccia cambiare idea :)

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    2. Speriamo sia proprio io quel qualcuno ^^

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  10. Io credo che il realismo e la verosimiglianza siano aspetti irrinunciabili in una buona narrazione. E' un po' come nel cinema, se rappresento un'epoca difficile dandole un aspetto "patinato" e distorto, non avrò mai un buon prodotto.

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    1. Sì, penso che l'esempio del cinema renda bene. Alla fine, a prescindere dal genere, deve esserci un buon compromesso tra realismo e fantasia.

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  11. Mi piace quando spieghi in due righe i concetti confusi che ho in testa :)
    Non avrei mai saputo descrivere questa sensazione del voler trovare lo straordinario nella realtà, e il realismo nello straordinario. Eppure appena ho letto i tuoi esempi ho capito perfettamente, e sono d'accordo in toto.
    I commenti invece mi preoccupano, perché quando scrivo mi preoccupo dell'essere credibile ma non dell'altra faccia della medaglia. Intendo dire che cerco sempre di di far muovere i miei personaggi secondo i canoni della vita reale, al punto da chiedere a un'amica avvocato di controllare la correttezza di certi passaggi del mio romanzo a livello legale. Però non mi ero soffermata a pensare che i lettori potrebbero desiderare evadere da questa realtà, e che a nessuno va di sapere i dettagli legali di un testamento, per esempio. Anche se come lettrice condivido il desiderio di allontanarmi dalla vita di tutti i giorni, come scrittrice non avevo pensato di farlo!

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    1. Forse i dettagli legali di un testamento possono non interessare, ma magari dovresti chiederti se interesserebbero al protagonista. Il filtro del punto di vista è sempre utile, secondo me, per capire quando un dettaglio è di troppo, se serve alla credibilità o appesantisce e basta.

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  12. Il realismo dev'essere un punto fondamentale della narrativa!
    Alcuni libri "reportage" sono molto interessante, anche se a un certo punto diventano di una pesantezza, che difficilmente digerisco. Meglio un paio di ore di svago e viaggiare in mondi lontani, fantasiosi, ma assolutamente credibili!

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    1. Il problema a volte è proprio riuscire a far sognare senza uscire dai binari della credibilità. Come dici tu, un realismo che sa di reportage è pesante, ma se ci allontaniamo troppo dal vero corriamo il rischio di suonare falsi. Grazie per il tuo commento :)

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  13. Mah...sono un po' scettica sul dichiarare che un romanzo non debba essere ambientato in Italia.
    Ho letto romanzi italiani contemporanei ambientati in Italia, ho letto romanzi stranieri contemporanei ambientati in Italia, alcuni con descrizioni appena accennate, altri più particolareggiati (segno che l'autore la conosceva davvero e molto bene). Il punto è quanto influisce l'ambientazione sulla storia, perchè il centro è la storia. Che cosa vi dà l'estero che l'Italia non possa darvi? Almenochè non abbiate necessità proprio del Grand Canyon, del freddo polare della Groenlandia o della settimana della moda di Parigi, non vedo perchè non scegliere l'Italia. Gli americani ci invidiano un paese ricco di storia, arte e monumenti e noi andiamo ad ambientare i romanzi dove?
    Sto leggendo il romanzo di un'autrice inglese ambientato a Seattle: più che dire del lago, nominare qualche albergo ed un'autostrada, non c'è altro. Poteva ambientarlo anche nella city a Londra, non cambiava molto.
    Non lo so...mi sembra che con la globalizzazione, oramai non ci manchi niente quaggiù :)

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    1. Non credo che il punto sia Italia sì o Italia no come ambientazione. Per lo meno non per me. Il mio primo romanzo è ambientato in Italia, a Roma. Il secondo e il terzo sono pure ambientati in Italia, anche se in luoghi di fantasia. Non credo che userei posti esotici solo per moda o per fare scena. Credo che tutto dipende da come mostri al lettore un luogo. Un eccesso di realismo può scivolare nello squallido, così come un eccesso di fantasia può scivolare nel ridicolo.

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  14. Questo post mi spinge a interrogarmi su questioni che non avevo mai considerato: la mia scrittura è realistica o no? E i libri che leggo, sono realistici o no?
    Oggi ho fatto il giro delle librerie di Venezia. Avevo voglia di innamorarmi di qualcosa di nuovo. Però mi sono scoperta a fuggire a gambe levate da molti libri dopo solo un paragrafo di lettura: le scene quotidiane. La cucina. I modi di parlare della gente che incrocio al bar, o per strada. Mi è preso un senso di soffocamento, come se non mi appartenessero!
    I libri che amo di più parlano dalla vita da un punto di vista molto caratteristico che probabilmente, per molte persone, non fa rima con "realtà". La loro realtà.
    Non so se il mio romanzo sia una storia di persone comuni in circostanze particolari, o di persone particolari in circostanze comuni. Mi sembra piuttosto una storia di persone particolari, abituate a mascherarsi in circostanze comuni, che per la prima volta incontrano una situazione particolare e devono, a fatica, ri-abiutarsi ad essere sè stessi.

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    1. Direi che la tua definizione finale calzerebbe perfettamente anche per i miei personaggi. Persone a cui la maschera della normalità sta stretta alle prese con situazioni non comuni. Sul riabituarsi a essere se stessi non lo so, ci devo riflettere...

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