La caratterizzazione del personaggio: la forza e la debolezza determinati dall'autore

Oggi è mia ospite Elena Lucia Zumerle, autrice di questo articolo che propone una riflessione sul rapporto tra autore e personaggio, soffermandosi ad analizzare due tipologie di protagonisti.

Quando leggiamo una storia, siamo inevitabilmente attratti dal protagonista, proviamo le sue stesse gioie e le sue stesse sofferenze, abbiamo le sue stesse speranze e gli stessi sogni. Perché una storia sia coinvolgente è fondamentale, dunque, che il protagonista piaccia ai lettori e che questi possano in qualche modo riconoscersi e ritrovarsi in esso. Allo stesso tempo, anche l’autore deve avere un rapporto positivo con il personaggio principale, anzi, a volte è inevitabile avvertire tra le righe la stima e l’attaccamento che egli prova per lui, fino a sfociare in un istinto quasi protettivo nei suoi confronti. Non è difficile percepire il protagonista come un figlio, ovviamente partorito dalla propria immaginazione, che si tende a prendere per mano per condurlo attraverso la storia e trarlo fuori da una situazione spiacevole.

A volte mi chiedo se sia possibile che il carattere di un personaggio, in questo caso il protagonista, sia determinato dall’atteggiamento che l’autore ha nei suoi confronti, proprio come il comportamento di una madre forgia l’indole del figlio. Data la relazione autore-personaggio, proprio come si fa in psicologia, potremmo quindi immaginare due possibili macro tipologie di protagonista: uno “debole” creato da un autore iperprotettivo, e uno “forte”, che ha per genitore un autore più disposto a fargli subire delle cicatrici, fisiche o psicologiche. Capita poi che, proprio come i figli, anche i protagonisti “sfuggano dalla penna” del proprio creatore per formarsi il proprio carattere.

Fatta questa premessa, possiamo analizzare le caratteristiche di questi due macro-tipi di personaggi, i loro punti di forza e quelli di debolezza. In quest’analisi non si intende dare alcun tipo di giudizio positivo o negativo nei confronti di questi due tipi di protagonisti, la debolezza o la forza del personaggio è vista come una caratteristica derivante dall’atteggiamento dell’autore nei suoi confronti.

Protagonista debole


La definizione di protagonista debole non si riferisce in modo diretto e preciso a un personaggio di costituzione delicata o gracile, dal carattere buono e mite, ma piuttosto a una personalità che, trovandosi in totale balia degli eventi o di fronte a situazioni difficili da affrontare, è incapace di fronteggiarla o di agire per cambiare la propria condizione. Sono quei protagonisti che, metaforicamente parlando, se ne stanno al centro della pagina, in attesa che qualcuno o qualcosa, una sorta di deus ex machina, intervenga per risolvere una situazione di stallo. Ricordano un po’ la principessa delle fiabe, rinchiusa nella torre più alta del castello in attesa che il principe azzurro venga a salvarla. Spesso sono personaggi non particolarmente predisposti all’azione, statici e inconsistenti dal punto di vista psicologico, a volte stereotipati, quindi senza una forte caratterizzazione. Credo sia difficile far apprezzare questo personaggio e, a lungo andare, potrebbe far sorgere nel lettore una specie di antipatia nei suoi confronti, a causa dell’autocompatimento a cui potrebbe essere soggetto.

Possiamo immaginare una situazione tipo di un personaggio debole che viene abbandonato dal suo grande amore, cosa fa? Si piange addosso e passa intere e numerose pagine a chiedersi il perché e il per come la storia sia finita? Aspetta che il suo amore torni da lui? Oppure finisce per buttarsi da una scogliera?

Protagonista forte


I personaggi forti sono quelli che riescono a prendere atto di quello che gli circonda attorno e vanno avanti, in sostanza riescono a cambiare più facilmente e, mano a mano che le situazioni vengono affrontate, riescono a diventare sempre più forti. L’errore in cui si può incappare quando si ha a che fare con questo tipo di caratterizzazione è una sorta di “delirio d’onnipotenza”, in cui il personaggio di turno riesce a tirarsi fuori da ogni situazione, anche la più estrema, senza neppure un graffio o un’incrinatura dell’anima. Un personaggio come questo potrebbe essere definito un falso forte, perché l’autore iperprotettivo continua a condurlo tenendogli una mano sugli occhi, rendendogli facile la vittoria e rendendolo quindi un personaggio debole.

Prendiamo la stessa situazione di prima; cosa fa un personaggio forte? Probabilmente piange un po’ e poi si rialza e va avanti, magari tenta di riconquistare l’amore perduto, forse invece decide di andare avanti per la propria strada.

