Dal racconto al romanzo, il passo è breve, obbligato o...?

Ringrazio Sandra Faé, autrice di questo guest post. Per sapere di lei potete leggere il riquadro alla fine dell'articolo.

Chiunque abbia velleità di scrittura inizia cimentandosi col racconto, la forma più breve e giudicata più accessibile dai principianti.
Tuttavia poi, frequentando magari un corso di scrittura creativa, si sentirà rivolgere la domanda: "è più facile scrivere un racconto, o un romanzo?"


La leggenda metropolitana, di dubbio fondamento, vuole che il racconto sia più difficile perché in un testo più lungo eventuali sbavature possono passare inosservate, al contrario nel racconto non ci si possono permettere errori. Questo è in parte vero, ma di sicuro non rende più facile avventurarsi lungo il sentiero accidentato del romanzo. Ma come e quando un autore passa, se passa, dal racconto al romanzo? La spinta emotiva può non avvenire mai, e le motivazioni, in caso avvenga, possono essere diverse. Prima però di vedere quale può essere una, la mia, preferisco soffermarmi ancora un po' sul fenomeno del racconto. Nella mia vita ho conosciuto decine di persone appassionate di scrittura, eppure solo una minima parte di questo gruppo variegato è passata poi al romanzo. Perché?
Il romanzo inibisce chiaramente, ma chi ama davvero scrivere non può non aver voglia di tentare di esprimere la propria creatività con un'opera dal respiro più ampio, nella quale può esserci tanto spazio per raccontare. Chi rimane ancorato al racconto, (che non considero una forma espressiva inferiore, ma che in Italia non ha una tradizione importante, come avviene invece negli USA con la gloriosi esponenti della short story) a mio avviso non ha in sé una motivazione sufficiente, quella vera urgenza di scrivere che porta in alto!
Perché un racconto ben riuscito, di poche cartelle, può anche essere un gran colpo di fortuna, un giorno di grazia in cui tutto è girato giusto.
Un romanzo no. Ho amici che hanno imbastito racconti splendidi, che avrebbero potuto essere fantastiche bozze per lavori più ricchi, ma non hanno trovato il tempo di cambiare registro. Nessun autore esordiente ha tempo, a meno di essere "figli di papà". Chi scrive, sperando di sfondare, di solito ha un lavoro, una famiglie e ritaglia scampoli di tempo rubandoli al sonno, perché ha un motivazione forte che lo sostiene, nonostante i momenti di cedimento e sconforto. Un racconto, anche molto ben scritto, capirete non può portar via anni, un romanzo sì. Non volersi confrontare con questo, non avere il coraggio, la tenacia, la voglia, non fare insomma il passo dal racconto al romanzo significa spesso non essere motivati a sufficienza. Non avere nell'anima questo mood per cui si scrive comunque e ovunque.
Per me il passaggio è avvenuto quando un racconto ha urlato dentro di me esigendo più pagine. Era come se la mia storia indossasse un abito troppo corto e stretto e sfigurasse, solo passando al romanzo i personaggi hanno avuto finalmente la possibilità di esprimersi al meglio.
Ho 4 manoscritti, ad eccezione del primo, che andrebbe completamente stravolto, gli altri 3 sono nati proprio così: il primo capitolo di ognuno era in origine un racconto finito che non mi abbandonava e ha deciso di prendersi il suo spazio. Di questi 3 uno è stato pubblicato e un altro è sulla buona strada per esserlo. Un romanzo esige rigore; spenta la scintilla dell'entusiasmo iniziale, quando la foga prevale, terminata la prima stesura, la revisione, che spesso porterà a modifiche non da poco, è davvero lacrime e sangue. E' un lavoro che chi si è cimentato solo col racconto non conosce davvero. Per questo il passo dal racconto al romanzo in realtà è un vero salto. Spesso nel vuoto!
Sandra Faé

L'AUTORE DI QUESTO GUEST POST Questo articolo è stato scritto da Sandra Faè, scrittrice e blogger di Frollini a colazione, che prende il nome dal suo romanzo "Frollini a colazione (ma io volevo la brioche...)”. Inizialmente dedicato a Ilaria, protagonista della storia, il blog ha ormai una vita propria e numerosi lettori.
Sandra è nata e vive a Milano dove si occupa di adempimenti fiscali. Scrive da sempre e ha frequentato numerosi corsi di scrittura creativa. Il marito Emanuele, per 3/4 greco, è il suo primo fan e l'aiuta a districarsi nei deliri informatici quando scrive. Nel poco tempo libero che le rimane ama gli hobby creativi, fare gite, leggere, andare al cinema e a teatro. Non sopporta il calcio, la liquirizia, e i librucoli. Ha una splendida casa ordinata piena di libri e colori, e un divano sfondato dove si svacca troppo raramente cercando di riacquistare sembianze umane. Sogna di avere un parrucchiere personale, un cuoco e un autista a disposizione 24 su 24!
Per sapere di più su di lei potete anche leggere questa intervista di Anima di carta.