La capacità di un personaggio di essere forte o debole dipende per lo più dalle situazioni che gli sono poste davanti dall’autore; se è vero il detto che Dio non dà più di ciò che si può sopportare, allo stesso modo l’autore adatta il corso degli avvenimenti a ciò che il proprio personaggio può reggere senza finire schiacciato dagli eventi. Per questo a volte diventa difficile catalogare un personaggio come forte o debole. È ovvio inoltre che la caratterizzazione tra forte e debole può dipendere anche dai diversi punti di vista da cui lo si osserva.

Dunque, quale dei due è quello vincente? In realtà non c’è una vera e propria risposta a questo quesito, perché il successo o meno di un protagonista dipende da molti fattori, non ultimo dei quali la predisposizione stessa del lettore nei suoi confronti e l’empatia che riesce a suscitare. Probabilmente quelli migliori sono i personaggi che hanno un giusto bilanciamento tra forza e debolezza, quelli che, come detto prima, “fuggono dalla penna del loro creatore”, crescendo e cambiando.

Voi cosa ne pensate dei vostri personaggi e che tipo di autore credete di essere?

Elena Lucia

L'AUTRICE DI QUESTO GUEST POST Elena Lucia Zumerle ha da poco pubblicato il suo libro d’esordio Angelica, una storia fantasy per ragazzi che parla di pirati e pugnali maledetti. Nata a Verona, sta concludendo gli studi presso il Liceo Classico Europeo. A partire dal 2009 pubblica le proprie storie su un sito di fanfiction, che considera una palestra per chi ama scrivere. Convinta che, proprio come diceva il signor Disney, “Se puoi sognarlo, puoi farlo”, sta cercando di promuoversi autonomamente grazie ai Social e al Web. Attualmente sta organizzando alcuni incontri con le biblioteche e le scuole medie e superiori di Verona e provincia.
Sito web: elenalucia.com
Pagina Facebook: elenalucia

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Commenti

  1. Wow! Non avevo mai pensato ai miei protagonisti in questo modo!!
    Grazie per avermi fatto notare questo aspetto!

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  2. Non saprei, credo che alla fine ci si trovi a tratteggiare i personaggi senza renderli deboli o forti intenzionalmente, solo funzionali alla storia che si vuole raccontare. Se volessi far rientrare i protagonisti del mio romanzo in questa classificazione avrei qualche difficoltà, perché c'è una fragilità che muove l'intera vicenda ed una forza che la guida. Alla fine sono più per la "fuga dalla penna dello scrittore"!

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    1. Hai ragione nel dire che per un autore è difficile inserire i propri personaggi in una categoria, infatti credo che sia più il lettore esterno ad essere in grado di farlo, perché uno scrittore è preso appunto da tutta la vicenda che sta narrando. Credo sia un'operazione che viene fatta a livello quasi inconscio.

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  3. Ciao Elena, grazie per il tuo scritto. :-) A me viene in mente anche un personaggio intermedio di tipo evolutivo o involutivo, cioè da debole interiormente diventa forte, o da forte interiormente diventa debole. Compie cioè un arco di trasformazione personale verso il bene o il male.

    In un mio romanzo c'è un personaggio che, per una serie di circostanze, si ritrova immobilizzato (ha le gambe spezzate), e, pur essendo esposto ai "capricci" del suo prossimo, in realtà interiormente ha una forza eccezionale.

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    1. Ciao Cristina, grazie per il tuo commento. Infatti non importa se un personaggio è debole fisicamente, basta che dentro di sé sia combattivo. Anzi, il connubio con cui hai formato il tuo personaggio, debole fuori ma forte dentro, è molto interessante. Credo che i personaggi evolutivi siano i migliori primo perché sono caratterizzati meglio, secondo perché è bello vederli crescere e cambiare, te li fa percepire come più intimi.

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  4. Il mio protagonista ha una forza di volontà molto accentuata, ma tende a bloccarsi quando viene toccato nei suoi punti deboli. Tuttavia, non rimane mai fermo troppo a lungo, perché è una persona che accetta le sfide. Gli ho posto davanti diversi conflitti. A volte soffro per lui (un po' di istinto di protezione è inevitabile) ma so che la sofferenza è fondamentale per evolvere. Lo è per noi esseri umani in carne ed ossa, quindi perché non dovrebbe essere lo stesso per loro? :)

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    1. Grazie Chiara, credo che il tuo commento centri in pieno quello che ho detto sull'autore come genitore. Quando l'autore pone il proprio personaggio di fronte ai conflitti, lo fa evolvere, ovviamente non nel senso che diventa potente, possono essere piccoli cambiamenti che magari si vedono solo alla fine della storia. Credo sia una cosa utile soprattutto al lettore questa "sofferenza" che sperimenta assieme al proprio personaggio preferito.