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Commenti

  1. Come dice Sandra il lavoro di limatura prima della pubblicazione di un romanzo è estenuante. Lacrime e sangue e la pazienza di Giobbe, aggiungerei. E' un lavoro che mette in crisi, quasi spersonalizza, ma una volta giunti alla fine, si apprezza la "creatura" come un figlio che impara a camminare da solo. Conosco Sandra tramite il suo blog e la sento molto vicina per tante cose. Le faccio i miei auguri più sinceri.
    Raffaella

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  2. Sandra è una grande narratrice, ama con sincerità le parole, e sa usarle sapientemente. Ed è anche una grandissima donna :-)

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  3. Ecco un controesempio.
    Io sono incapace di scrivere racconti, non provo piacere nel farlo e dunque perchè? Ammetto la poesia, ogni tanto viene fuori, ma è altra cosa.
    Ho scritto due romanzi, il primo occupa (abuisivamente) 330 fogli A4. I 150 del secondo raccontano molte più cose e richiederanno meno lavoro di lima del primo. La soddisfazione che provo quando chiudo un capitolo è inferiore soltanto al piacere suscitato del pensiero che domani mattina, verso le 7 e trenta, comincerò il successivo.
    Chiudere i post del mio blog dentro una videata ciascuno è una sofferenza. Mitigata dal pensiero che domani pubblicherò il seguito e poi il seguito del seguito, senza che la mia editor dica che le pagine sono troppe. Di questo passo il blog non avrà fine :)
    Grazie per la testimonianza comunque molto interessante.

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  4. @ Anima di carta ancora grazie per l'opportunità di dar voce a qualcosa di mio e farmi conoscere
    @ Raffaelle e Clara Grazie vi stimo sorelle : )
    @ Giorgia grazie anche a te, naturalmente non esistono regole. Vedo che anche per te il blog è una sorta di palestra di scrittura, piacevole e utile

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  5. Io penso che ogni storia abbia il suo respiro, alcune esigono spazi aperti e lunghe distanze, altre hanno la loro forza nella concisione. Del resto ci sono stati grandi autori di racconti che non hanno mai pubblicato un romanzo (anche se credo sia meno vero il contrario). Per quel che mi riguarda, nella mia pratica di aspirante scrittrice ostinata, il romanzo è qualcosa che ti porti dentro per anni, una sorta di pensiero fisso che pulsa, mai sopito in qualche angolo della mente. Il racconto è un'ossessione più breve, ma che per qualche giorno mi assorbe completamente, rischiando di farmi dimenticare qualsiasi altra cosa (piuttosto pericoloso, mentre si cucina o si guida...).Ultimamente, dunque, sono più spaventata dai racconti, anche se mi stanno dando delle belle soddisfazioni.
    Spero sia comunque chiaro che il post mi è piaciuto molto, ha dato un bello spunto di riflessione!

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  6. Complimenti per il tuo blog, davvero carino! da oggi ti seguo, se ti va, passa a trovarmi anche tu!

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  7. Grazie a tutti per i vostri contributi, oltre che a Sandra per il suo interessante post!
    Come Giorgia, anche io non ho mai sentito il bisogno di scrivere racconti, mi sono lanciata subito sui romanzi, forse perché in realtà i racconti non amo neppure leggerli. Devo avere modo di affezionarmi ai personaggi e nelle storie di breve respiro questo non è possibile... Mi lasciano sempre una sensazione di incompiuto, di non approfondito. Ma sarà soprattutto una questione di gusti!

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  8. No, Sandra non condivdo tutto.
    "Chi rimane ancorato al racconto... a mio avviso non ha in sé una motivazione sufficiente, quella vera urgenza di scrivere che porta in alto!"
    No si può trattara anche di semplice paura ad affrontare tuttto il lavoro meticoloso che un'opera più vasta (=romanzo) comporta.
    Di contro, condivido:
    "Un racconto, anche molto ben scritto, capirete non può portar via anni, un romanzo sì."
    Sì, il romanzo richiede dedizione, non è merce comune.

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  9. Il dramma, a mio avviso, è proprio questo: il dilagare della forma romanzo in tutte le salse, questa folla di parole inutili che ti affondano e ti affogano e dove l'ampio respiro spesso fa rima con l'ampio nulla. Ai ritmi sincopati del nostro tempo fa da distonico contraltare la dimensione dilatata del romanzo, e tu ti aspetti, viste le corpose dimensioni, almeno altrettante folgorazioni, chiavi di lettura originali, lampi di genio, ceselli stilistici d'artista, e invece... Niente di tutto questo, solo la verbosità di narrazioni che di originale hanno ben poco, spesso rivisitazioni del reale, del già scritto e già sentito, brutte copie di fiction banali che ripetono sempre le stesse frittate. No, grazie, preferisco il racconto, in un'epoca che di letterario ha molto poco. Preferisco "l'autore", in un mondo di esaltati scribacchini che pensano di avere tanto da dire e raccontare. Cerco dopo gli ultimi grandi del romanzo sperimentale del Novecento, qualcuno che abbia il coraggio di percorrere nuove strade narrative. Basta vie di mezzo gradevoli e accomodanti. Un romanzo può essere piacevole anche se è pura narrazione senza nessuna ambizione letteraria, un racconto, no, non conosce mezze misure, o è osceno oppure è un'opera d'arte.

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