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  5. Leggendo il post ho pensato che i personaggi deboli a volte hanno un'inaspettata fortuna. Non è il ritratto di Lucia de I Promessi Sposi, che risolve tutto piangendo e pregando (e la cosa funziona!)?
    Non ho letto le 50 sfumature, ma mi sembra che la protagonista sia incline ad avanzare a forza di lacrime e che anche qui la cosa funzioni...

    Io per Luica non ho molta simpatia e quindi, dovendo scegliere, protagonista forte tutta la vita, anche se, come è già emerso dai commenti, preferisco soluzioni più sfumate

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    1. Grazie Tenar, sulle sfumature dei personaggi sono d'accordo con te.
      Studiando i promessi sposi ho capito che il personaggio di Lucia è particolare, credo che subisca molto l'influenza del periodo che caratterizzavano la donna come mite, dolce, fragile e via dicendo. Secondo alcuni studiosi all'apparenza può sembrare debole, ma la sua forza risiede nella fede e nella capacità di preservare la sua innocenza, infatti riesce a far convertire l'Innominato. Inoltre viene posta di fronte a numerose situazioni difficili da cui riesce a uscire non senza difficoltà.

      Il tuo commento è utile per far capire che ognuno classifica un personaggio secondo il proprio punto di vista e un po' in base al proprio carattere, a cosa si farebbe se ci si trovasse nella medesima situazione.

      Quando penso a un personaggio debole, mi viene in mente Bella di Twilight.

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  6. Non mi ero mai posta la domanda se mio fosse un personaggio debole o forte. Mi sono resa conto che nel romanzo che sto scrivendo la protagonista è debole, nel senso di vittima di una serie di circostanze e all'inizio incapace di farvi fronte, però strada facendo troverà la forza di reagire. Credo che anche un personaggio forte prima o poi venga messo di fronte alla necessità di cambiare, anche se in modi diversi. Comunque sono riflessioni interessanti e ringrazio Elena Lucia per averle poste.

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    1. Ringraziare Maria Teresa per lo spazio dedicatomi.
      Mi sento di aggiungere che sarebbe interessante capire come sarebbe un personaggio forte che evolvendo diventa debole e se questa potrebbe essere la situazione degli antagonisti.

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  7. Prima di tutto grazie per il tuo post, che tratta un argomento sempre interessante. E' vero che l'autore deve essere legato al suo protagonista e attratto dalla sua personalità, o non potrebbe ipotizzare che lo sia il lettore. Non credo però che sia necessario che ci si identifichi con il protagonista, come autori e come lettori. Certi protagonisti sono dei veri figli di buona donna, se posso dirlo, ma ci piacciono perché sono molto diversi da noi, pur mantenendo quella base umana che ci permette di rapportarci con loro. Oltre all'empatia ci sono anche simpatia, curiosità, attrazione verso certi tratti (più o meno oscuri) della personalità. Per fortuna non c'è un solo modo per rendere il personaggio efficace, o noi scrittori saremmo un po' nei guai. ;)

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  8. Ciao Grazia, hai ragione, l'identificazione non è necessaria, però l'autore deve trovare qualcosa che gli piace nel personaggio che crea, anche se è un figlio di buona donna (gli scrittori possono essere perversi a volte, no?). L'identificazione può avvenire anche all'incontrario, cioè l'autore può trasferire una personalità completamente opposta alla sua.

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  9. Uffa, avevo scritto un commento ma vedo che è sparito :(
    Ho pensato spesso al rapporto tra scrittura e genitorialità. La mia totale mancanza di spirito materno si vede bene nel rapporto con i miei personaggi, che si comportano un po' da orfani: se possono mirano sempre alla sopravvivenza spicciola, alla soddisfazione dei propri bisogni primari o delle proprie idee fisse, ma devono proprio essere presi a calci nel sedere per fare qualcosa di più, rischiare, fidarsi, migliorarsi - perchè sono convinti, a ragione, di vivere in un mondo inaffidabile in cui nessuno li soccorrerà se cadono. Non so bene se definirli deboli o forti, perchè sono un misto dei due. Io li amo comunque, non sono migliore di loro.

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    1. Accidenti, mi dispiace per il commento. Un rapporto così distaccato (se ho ben capito quello che intendevi) non mi sembra poi così male, magari ti evita di cadere in quegli eccessi di amore e identificazione così comuni quando si è troppo legati ai propri personaggi.

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  10. Sono d'accordo con Anima di carta. Credo inoltre che in ambito letterario si possano sperimentare diversi rapporti con i propri personaggi, proprio per capire che tipo di autore si è per loro e per provare anche a vedere che tipo di svolta prende la storia.

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